Officina della Scultura, diffondere un patrimonio

Il progetto della Fondazione Piero Cattaneo si estende sul territorio lombardo per la valorizzazione degli atelier di scultura. Ce ne parla la curatrice Marcella Cattaneo

Piero Cattaneo è stato sia scultore che pittore e illustratore, ma è diventato celebre soprattutto per le sue opere bronzee, a cui ha dedicato animosamente tutta la sua carriera d’artista. Con la medesima tenacia che il padre riversava nella sua ricerca, la figlia Marcella Cattaneo oggi guida e coordina le attività della Fondazione a lui dedicata: Officina della Scultura è una manifestazione da lei ideata e curata, il cui obiettivo principale è far conoscere il mondo della scultura del XX secolo conducendo e coinvolgendo il pubblico negli studi-laboratori di alcuni dei protagonisti dell’arte plastica italiana del Novecento, rendendo accessibili gli spazi del fare plastico, divulgando i linguaggi e l’indagine concettuale della scultura, approfondendo le tecniche, ma anche la poetica degli artisti coinvolti.

I protagonisti dell’edizione 2024, avviata il primo ottobre e in corso fino all’ultimo dell’anno, sono gli studi di Piero Cattaneo, di Gianni Grimaldi, per la prima volta la casa-archivio di Umberto Carrara, gli studi di Gabriella Benedini, e di Paolo Gallerani, e grazie alla collaborazione con Fondazione Sangregorio, la casa-studio dello scultore Giancarlo Sangregorio. Permangono anche quest’anno le aperture straordinarie di parchi d’arte ambientale: il Parco di Taino (Varese) ospita l’opera Luogo dei quattro punti cardinali di Giò Pomodoro cui recentemente si è aggiunta la Ruota di mola di Giancarlo Sangregorio, la raccolta en plein air Rossini Art Site a Briosco (Monza-Brianza) e il Parco di sculture di Ca’ del Bosco a Erbusco (Brescia). La curatrice Marcella Cattaneo ci ha raccontato i punti salienti dell’iniziativa da lei curata. Officina della Scultura è giunta alla sua settima edizione.

In cosa si differenzia la corrente edizione rispetto alle precedenti?

Questa settima edizione annovera la presenza di nuovi artisti e nuovi luoghi da scoprire accanto alle consolidate e fortissime realtà che ormai ci accompagnano da diversi anni. La fitta rete di connessioni dei centri nevralgici della scultura sul territorio lombardo, si apre così alla conoscenza, a Bergamo, accanto allo studio di Piero Cattaneo e di Gianni Grimaldi, dell’abitazione-archivio di Umberto (Pipi) Carrara; a Milano dello studio di Paolo Gallerani e del laboratorio di Gabriella Benedini e a Sesto Calende della casa-atelier di Giancarlo Sangregorio. Contemporaneamente il progetto si sta estendendo a comprendere le collezioni di arte ambientale in Lombardia; una dimensione che nessuno ancora ha misurato nella sua storicità e nelle sue diverse sfaccettature, inclinazioni.

La storia della scultura italiana in relazione con quella internazionale passa anche da qui. Inoltre quest’anno per la prima volta, abbiamo cercato di offrire una panoramica diversa non solo geograficamente, portandoci con una tappa nel veneto, a Venezia in occasione della 60° Biennale, ma anche proprio per la complessità dell’autore coinvolto, Fabrizio Plessi padre della video-scultura italiana e non solo. Infine è stata avviata una nuova collaborazione con la Pinacoteca Internazionale Aldo Cibaldi, dedicata alla cultura visiva dell’età evolutiva, per valorizzare l’espressività dei giovani coinvolti nelle attività laboratoriale del progetto.

Qual è secondo lei il senso di mettere in dialogo opere di artisti storicizzati con altri artisti mid-career ma in una modalità di fruizione per il pubblico inusuale, strettamente contemporanea (ovvero mediante l’uso di visite guidate interattive e workshop)?

Mi è sempre interessato lo sguardo lungo della storia che ci consente di comprendere l’evolversi dei linguaggi, le riprese e la necessità di introiettare mondi passati per restituirceli con vesti a noi sconosciute; mi interessa molto la possibilità di far comprendere la pluralità degli accenti che un contesto storico e sociale ha determinato e verificarne la forza e vitalità proprio nel loro prolungarsi, come attinenze, come propagazioni, nelle generazioni successive sino a spingersi nel contemporaneo. Per far comprendere questo fluire continuo della storia e dei suoi protagonisti, le aperture degli studi, consentono immediatamente di entrare in sintonia con l’autore, di sporgersi nel suo immaginario; lo studio è uno spazio progettato dal singolo individuo, per le proprie necessità, pratiche, tecniche ed estetiche ed è rivelatore profondo del carattere e delle inflessioni psicologiche di ogni artista.

Mi viene in mente sempre la descrizione dello studio di Rodin a Meudon di Rainer Maria Rilke nel 1902: “Lascia un’impressione immensa e strana, questo spazio grande e luminoso con tutte le sue statuine bianche e abbaglianti che guardano fuori dalle alte vetrate come gli abitanti di un acquario. Ci si aggira tra i tanti abbaglianti calchi in gesso nel luminosissimo padiglione come camminando nella neve. Mi fanno male gli occhi, anche le mani”.

Ci può raccontare qualcosa delle visite guidate tattili esperienziali?

In una società come la nostra, in cui la conoscenza passa attraverso il susseguirsi frenetico e fagocitante delle immagini, ci siamo interrogati sulla necessità di ancorare l’esperienza del visuale alla pratica tattile; in particolare abbiamo ritenuto importante mettere a contatto fisico il fruitore con il processo tecnico-creativo attuato dall’artista, ed elementi di questo, per condurlo, attraverso l’esplorazione sensoriale, all’opera finita e accompagnarlo alla scoperta della poetica e del pensiero concettuale dell’artista; mettendo in campo una pratica inversa rispetto a quella museale: vedo (l’ambiente, l’atelier, le opere), esperisco (i materiali, gli strumenti e infine le opere), comprendo e sublimo (giungo al senso ultimo del fare).

E le attività di workshop?

Devo anticipare che ogni visita guidata, proprio per la modalità in cui viene svolta, si concretizza in una sorta di workshop, come conseguenza di questo coinvolgimento sensoriale del pubblico. Il rapporto diretto con i luoghi di creazione di ogni singolo artista è certo il cuore di ogni nostra attività, tuttavia è altrettanto vero che è necessario sperimentare con le proprie mani i differenti processi tecnici ed artistici scoperti durante le visite, per apprendere e consolidare quanto visto, compreso e vissuto. I laboratori di Officina della Scultura si ispirano dunque alle peculiari concezioni e ai passaggi tecnici messi in campo dagli artisti incontrati, per giungere alla realizzazione di inediti e personali manufatti, declinando le modalità di coinvolgimento in base all’età dei partecipanti. Si passa così da momenti di progettazione, manipolazione, modellazione ad altri performativi ispirati a esperienze teatrali; tutti contrassegnati dalla necessità di offrire uno sguardo nuovo e possibile sul reale e sull’altro da sé.

Quali sono state le motivazioni specifiche dietro alla scelta di luoghi come il Parco di sculture di Ca’ del Bosco, il Rossini Art Site e il Parco di Taino?

Nella scelta di questi parchi di sculture en plein air, ciò che mi ha colpito da subito è stata la loro intrinseca peculiarità, contraddistinta da profili alquanto distanti gli uni dagli altri; sempre sospinta da quella necessità di portare a conoscenza una pluralità di visioni sul mondo e sull’arte e in questo caso sul collezionismo.

Il Parco di Sculture di Ca’ del Bosco nasce dalla passione per la scultura del suo fondatore, Maurizio Zanella, che ha intuito precocemente l’importante congiuntura tra mondo imprenditoriale e mondo artistico; la raccolta Rossini Art Site si forma sulla realtà aziendale di Alberto Rossini, un moderno mecenate che è riuscito a supportare gli artisti mettendo a disposizione le innovazioni tecnologiche brevettate dalla propria azienda nel campo delle materie plastiche; infine accanto a queste collezioni private mi interessava proporre un progetto pubblico, uno dei pochissimo se non l’unico in Lombardia, realizzato nel piccolo comune di Taino da Giò Pomodoro, il Parco del Luogo dei Quattro Punti Cardinali.

L’artista in questo caso ha concepito e disegnato ex novo uno spazio pubblico: un grande intervento ambientale a carattere urbano segnato dalla presenza della sua scultura-monumento. Realtà diverse che si confrontano tutte con il paesaggio e che cercano di intessere nuovi dialoghi possibili.

Crede che le opere di Land Art, per un pubblico giovane che è notoriamente di più difficile coinvolgimento, siano più attrattive di visite agli studi d’artista o viceversa?

Penso che siano due esperienze molto diverse; senz’altro gli studi della scultura sono ambienti che possono davvero lasciare un’“imprinting” visivo-emozionale molto profonda; per le realtà di land art entrano in gioco altre relazioni, certamente in primis il rapporto con il paesaggio e la natura, e per questa via forse possono apparire più appetibili per un pubblico giovane.

Crede che il territorio lombardo si presti più di altri a questo tipo di dialogo e coinvolgimento?

È un territorio straordinario e in un certo senso ancora “vergine”, ideale per dare avvio ad una narrazione ampia e nuova della ricerca plastica italiana del XX secolo e dei suoi straordinari autori; un territorio segnato dall’innovazione industriale, segnato dalla presenza di una città come Milano, che ha attirato a sé numerosi artisti interessati ai nuovi materiali messi a punto dall’industria e dalle loro potenzialità; un territorio ricchissimo di esperienze e di grandi collezionisti, ancora da portare all’attenzione del pubblico.

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