Pubblico e privato, l’esempio virtuoso di Brescia

Francesca Bazoli, Presidente Fondazione Brescia Musei, mette in luce i cambiamenti della città “del tondino” avvenuti negli ultimi anni

Francesca Bazoli è Presidente della Fondazione Brescia Musei dal 2018. Di professione avvocato civilista, con specializzazione in diritto civile e societario ed esperienza di consigliere d’amministrazione di società, fondazioni, enti non profit, è presidente anche della casa Editrice Morcelliana. Francesca Bazoli è stata intervistata dalla Direttrice Artistica American Academy in Rome Ilaria Puri Purini in occasione del convegno The Art Symposium tenutosi alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma il 27 maggio 2024.

IPP: Qual è stata la sua esperienza come avvocato e come Presidente di Fondazione Brescia Musei a Brescia?

Da avvocato sono molto interessata anche ai sistemi di gestione dei beni culturali e la Fondazione che ho l’onore di presiedere presenta una formula di governance piuttosto originale in Italia poiché si basa su un sistema misto pubblico/privato. Nello specifico gestisce per conto dell’amministrazione comunale tutti i musei della città che sono musei civici. Stiamo parlando quindi fondamentalmente di beni pubblici, di una fondazione partecipata al 92% dal comune di Brescia anche nella gestione, e poi ci sono i soci privati come le Fondazioni di Comunità e la Camera di Commercio. È quindi un sistema veramente molto efficiente perché ci consente innanzitutto di godere di una maggiore efficienza nella gestione. Quando sono diventata Presidente, ad esempio, ho fatto una selezione pubblica ampliando la tradizionale categoria in Italia dei direttori di musei (storici dell’arte, archeologi ed esperti della materia), verso profili diversi, arrivando a intercettare un bravissimo direttore, Stefano Karadjov, che aveva già esperienza di manager nella gestione museale. Quindi, nella nostra fondazione il direttore ha fondamentalmente una preparazione manageriale ma è affiancato da esperti e curatori della materia. Questo significa un’abilità nella gestione particolarmente efficace ma anche una capacità di intercettare le forze vive della città che ci ha consentito di fare grandi cose a Brescia. Se chi amministra i beni civici della città è un cittadino, qualcuno che appartiene alla società, ha una presa pubblica sicuramente molto diversa (faccio presente il caso del presidente dell’Accademia di Carrara che è anche il sindaco di Bergamo). Abbiamo così potuto intercettare le forze private della nostra città – e Brescia è molto vivace dal punto di vista imprenditoriale – e abbiamo messo su in questi anni una rete di trentacinque imprenditori che ci sostengono in un programma triennale di attività della Fondazione. Non mi riferisco alla sponsorizzazione verticale di una mostra ma a una vera e propria partnership sulle attività della Fondazione e questo consente di coinvolgere nel sostegno alla cultura ma anche nella partecipazione alla vita culturale della città professionisti e imprenditori che tradizionalmente se ne stavano ben lontani. Brescia nell’immaginario collettivo è stata sempre la città del “tondino”, mentre ora c’è un cambiamento di consapevolezza straordinario. Le forze vive della città si sono rese conto che se è così brillante dal punto di vista imprenditoriale è perché c’è una dose di creatività che sull’altra faccia della medaglia si esprime attraverso l’arte. La cura e la tutela del patrimonio sono diventate agli occhi della gente una forma di progresso della nostra città. L’anno scorso siamo stati capitale della cultura insieme a Bergamo ed è stato un asset straordinario perché ha acceso l’idea su nuove possibilità di sviluppo culturale anche future. Ci sono ovviamente tante condizioni che favoriscono questo sviluppo: la ricchezza della città, la vivacità imprenditoriale, il fatto di avere un patrimonio importante che non era sufficientemente valorizzato e scoperto. Da 40 anni, invece, la città sta investendo sul patrimonio: ad esempio Santa Giulia, uno dei musei più belli d’Italia secondo i grandi esperti della storia dell’arte, è stato aperto neanche venticinque anni fa. L’asset quindi c’era ma non era sufficientemente valorizzato come motore di sviluppo della società per riuscire a riposizionare Brescia e l’immaginario collettivo di chi ci vive in una direzione di sviluppo con grandissime potenzialità.

IPP: Come dal suo punto di vista l’innovazione si può coordinare con le costrizioni di un luogo, di una città, di un’eredità culturale?

Eredità culturale è una parola chiave, al centro di quello straordinario documento che è la Convenzione di Faro. L’Italia l’ha ratificata dieci anni dopo, ma ora per noi è materia normativa vivente che ha proprio al centro la definizione di eredità culturale intesa come insieme di risorse che vengono dal passato a cui la comunità di riferimento dà valore. Nel momento in cui parliamo di eredità, chi fa parte della comunità diventa un co-erede. Tutti noi quindi, da co-eredi, non solo abbiamo uno straordinario dono che ci viene dal passato ma ne siamo anche responsabili. E siamo responsabili della trasmissione di questo patrimonio, insieme di valori a cui la comunità dà rilievo, proiettandolo verso il futuro. In Italia abbiamo una declinazione della sostenibilità solo nostra, che ha a che fare con la trasmissione di questo straordinario patrimonio che è un bacino immenso di risorse e di valori da trasmettere. La parola “eredità culturale” per me è magica: dobbiamo conservare, custodire, trasmettere alle future generazioni. Credo che le nostre istituzioni museali abbiano sempre più un compito che va molto oltre il compito tradizionale, in questo senso l’innovazione di funzione, che è quello di conservare mettere a disposizione far usufruire la comunità per cerchi concentrici di questo patrimonio, quasi che fosse il fine la conservazione del patrimonio. Sempre più visibile è una funzione molto diversa: il patrimonio è uno strumento per creare la piazza pubblica, è uno strumento per cui i musei sempre più devono andare oltre rispetto all’idea di essere il palazzo chiuso e diventare piazza aperta della comunità, dove il patrimonio è a disposizione di tutti per far crescere la comunità, nell’ottica della Convenzione di Faro. E allora cosa possono fare i musei? Mille attività oltre a quelle che vediamo, che vanno nella direzione della sperimentazione più avanzata e che interessano una serie di progetti che sono davvero innovazione di funzione, e che hanno a che fare con il settore più tradizionale dei musei, quello più affine: l’educazione. Sono tanti gli strumenti anche tecnologicamente avanzati che oggi ci consentono di intercettare le giovani generazioni nell’esplicazione di musei, di coinvolgerli. E qui si aprono però mille settori diversi: pensiamo al campo del welfare, la visita ai musei può diventare strumento straordinario di aiuto a forme di disagio estremamente diverse. Il lunedì che è giorno tradizionale di chiusura noi ad esempio lo apriamo alla collaborazione con associazioni del territorio che si occupano delle forme più diverse di disagio. Apriamo i musei perché possano svolgersi attività dedicate per le singole forme di disagio, facendo sistema con le associazioni. Insomma, nuovi orizzonti di impegno nel campo sociale della crescita della comunità perché credo che i musei possano essere strumento di promozione della democrazia intesa come apertura di tutta la società al sentire il proprio patrimonio uno strumento di crescita. Tutti i mezzi che ci permettono in questo momento di difendere e aiutare la democrazia sono preziosi, perché la democrazia va difesa in qualsiasi momento.

IPP: Immaginiamo di essere in un osservatorio, quali sono le prospettive nel prossimo decennio per Fondazione Brescia Musei ? Cosa si è fatto e cosa si può fare in futuro?
In sintesi quello che abbiamo fatto in questi cinque anni è stato trasformare l’auto-percezione della città. L’istituzione culturale è riuscita come motore, punto di perno, per far cambiare innanzitutto ai bresciani la percezione della città. E quando cambia la percezione di chi abita in un luogo diventa immediatamente molto più facile far cambiare la percezione anche a chi viene a visitare quel luogo. L’istituzione culturale a mio parere ha la responsabilità prima di tutto di creare la consapevolezza della comunità sul valore del patrimonio per la vita della comunità stessa, di tutta l’Italia e di tutta l’Europa. La sfida vera degli anni davanti è trasformare l’istituzione museale da palazzo a piazza aperta, perché credo che con questa funzione le istituzioni possano svolgere un servizio alla maturazione sociale del paese a 360 gradi. Una sfida che va molto al di là del solo discorso culturale.

*L’articolo è stato pubblicato su Inside Art #132, special issue dedicato agli Atti del convegno The Art Symposium tenutosi il 27 maggio 2024 alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma.