Alvise di Canossa è Presidente e Fondatore di Art Defender, società che offre servizi integrati per l’art collection management, in particolare la conservazione, la consulenza, l’assicurazione e la logistica. Ha fondato anche Arterìa, oggi fra i principali player mondiali nel settore della logistica per l’arte. Alvise di Canossa è stato intervistato dall’editore di Inside Art, Guido Talarico, in occasione del convegno The Art Symposium tenutosi alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma il 27 maggio 2024.
GT: Con Arteria e Art Defender, hai scritto una pagina importante che ha creato le condizioni affinché il collezionismo pubblico e privato ma non solo, tutto il sistema dell’arte della proprietà e della valorizzazione avesse un sistema efficace per lavorare e per crescere. Com’è iniziata e dove state andando?
Il mio lavoro riguarda la logistica e quindi la movimentazione delle opere d’arte, la loro tutela e custodia, da quando viaggiano a quando arrivano negli impianti di Art Defender o quando si attivano tutte le aree di consulting per quanto riguarda le valorizzazioni dei patrimoni artistici, sia privati che pubblici. Il gruppo Arteria, Art Defender insieme ad Art Defender Insurance, è un trittico abbastanza unico a livello nazionale e internazionale, una realtà operativa in grado di assistere realmente alla movimentazione e alla gestione delle opere d’arte.
Il sistema museale italiano sta cambiando, deve cambiare perché sostanzialmente il collegamento tra cultura, turismo e infrastruttura diventa fondamentale. C’è un punto su cui noi stiamo lavorando ormai da tempo che è effettivamente una parte del nostro patrimonio artistico e culturale ancora sconosciuta: quello dei depositi. In Italia abbiamo un patrimonio artistico e culturale infinito: lo abbiamo raccolto, lo abbiamo sistemato in qualche maniera (vado a cercare la parte critica, non la parte buona, esistono dei musei che hanno dei depositi che funzionano e custodiscono perfettamente le loro opere) ma purtroppo il territorio italiano non ha una rete di impianti gestiti anche a livello pubblico e privato, destinati alla custodia effettiva dei beni d’arte.
Se noi giriamo per l’Europa, in Francia o Inghilterra, ma anche in Austria, Svizzera e Germania, ci sono impianti modernissimi dedicati alla custodia conservativa dei beni. Noi non abbiamo ancora un sistema di questo genere. Quando a Torino nel 2018 abbiamo presentato questo progetto, si è trattato di un impianto di 12.000 metri, formato da stecche operative di 1.500 metri l’una, tutto in legno, e quindi anche dal punto di vista architettonico si trattava di una costruzione altamente innovativa per il territorio italiano, costruito appositamente per collegare tutti i musei del territorio e anche quelli della rete privata, fornendo anche tutto ciò che serve per la gestione dei laboratori.
Ogni anno abbiamo moltissimi studenti laureati in Conservazione dei Beni Culturali che non sanno assolutamente dove andare e cosa fare. Attraverso soluzioni di questo genere, andremo ovviamente a implementare enormemente la parte “professionale” del nostro lavoro. Una rete di impianti dedicati al Disaster Recovery – anche questo è uno di quegli argomenti con cui l’Italia deve fare i conti – perché a livello internazionale il nostro Paese è centrale dal punto di vista della capacità, competenza, esperienza, conoscenza e gestione del patrimonio artistico e della propria conservazione, sia per l’arte antica che per l’arte moderna e contemporanea.
Il punto cruciale del nostro lavoro riguarda poi la fruizione dei depositi: cioè deve essere visitabile vissuto dal pubblico. È l’ultimo anello di una catena culturale della città. Se uno strumento del genere riesce a diventare mezzo di supporto in una città metropolitana questo porta in sé il seme di una ricerca di sviluppo che può permettere un mantenimento sano delle opere d’arte, perché nell’analisi che noi abbiamo fatto con molti direttori di musei italiani la criticità del concetto di deposito è gigantesca.
