Valentino Catricalà è curatore e docente alla Manchester Metropolitan University. È stato direttore artistico della MODAL Gallery alla SODA-School of Digital Art di Manchester. Promuove la relazione tra arte e tecnologia attraverso la curatela della Sezione Arte della Maker Faire-The European Edition, la più importante fiera sulla creatività e innovazione in Europa, ed è Art Consultant alla Paris Sony CS Lab. Da febbraio fa parte del CdA del museo tedesco ZKM, il Centro per l’Arte e la Tecnologia dei Media. Valentino Catricalà è stato intervistato dall’editore di Inside Art, Guido Talarico in occasione del convegno The Art Symposium tenutosi alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma il 27 maggio 2024.
GT: I grandi curatori italiani non sempre hanno trovato spazio all’estero. Tu rappresenti un’eccezione. Cosa significa essere curatori italiani all’estero e in che modo il tuo lavoro risente o è figlio di questo sistema, del patrimonio culturale nazionale?
Ho iniziato in Italia, a Roma, e ho sfruttato le potenzialità di questa città che sono incredibili. Roma ha una grandissima forza, anche di comunicazione, sul piano internazionale. Banalmente, tutti vogliono venire a Roma. Ho quindi fondato un Festival, che all’epoca si teneva al MAXXI (promosso dalla Fondazione Mondo Digitale), iniziando a creare un network internazionale su tematiche che in Italia si vedevano ancora molto poco: il rapporto con le nuove tecnologie, l’intelligenza artificiale, i nuovi linguaggi dell’arte digitale. Intuivo che la forza attrattiva di Roma era talmente grande che portava a sé molti speaker internazionali, che cancellavano impegni per venire nella Capitale e partecipare agli eventi. Ho fatto poi molte altre cose finché è arrivata l’occasione di Manchester, un progetto nato da un finanziamento di 35 milioni di pound che sono andati alla Manchester Metropolitan University per due progetti intrecciati: la School of Digital Arts e la MODAL Gallery. Fu allora che partecipai a una application per curatori internazionali e andai all’estero. Ho incontrato una cultura differente, probabilmente meno profonda sul piano accademico e di ricerca, ma molto più dinamica, veloce, con un forte approccio business e che per questo dava molte possibilità a chi aveva voglia di fare. Tre mesi fa mi sono spostato in Arabia Saudita, per lavorare con il Ministero della Cultura a un grande progetto e l’approccio è nuovamente cambiato. Tutto quello che posso dire dell’esperienza estera è che il confronto internazionale prevede il cambiamento di logiche culturali politiche e anche di relazione. Bisogna stare molto attenti alle tematiche sensibili di ciascun paese, tematiche di genere a cui per esempio l’Inghilterra è estremamente sensibile, o anche alla geografia, da dove provengono gli artisti nel momento in cui organizzi una mostra, e via dicendo. Manchester è una città che per tantissimi anni è stata divisa da Londra, tutta l’Inghilterra per molto tempo lo è stata.
Negli ultimi vent’anni, però, c’è stato un interesse esplicito per elevare il nord dell’Inghilterra, e Manchester è la città che ne ha beneficiato di più. Si è presa quindi la parte di lancio per imporsi a livello internazionale, diventando il secondo hub culturale dopo Londra. Ad ogni modo, il fattore di confronto che mi interessa di più tra queste due città, Riyad e Manchester, è il fatto che in questo momento c’è una fortissima spinta tra gli artisti che stanno emergendo, ma manca ancora un tessuto di gallerie d’arte private, i collezionisti iniziano a emergere solo ora. Manca quel tessuto che poi fa l’arte contemporanea – che non è fatta solo della Tate o dei grandi musei – ma è fatta anche del tessuto sociale, dell’hummus che poi rende possibile la progettualità a tantissimi strati, mi sembra che ancora debba svilupparsi. Ecco, il contatto con i territori, con le persone e gli artisti è il punto dove ci interessa lavorare.
GT: Riyad è un mercato in sviluppo, in crescita. Qual è la tua visione in prospettiva per questo nuovo incarico? È indubbiamente una grande opportunità professionale e personale, ma in qualche modo rappresenti un modello italiano di vivere l’arte. Qual è la tua strategia su questo fronte?
Siamo in un territorio completamente nuovo, per darvi delle date: il Ministero della Cultura è nato nel 2018, l’Arabia Saudita ha aperto al turismo nel 2019 e molte leggi sono solo degli ultimi anni. Non parliamo di “ieri”, è ancora “oggi”. E tutto va alla velocità della luce se pensiamo che il 70% della popolazione è under 30. Parliamo dunque di un territorio in grande crescita, ma il cambiamento è talmente veloce che le informazioni a noi arrivano in ritardo, per cui noi spesso abbiamo delle idee vecchie sull’Arabia Saudita. Va detto che l’Arabia Saudita è un paese con delle possibilità economiche molto alte, ma anche che ha aperto negli anni una quantità di progetti enormi da gestire tutti allo stesso momento. È tuttavia anche un territorio pieno di energie incredibili, si ha la sensazione di costruire un nuovo mondo Per me è una sensazione nuova. Ora si sta cercando di tornare con i piedi per terra, e fare delle strategie più oculate. La volontà è quella di andare verso i nuovi linguaggi dell’arte e avere anche un approccio più sperimentale ma anche una rilettura della storia che vada al di là della visione classica dell’arte moderna e contemporanea. Per me è una sensazione nuova. Anche a Manchester parlavamo di un settore nuovo ma la mia percezione è sempre stata quella di combattere per i miei spazi all’interno di una struttura, qui si tratta di creare la struttura stessa. L’Arabia Saudita sarà il futuro come dicono tutti? Non lo so, ma sicuramente è un interessante presente.
*L’articolo è stato pubblicato su Inside Art #132, special issue dedicato agli Atti del convegno The Art Symposium tenutosi il 27 maggio 2024 alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma.