Gli scatti di Alessandro Grassani in mostra al Museo Diocesano di Milano

Il “viaggio ai confini del mondo” del fotografo milanese ci invita a riflettere sulle conseguenze della crisi climatica nel mondo e sulle nostre responsabilità

Sarà visitabile fino alla fine di aprile 2025 la mostra Emergenza climatica. Un viaggio ai confini del mondo curata da Denis Curti al Museo Diocesano Carlo Maria Martini di Milano. L’esposizione presenta al pubblico circa quaranta scatti realizzati dal milanese Alessandro Grassani (1977), fotografo e giornalista visivo che negli ultimi venti anni ha realizzato reportage su temi d’attualità in zone di guerra (tra il 2003 e il 2009, per esempio, è stato attivo tra Iran, Israele e Palestina) e documentato gli effetti del cambiamento climatico, specialmente nelle aree più svantaggiate del mondo.

La mostra milanese, collocata al piano terra del museo che sorge nei chiostri di S. Eustorgio, si articola in quattro sezioni, ciascuna dedicata a un diverso Paese (Mongolia, Haiti, Kenya, Bangladesh) che Grassani ha visitato per documentare i fenomeni di migrazione di massa causati dal cambiamento climatico che, con i suoi effetti, sta devastando molti territori già di per sé caratterizzati da condizioni ambientali e microclimatiche difficili, aggravandole ulteriormente.

Ecco che, osservando le grandi stampe esposte in mostra, ci troviamo di fronte a immense distese di neve e ghiaccio nella provincia mongola di Arkhangai, dove in inverno le temperature possono arrivare a -50° causando la moria del bestiame, principale fonte di sostentamento delle popolazioni di allevatori che lì vivono e che si trovano ora costrette a cercare zone più abitabili.

Come ci mostra Grassani, però, migrazione e miseria fanno spesso il paio poiché coloro che si trasferiscono in cerca di condizioni di vita migliori si ritrovano spesso a fare i conti con disoccupazione e indigenza. In Bangladesh, per esempio, Grassani ha incontrato famiglie che hanno perso tutto a causa delle sempre più frequenti esondazioni dei fiumi nelle zone rurali e si sono dovute trasferire nelle grandi metropoli, per lo più in tuguri di fortuna e con lavori precari.

Conseguenza di tali esodi è, ovviamente, il sovraffollamento delle baraccopoli – fatiscenti e insalubri – che si espandono nelle città, come quelle che il fotografo documenta ad Haiti: lì la deforestazione selvaggia ha compromesso la stabilità del terreno e la sua fertilità, costringendo masse di persone a concentrarsi nei nuclei urbani più grandi le cui periferie sono ormai divenute dei veri e propri formicai umani.

In Kenya, poi, alla miseria si aggiunge anche la violenza tra tribù rivali che si contendono le poche risorse disponibili sul territorio, rese ancora più scarse dall’inaridimento crescente del suolo, come ci spiega Loduung Elimlin, pastore di Turkana che è rimasto gravemente ferito a un braccio durante uno scontro con un gruppo nemico (alcune fotografie sono infatti accompagnate da un QR code che rimanda alle testimonianze delle persone ritratte da Grassani).

Quelle di Alessandro Grassani sono fotografie di grande impatto caratterizzate da un netto contrasto tra la carica sublime dei grandi paesaggi naturali (le distese innevate della Mongolia, i terreni rossicci del Kenya martoriati dalla siccità) e la vita di stenti di coloro che vi abitano che, però, l’obiettivo del fotografo ci restituisce sempre con grande dignità. Non c’è commiserazione negli scatti di Grassani ma rispetto ed empatia nel mostrare le dolorose sfide che quotidianamente intere comunità devono superare per sopravvivere.

Le loro testimonianze, riportate a corredo di alcune fotografie, danno loro una voce, un nome, raccontano la loro storia personale, poiché quello delle migrazioni climatiche è sì un fenomeno di massa ma è anche, prima di tutto, un dramma individuale, che sradica intere famiglie dalla propria terra, mosse da una speranza di riscatto e di futuro migliore, per spingerle in realtà in situazioni ancora più disperate. Ben vengano quindi mostre come quelle di Alessandro Grassani che, nonostante la cornice rassicurante e silenziosa del Museo Diocesano milanese, fanno rumore portando tra di noi il grido di chi, dall’altra parte del mondo, soffre le conseguenze di una crisi climatica di cui l’Occidente è in larga parte responsabile.

Il “viaggio ai confini del mondo” che ci viene proposto dalla mostra non è infatti una gita di piacere o un’escursione in luoghi esotici (come i safari organizzati per il turismo di lusso in Kenya, quello stesso Kenya di cui Grassani ci mostra le baraccopoli), bensì un percorso verso la consapevolezza delle nostre responsabilità. Ciò deve rappresentare il punto di partenza per cercare fattivamente di operare una svolta, anzitutto riconoscendo le nostre responsabilità politiche e storiche come società (quelli visitati da Grassani, ad eccezione della Mongolia, sono tutti ex territori coloniali che hanno pagato il prezzo dell’oppressione e dello sfruttamento occidentale), ma anche individuali come ospiti e abitanti del pianeta. Non creature privilegiate, dunque, bensì semplicemente parte di un sistema naturale più ampio che continuerà a esistere anche qualora noi dovessimo perire.

Il cambiamento passa infatti necessariamente attraverso misure nazionali e internazionali di contrasto della crisi climatica ma non può prescindere dal contributo che ognuno di noi, nel proprio piccolo, può dare. Dunque non lasciamo che le mostre come quella di Grassani si riducano a un mero momento di indignazione che ci illude di aver fatto la nostra parte compatendo, con sguardi contriti e voci dimesse, le disgrazie di chi vive a migliaia di chilometri da noi.

L’arte – in questo caso la fotografia – può davvero contribuire ad amplificare e promuovere una riflessione interdisciplinare e collettiva sul tema dell’ecologia e dei diritti umani, invitandoci a farci cassa di risonanza nella nostra vita di tutti i giorni affinché la nostra indignazione non resti tra le pareti della mostra ma diventi qualcosa di concreto. Le fotografie di Alessandro Grassani, insomma, ci invitano non solo ad aprire gli occhi su ciò che sta accadendo nel mondo ma anche, soprattutto, su quanto noi uomini siamo in realtà solo piccoli abitatori di un pianeta che, come ricorda la Natura a un atterrito islandese nel celebre dialogo leopardiano, non fu certamente creato per causa nostra.

Emergenza climatica. Un viaggio ai confini del mondo
Fino al 27 aprile 2025
Museo Diocesano Carlo Maria Martini – Milano
info: chiostrisanteustorgio.it

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