Questione identitaria, architettura ostile e muri che diventano punti di incontro tra frontiere. Le opere di Meletios Meletiou, tra dimensione ludica, suggestioni infantili e trame insidiose, anche se all’apparenza non sembra, sono estremamente personali. Attraverso l’utilizzo di materiali semplici e una pratica artistica essenziale, il suo lavoro non è solo un impressionante racconto di libertà ma anche una discussione etica su barriere che (forse) è possibile superare, su un mondo che cambia di continuo e su confini che non smettono di crescere e di cui ancora troppo poco si parla.

La tua prima personale a Cipro è stata Playground. Per comprenderne a pieno il significato, lo spettatore deve necessariamente tornare bambino. Playground è un terreno di gioco che può però diventare pericoloso. Come riesci a coniugare questi contrasti nelle tue installazioni?
Queste installazioni sono già di per sé bipolari anche perché il materiale è così. Si possono leggere in vari modi: la spugna che diventa dura e modifica il suo aspetto, la forma delle sculture che da vicino sembrano ceramiche, un motivo respingente che provoca sensazioni diverse. C’è tutto un gioco sia nel concetto che nella procedura pratica di questo tipo di installazioni. Anche la tematica dell’architettura ostile presente nei miei lavori indica una metodologia difensiva della città contro chi la abita o per chi la abita. Si tratta di contesti discordanti che si fondono tra loro e io cerco, attraverso l’infanzia, di superare questa tendenza a creare ostacoli con un approccio ironico e ludico. Le stesse sensazioni di chi vive queste installazioni sono contrastanti e possono variare, dipendono dal momento in cui le vivi. In Playground era immediatamente presente un aspetto giocoso che mascherava un pericolo ben nascosto da elementi come il colore; Buffer Zone aveva un’atmosfera diversa, più cupa e con ostacoli più presenti, nonostante entrambe le mostre parlassero gli stessi linguaggi.

Sono installazioni che un po’ aiutano a superare i limiti dello spettatore.
Ciò che mi interessa è cercare di ripartire dal punto zero, capire l’essenza delle cose. È facile attraverso il gioco trovare soluzioni e semplificare tutto, ma sappiamo che non è così. Il mio è un esperimento per mettere alla prova e sottolineare la tendenza di una città che cambia dagli anni ’70 in poi con installazioni poco decorose.
Da cosa nasce allora questa riflessione sull’architettura ostile?
Tutto parte da un progetto realizzato nel 2016, Imaginary Friends, piccole sculture realizzate con filo metallico. Si trattava di un workshop preparato appositamente per bambini autistici e che, sempre nello stesso anno, ho portato per loro durante le mie visite nei campi profughi di Lesbos. Ogni bambino poteva animare con il suo stato d’animo il suo pupazzetto e metterlo in tasca al momento della sua partenza. Anche gli adulti, dopo i bambini, hanno cominciato a mostrare interesse per questi oggetti: il gioco è sempre un polo che attrae tutti, come se fosse una calamita. Da lì si è creato un mondo immaginario e attraverso questa esperienza penso di aver trovato le mie radici. Vivere esperienze del genere ti cambia umanamente e ti fa vedere il mondo con occhi diversi: ho iniziato a notare che in ogni città sono presenti elementi di architettura ostile, Atene ad esempio è l’apoteosi.
Mi interessa molto prendere gli elementi di architettura ostile nelle diverse città e trasformarli in gioco: sculture che si muovono, giochi senza frontiere e muri che diventano punti di incontro di parti opposte. Siamo ovunque circondati da esempi di architettura ostile. Questa tendenza di creare ostacoli, muri, mi interessa molto. Attraverso la riflessione che diversi miei lavori mi hanno portato, ho cominciato a pensare che esagerando con gli ostacoli non rimane nemmeno spazio per le persone. Siamo circondati da una forte iperbole di mondi a confine che non si possono più muovere.

La situazione sociopolitica del tuo paese influenza molto ciò che fai.
Sono cipriota e a Cipro c’è un muro. L’invasione turca del 1974 ha provocato duecentomila profughi: sono storie che avevo sentito e che vivo da quando ero bambino. Andare anche nei campi profughi cambia il modo in cui vedi il mondo che ti circonda. Da lì ho iniziato a osservare la città più attentamente, come la città cambia aspetto con i flussi migratori e come cerca di difendersi. Vuoi o non vuoi è una stigmate, ovunque vai porti sempre il tuo paese con te. Ho cominciato a osservare più attentamente tutte le installazioni terroristiche nel mio paese, anche quelle parte di un’architettura ostile; ora sono qui da 13 anni e rifletto anche su Roma, sulle sue trasformazioni architettoniche nel corso degli anni.
Quale ruolo deve avere l’artista nella società odierna?
È una domanda molto complessa per me in questo momento della mia vita. Io cerco di parlare di me stesso non come artista ma come uomo nella società . Capire innanzitutto chi sono, cercare di scavare. L’artista deve farsi mediatore di un messaggio, nel mio caso può aiutare a comprendere meglio la situazione del mio paese, Cipro. Parlare di come una città cambia, come noi cambiamo, come ci relazioniamo con il tempo e aiutare a comprendere tutto questo.

Sinodós, un nuovo progetto espositivo
A novembre 2024 Meletios Meletiou presenterà una personale a Parma nell’artist-run/project space Display, a cura di Ilaria Monti. Sinodós è la prosecuzione di una idea che risale al 2018 e che riprende, reinterpretando e attualizzando, il progetto The companions (2018), ossia il racconto esperienziale dell’artista al campo profughi greco di Lesbos nell’inverno del 2016. L’iniziativa è nata con lo scopo di non far mai dimenticare determinate visioni, una raccolta di emozioni personali in cui l’aspetto ludico era preponderante, così come il forte impatto comunicativo. Nell’installazione parmense, l’artista cipriota utilizzerà materiali estremamente contrastanti, diversi e contrari a quelli che solitamente si trovano nella sua pratica artistica e, ad arricchire la mostra, sarà presente una luce molto particolare.
Biografia di Meletios Meletiou

1989
Nasce il 19 giugno a Lemesos, Cipro
2016
Avvia il progetto Imaginary Friends articolato in workshop e laboratori rivolti ai migranti svolti
tra Lesbos e Atene e il cui processo è stato documentato nel volume The Others
2020
Realizza l’installazione ReSize To Fit per il progetto Una Vetrina, a cura di Giulia Pollicita
2022
Presenta la personale Buffer Zone a cura di Gaia Bobò alla Fondazione Pastificio Cerere – Spazio Molini e in questa occasione pubblica con VIAINDUSTRIAE il libro d’artista Epidermis
2023
Presenta la personale Playground a cura di Panos Giannikopoulos alla Eins Gallery a Cipro
*L’articolo è stato pubblicato sul numero #130 di Inside Art.