Per un nuovo documentario, verso il linguaggio seriale

Fabrizio Zappi, Direttore di Rai Documentari, analizza con Guido Talarico il ruolo fondamentale della Rai in Italia e l’evoluzione del prodotto audiovisivo oggi

Fabrizio Zappi è direttore di Rai Documentari dal 2021. Ha iniziato a collaborare con la rete televisiva nazionale dal 1998, mentre dal 2016 è responsabile dell’unità organizzativa “Miniserie, Tv Movie di Attualità e Docufiction” nell’ambito della Direzione Produzione Fiction, a cui era stato assegnato nel 2000. Nel 2021 è stato nominato Vicedirettore di Rai Fiction. Dal 1997 è anche docente in università e istituti di specializzazione nell’ambito di corsi e master dedicati ai media e alla produzione audiovisiva, tra cui l’Istituto Rossellini, l’Università di Firenze, La Sapienza di Roma, e l’Università Cattolica di Milano. Fabrizio Zappi è stato intervistato dall’editore di Inside Art, Guido Talarico, in occasione del convegno The Art Symposium tenutosi alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma il 27 maggio 2024.

GT: La Rai è la più grande azienda editoriale di questo Paese, lavora sui contenuti, produce contenuti ed è una partita importante da un lato, ma difficilissima da gestire in termini di risorse e spazi. Tu lavori nel settore della comunicazione dei contenuti, qual è il tuo bagaglio di lavoro e cosa vedi per il futuro?

Come Rai Documentari abbiamo svolto un lavoro di divulgazione storico culturale sia di familiarizzazione presso il pubblico televisivo del linguaggio specifico del documentario. Sono direttore da due anni e mezzo e mi sono reso conto che il pubblico della tv generalista (quello che guarda Rai 1, Rai 2, Rai 3 e per la piattaforma digitale RaiPlay) non era così avvezzo al linguaggio del documentario. Nei primi anni di trasmissione, si traduceva sempre in ascolti piuttosto poveri per quello che era un’offerta piuttosto rapsodica e casuale, quindi abbiamo cercato di creare appuntamenti fissi con il linguaggio del documentario, proponendo delle collane tematiche legate a diversi argomenti che avevano come fuoco, centro narrativo il racconto di personaggi che erano già di per sé popolari, portatori quindi di visibilità e riconoscibilità presso il largo pubblico televisivo.

Questo partendo dal concetto che non avendo il documentario di per sé forza attrattiva o un forte appeal a livello di grandi platee televisive, esse dovessero essere attratte dalla popolarità del tema, del contenuto. Biopic di personaggi pubblici già per loro stessi familiari al pubblico televisivo. Siamo al giorno dopo di quello che rappresenta l’apice, la summa di questo lavoro di due anni e mezzo perché sabato sera abbiamo fatto il nostro record storico di share su un documentario su Raffaella Carrà: emblematico di questo lavoro di semina. Per la prima volta il documentario ha vinto la serata su tutti i canali televisivi nazionali con il 15.5% di share con oltre 2 milioni e mezzo di spettatori e questo è l’apice di un lavoro, il traguardo in qualche modo. Io credo che questo sia andato di pari passo con un lavoro di divulgazione culturale.

Abbiamo dedicato spazio a ritratti di artisti e personalità della cultura e letteratura italiana e credo che questo incontro possa rappresentare un turning point perché anche Rai documentario e il discorso del documentario per il grande pubblico possa rappresentare una disponibilità da parte nostra e una sfida per il mondo dell’arte contemporanea di presentare progetti che possano in qualche modo andare incontro a un pubblico largo ed eterogeneo.

Sappiamo che l’arte contemporanea è stata oggetto di attenzione anche sui canali specializzati di Rai 5 e Sky Arte hanno fatto un grosso lavoro di diffusione di concetti e personaggi, di sensibilizzazione dell’opinione pubblica ed è stato fatto anche in maniera molto approfondita, con caratteristiche di scientificità e accuratezza estreme. Io credo che i tempi siano maturi per fare un lavoro di divulgazione sul patrimonio anche più su larga scala come avviene all’estero. In Francia, ad esempio, il documentario ha una diffusione e popolarità molto più ampia rispetto all’Italia. I livelli di investimento sono pari a quelli di cui nel nostro Paese gode il settore delle fiction ma perché il ritorno del mercato è tale: i documentari sull’arte lì sono divulgati anche sui canali della tv generalista.

Noi in Rai fino ad adesso lo abbiamo fatto per la fotografia: tre ritratti a grandi fotografi del nostro tempo, l’ultimo per la regia di Mario Martone è quello dedicato a Mimmo Jodice, Ritratto in movimento, premiato con il Nastro d’Argento per il documentario dell’anno insieme a un altro documentario di Martone che l’anno scorso ha voluto dedicare la sua intera attività al genere documentaristico. Abbiamo presentato quindi due prodotti: il primo in una sinergia tra Banca Intesa e Gallerie d’Italia con la mostra fotografica dedicata a Jodice, e il documentario al Festival del Cinema di Torino dello scorso novembre, avendo come oggetto lo stesso autore e la stessa opera.

Poi abbiamo dedicato un altro ritratto al fotografo Paolo Roversi, intitolato Il sentimento della Luce, e a Guido Harari, dal titolo Sguardi randagi, focalizzato sul rapporto con i grandi artisti della musica contemporanea. Tutte proposte dedicate ad artisti viventi, ma non solo. Il lavoro di Rai Documentari si è allargato con i grandi ritratti a personaggi della musica, colta e leggera/popolare, da Milva a Giorgio Gaber, Lucio Battisti e Franco Battiato, e anche a grandissimi personaggi della musica italiana e della cultura, in senso più letterario: il grande omaggio a Italo Calvino, ad esempio, in occasione del centenario della nascita lo scorso ottobre, o un altro grande ritratto a Pier Paolo Pasolini. Ancora, attraverso il lavoro di Francesco Piccolo e Annalena Benini, abbiamo presentato un bellissimo lavoro dedicato alla poetessa Patrizia Cavalli recentemente scomparsa.

L’impegno è enorme, in cantiere c’è un documentario in arrivo su Cesare Pavese e poi grandi focus dedicati ai registi del nostro cinema: Liliana Cavani, Bernaldo Bertolucci o Pupi Avati, tra gli altri. Ci stiamo occupando di divulgare tutte le grandi eccellenze artistiche del nostro Paese, e credo allora che i tempi siano oggi maturi per fare qualche ritratto su qualche grande artista contemporaneo.

GT: È vero che all’estero c’è un pubblico più abituato che risponde diversamente, però è un percorso che dobbiamo fare affinché anche i nomi culturali meno popolari possano essere portati all’attenzione del grande pubblico. La Rai ha una funzione straordinaria per questo Paese e può ancora smuovere le cose in termini di produzione dei contenuti. Qual è l’evoluzione che ci aspetta?

La mia personale visione, e di questo ne sono profondamente convinto, è che l’evoluzione del linguaggio audiovisivo sia necessariamente seriale. Così come il racconto di finzione si è evoluto nella direzione della serializzazione, anche il racconto del reale dovrebbe svolgersi in questa chiave, è chiaramente una questione di risorse, nel nostro caso anche di spazi di palinsesto, rispetto a quello della pay TV. Si tratta quindi di sapersi andare a conquistare lo spazio, e in questo la piattaforma digitale di RaiPlay offre un approdo interessante, soprattutto quando è declinato in un’ottica che va verso i giovani.

In questo senso abbiamo sviluppato dei prodotti che parlano ai giovani: Drugs e Drugs 2, ad esempio. Con l’associazione italiana dei digital content creator stiamo lavorando a un progetto che faccia raccontare a loro stessi il mondo degli influencer. Il formato seriale paradossalmente è più duttile perché consente una divisione del racconto in episodi che possono essere molto flessibili, di brevissima durata e quindi anche fruibili sui device, lo strumento prediletto dai giovani e giovanissimi soprattutto. Per cui fornire questo racconto suddiviso in episodi di varia durata anche breve, (7/8 minuti ciascuno) consente di andare incontro alle modalità di fruizione del pubblico più giovane, ovviamente abbinato alle tematiche di interesse. Il discorso più importante resta quello della credibilità, e spiace dirlo, nell’ambito accademico forse ancora scarseggia. Questo è il futuro del linguaggio audiovisivo.

*L’articolo è stato pubblicato su Inside Art #132, special issue dedicato agli Atti del convegno The Art Symposium tenutosi il 27 maggio 2024 alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma.