Fin da bambina, Martina Zanin, finalista al Talent Prize 2024 con l’opera Avvistamenti (17 May 12.34), propende a rifugiarsi nel mondo naturale e a scoprire punti di sovrapposizione tra esseri umani e animali. Attraverso queste metamorfosi ricerca nuove prospettive e trova la libertà di comunicare. Le sue opere nascono da silenzi, rotture, mancanze e da una profonda rabbia, mettendo in evidenza le complessità dei suoi rapporti familiari. La sua storia personale è una continua fonte d’ispirazione.
Please, don’t ever come down riflette su come anche le forme di abbandono siano un’affermazione di potere. I concetti di patriarcato ed eredità, aggressività, ripetizione, così come memoria e assenza, sono centrali nella tua ricerca. Come affronti il peso del bagaglio familiare che ci portiamo dietro, i modelli e le dinamiche dai quali è difficile svincolarsi?
Tento di trasformarlo in materia viva da cui far emergere nuove prospettive. Mi interessa esplorare come le dinamiche familiari si radichino in noi, diventando quasi invisibili, ma profondamente presenti. Mi servo di azioni violente come strappare, inchiodare, martellare e incidere, in un atto di riparazione attraverso il quale cerco di elaborare e superare tensioni ereditate di generazione in generazione o derivanti da strutture e dinamiche sociali. Please, don’t ever come down nasce come una sorta di supplica a mio padre di non “scendere” verso di me, affinché non possa più farmi del male. Ho iniziato a trasferire la figura paterna in questo animale e a comunicare tramite un diario dettato da questi incontri. Si tratta di una sorta di comunicazione con questa creatura uomo-animale, dove F sta sia per Father che per Falcon.
Dear F. intreccia la fotografia con l’immagine di archivio familiare e il testo. L’opera esplora la tensione tra umano e animale, personale e universale, e il rapporto tra immagine e testo. La figura del falco è ricorrente.
Il falco è una creatura che incute terrore e fascino. Ho sempre avuto un rapporto intermittente con mio padre, fatto di lunghi periodi di assenza alternati da una presenza severa e violenta. La metafora del falco non vuole solo definire un carattere aggressivo, ma anche solitario e scostante. I falchi sono animali indomabili, che appaiono e scompaiono a loro piacimento, proprio come mio padre, che spariva senza preavviso per poi riapparire quando decideva lui.
I made them all run away riflette sulle dinamiche delle relazioni affettive, il bisogno di attenzione, le aspettative che causano disillusione, insicurezza e giudizio. Che ruolo svolgono le nostre esperienze passate sul presente?
“Com’è possibile che li fai scappare tutti?”, questa era la frase che urlava mia madre, dandomi la colpa per la fine delle sue relazioni. In I Made Them Run Away ripercorro le molteplici relazioni che ha avuto mia madre e rifletto su come queste abbiano influenzato la mia percezione della figura maschile e il modo di relazionarmi che ho con essa.
Alla fine di ogni relazione, mia madre strappava le fotografie, rimuovendo fisicamente e visivamente gli uomini dalla nostra vita, ma mantenendo la sua figura o la mia all’interno degli album di famiglia. Ho intrecciato questi oggetti, carichi di rabbia, con le mie fotografie e con testi estrapolati dal suo diario, indirizzato a un uomo immaginario, creando così un dialogo tra me e lei, in due momenti diversi nel tempo, su questo vissuto condiviso. In quest’ottica di circolarità, a conclusione del progetto, ho ripetuto il gesto dello strappo che lei faceva sulle foto d’archivio, strappando a mano ogni copertina del libro, in un atto catartico durato nove ore consecutive.
Older Than Love focalizza l’attenzione su come i comportamenti apparentemente normali possano essere interpretati negativamente e, al contrario, come quelli negativi possano essere normalizzati all’interno delle relazioni, inducendo il fruitore a riflettere sulla natura dell’aggressività umana e come essa possa essere determinata dal contesto familiare e socio-ambientale. Il sottile confine che esiste tra cura e controllo nella sfera familiare è tema ricorrente nei tuoi lavori.
La cura può essere portata all’estremo e trasformarsi in prigionia. Una carezza che si trasforma in colpo. Nelle relazioni familiari, ciò che viene interpretato come un gesto di protezione può facilmente trasformarsi in una forma di controllo. In Older Than Love cerco di chiarire come i comportamenti che sembrano normali possano nascondere tratti abusivi. Mi interessa esplorare come, all’interno di contesti familiari, la normalizzazione di certi atteggiamenti negativi si radichi nel quotidiano.
La cancellazione della figura paterna diventa un segno di liberazione dal peso delle dinamiche patriarcali in You look at me in fear, and talk to me in anger. Quest’opera si inserisce nella ricerca in corso sull’aggressività e sulle dinamiche di potere e controllo all’interno della sfera familiare e invita lo spettatore a riflettere sull’ambiguità delle dinamiche di potere.
È un’opera nata d’istinto. In un momento di rabbia, ho preso chiodi e martello e ho iniziato a inchiodare la figura di mio padre, ripresa in una foto d’archivio familiare. Da un lato una corazza, dall’altro una superficie pungente. Vulnerabilità e difesa. Aggressività e violenza. Ne è conseguita un’opera-arma capace di conferire tangibilità visiva e fisica alla rabbia. Durante la realizzazione, il martellare potente e catartico si misurava con la precisione e il controllo del posizionamento dei chiodi. Questo aspetto ritorna sempre nel mio modus operandi.
Quando ero bambina, mio padre, con tono severo, mi insegnava a non colorare mai fuori dai bordi degli album da disegno; il tratto doveva seguire sempre lo stesso verso. Quello che durante l’infanzia doveva essere il momento creativo e spensierato per me è diventato un atto di disciplina e del limite. Martellando e inchiodando, distruggo simbolicamente questa figura per superare la sua influenza e le strutture che rappresenta. Solo decostruendo questo archetipo ci si può liberare dalla sua presa e ridefinirlo con un nuovo significato.
L’opera finalista al Talent Prize 2024
L’opera finalista al Talent Prize 2024 si inserisce in una ricerca più ampia che esplora l’ambiguità delle dinamiche di potere. Indaga il rapporto padre-figlia attraverso la metafora del falco con la sua preda e genera riflessioni sulla natura dell’aggressività, sulla violenza psicologica e sulle strutture patriarcali all’interno della sfera familiare.
Le parole sono incise a martellate sul cuoio, nel tentativo di elaborare tensioni ereditate attraverso le generazioni o derivanti da strutture e dinamiche sociali. L’opera, collocata in una posizione alta e angolare, costringe lo spettatore nella prospettiva della preda, confinandolo in un angolo. Attraverso il processo creativo Zanin, non cerca di distaccarsi dal ricordo traumatico, al contrario ci si immerge completamente, rendendolo visibile e tangibile. «È un continuo recupero del passato – spiega l’artista – che viene espresso per associazioni e metafore, e restituito tramite un coinvolgimento multisensoriale».
Chi è Martina Zanin
1994 Nasce il 16 giugno a San Daniele del Friuli
2021 È tra i vincitori di Cantica21, progetto di committenza pubblica per il sostegno e la promozione dell’arte contemporanea promosso da MAECI e MiC
2022 Il suo libro fotografico I Made Them Run Away edito da Skinnerboox entra nella collezione della Biblioteca del MoMA di New York e del MEP – Maison Européenne de la Photographie di Parigi
2023 È vincitrice del Premio Driving Energy (sezione Giovane) e partecipa alla collettiva a Palazzo delle Esposizioni, curata da Marco Delogu
2024 Partecipa alla collettiva After Reminiscence da Cassina Projects a Milano e tiene la personale I Made Them Run Away all’Istituto Italiano di Cultura di Toronto