Noi in Art Defender abbiamo sviluppato delle soluzioni di deposito ad altissima tecnologia e da lì abbiamo preso questa esperienza per cercare di tornare a dare al sistema paese un contributo in questo senso. Ed è chiaro che soltanto attraverso la rete dei sistemi regionali può nascere un progetto di questa portata. Il mio invito è anche quello di avere un’esperienza di studio e preparazione che in un grosso gruppo dedicato alla gestione e alla conservazione della logistica dell’arte è fondamentale.
GT: In cosa consiste il vostro progetto di piano di intervento internazionale?
Prima abbiamo visto l’importanza dei depositi come non solo nuovi strumenti di contenimento per le opere d’arte in maniera sicura e allo stesso tempo renderli fruibili a un pubblico come ultimo anello di una catena culturale di una città piuttosto che di un sistema museale, sia pubblico che privato. Seguendo la logica della protezione e della conservazione, a livello aziendale abbiamo analizzato cosa succede a livello di Disaster Recovery, noi come azienda veniamo chiamati in caso di catastrofi a intervenire insieme alla protezione civile nel recupero delle opere d’arte negli ambienti museali, ovvero su tutto quello che è salvabile dopo un terremoto o un’inondazione o quant’altro.
Dopo il terremoto del 2012 in Emilia-Romagna, fummo chiamati a portare via il salvabile dal museo di Cento, abbiamo portato nell’Art Defender di Bologna tutto il patrimonio artistico di Cento, tra cui tutto Guercino. Abbiamo avuto una sala intera dedicata a Guercino, abbiamo svuotato un intero caveau di 400 metri (caveau ipertecnologici) ma poi ci siamo resi conto che era fondamentale farle conoscere, dal momento che erano fuori dai circuiti museali. Così insieme alla TBS, un’associazione giapponese, portammo il Guercino in Giappone. Fu un evento straordinario per i giapponesi che adorano i blockbuster ma conoscono meno gli artisti chiamiamoli minori.
Grazie a questo abbiamo cominciato a capire che il Disaster Recovery era sì uno strumento di contenimento ma era anche riutilizzabile, e qui nasce questo progetto su cui noi stiamo lavorando. Agganciandolo al Piano Mattei lanciato dal governo italiano per l’assistenza dei paesi africani cercando di contribuire allo sviluppo economico e sociale in modo da impedire l’immigrazione selvaggia a cui stiamo assistendo. Noi partiamo dal presupposto che a livello comunitario europeo è stata lanciata una nuova legge che entrerà in vigore con i primi di gennaio 2025 attraverso cui, per limitare i fenomeni di terrorismo e circolazione della droga, la comunità ha fatto sì che si rendesse più difficile anche la circolazione delle opere d’arte, approvando una legge in cui si dice “per importare su territorio europeo un’opera d’arte che abbia più di 250 anni è necessario produrre il documento d’origine”.
Io credo che con lo strumento del Disaster Recovery appoggiato su una rete di depositi ad alta tecnologia su scala nazionale, diventare i custodi di opere d’arte o di beni artistici di paesi a cui il Piano Mattei si rivolge per poter in caso di catastrofe essere il primo strumento di recupero di opere d’arte all’interno di aree disastrate per evitare quello che è successo in Siria e in Iraq, dove è stata fatta la più grande spoliazione di opere d’arte archeologiche avvenuta nella storia moderna. Se noi come paese Italia attraverso il Piano Mattei possiamo proporre ai paesi a cui ci rivolgiamo uno strumento di salvaguardia del loro patrimonio artistico in caso di bisogno, facendo tornare l’Italia a un ruolo fondamentale nella vera tutela del patrimonio artistico e culturale mondiale.
Questo anche per abituare l’Europa ad avere una legislazione meno ossessiva rispetto a quello che sta avvenendo perché la circolazione delle opere d’arte, fatta con criterio, è manifestazione di cultura, non può essere impedita per l’ossessione della spoliazione. Tra l’altro anche l’arte contemporanea sta assumendo il ruolo che ebbe l’arte antica anni fa. Le nuove generazioni si affidano all’arte contemporanea, dimenticando quella antica, e, siccome la possono vedere solo e soltanto nei musei e non in circolazione, non ne hanno contezza e molto spesso se la dimenticano per strada.
*L’articolo è stato pubblicato su Inside Art #132, special issue dedicato agli Atti del convegno The Art Symposium tenutosi il 27 maggio 2024 alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma.