Tappa Fissa riflette il suo autore, un pittore che non si ferma al già acquisito ma si migliora lavorando quotidianamente…la vera “tappa fissa” non è infatti il pub o la birra con gli amici ma lo studio dell’artista, in questo caso Post Ex a Centocelle, ma non può prescindere da tutto il resto. Se Flavio Orlando (classe 1991, vive e lavora a Roma) è, innanzitutto, un pittore tecnicamente valido, l’artista ha un modo di comunicare e di fare ironia tutto suo che traspare dalla sua pittura ma soprattutto ne è l’indispensabile contorno.

Basta guardare sui social com’è stata lanciata la mostra, prima dell’inaugurazione, e come ora si continua ad attirare l’attenzione sulla stessa, non abbassando mai la guardia. La mostra è annunciata in un fittizio servizio di telecronaca come «un cambio di rotta epocale», non solo per i romani, interpellando l’assessore alla cultura Nicola Giacomelli – a storpiare nome e cognome del curatore stesso, Niccolò Giacomazzi. Tappa Fissa diventa addirittura un farmaco capace di donare benessere “incontenibile felicità”, di dispensare energie e di far credere in se stessi in un altro video, studiato come fosse la pubblicità commerciale di un prodotto rivoluzionario.


I fuochi a Castel Sant’Angelo per la festività di San Pietro e Paolo diventano un omaggio alla mostra in corso e così via… Sicuramente, l’approccio curatoriale di Niccolò Giacomazzi è risultato decisivo, essendo già stato sperimentato per la mostra precedente di Flavio Orlando, Sottovesti al Chiostro di Santa Maria Sopra Minerva, prodotta da Fugu Project, il 27 giugno 2023, o in occasione della collettiva Drive me acid proposta da Giacomazzi dal 23 febbraio al 21 marzo 2024 presso il MLAC, il Museo Laboratorio dell’Arte Contemporanea della Sapienza. Si chiude così la stagione del Contemporary Cluster presso Palazzo Brancaccio: dopo l’estate, la galleria diretta da Giacomo Guidi cambierà sede. La mostra è divisa in tre atti, che coincidono con diverse stanze del Contemporary Cluster, seguendo una partitura esistenziale. Nella prima sezione l’autore sembra ripercorrere gli atti di una serata in compagnia, il titolo delle opere rimanda, infatti, agli orari della “Notte da leoni”.

In 22:30 un gruppo di ragazzi è in un negozietto, il cosiddetto “bangla”, a comprare birra prima della serata in discoteca. Qui Orlando manifesta la sua abilità nella cura dei dettagli, il volto del commerciante dietro alla rete e alle eliche di un ventilatore, il cartellone dei gelati che diventa un quadro nel quadro, tra Paul Klee e Philip Guston, ma con una morbidezza sbiadita che rievoca gli effetti del tempo sugli oggetti effimeri, come gli strappi dalla strada di Mimmo Rotella. La resa pittorica delle buste di plastica e della merce sugli scaffali mostra invece la fruttuosa contaminazione che avviene negli artist-run-space: Flavio Orlando condivide lo studio con altri artisti, come Luca Grimaldi, da Post Ex a Centocelle.

In 02.10 la prospettiva ribassata che definisce la composizione partendo dall’angolo in basso a destra – irradiandosi dall’urlo gioioso di una ragazza, con un ciuffo di capelli dritto come un’antenna – e il forte disimpegno dello spazio sgombro all’angolo opposto, evidenziano la matrice fotografica della pittura, la sua attinenza alla realtà e il desiderio di carpire attimi di felicità condivisa. Le opere nella seconda sala sono più intime, l’artista si ritrae in frangenti legati alla routine: mentre affetta la verdura sul tagliere, si allaccia le scarpe o si lava i denti, allo specchio con sguardo vacuo – è interessante il primissimo piano che riprende il soggetto davanti al suo riflesso, con la luce che colpisce il dorso della mano e fa brillare alcuni peli della barba più argentei, i baffi, e le ciglia folte. La pittura si presenta nella sua dimensione opaca (nel senso semiotico di Louis Marin), rivelando il suo carattere sistemico tramite un leggero tremolio che investe tutto il contenuto del quadro, restituendoci una realtà filtrata come da un sottilissimo velo d’acqua. Ce ne accorgiamo, in questo caso, osservando la cornice dello specchio la cui linea non corre dritta e regolare ma mossa da lievi ondulazioni.

Le azioni meccaniche rappresentate sembrano quindi trattenute, “fissate” nella loro umile bellezza. E se “la quotidianità conduce verso una sorta di automatismo” dei gesti, l’artista gioca proprio su questo senso di ripetizione che ci dà la sensazione di riavvolgere il nastro giorno per giorno, di girare in loop, come criceti sulla ruota di una capsula temporale. Il curatore sottolinea come l’artista restituisca il senso di disagio e la crisi esistenziale vissuta da molti neo-trentenni, stressati dall’aspettativa individuale e altrui di di raggiungere determinati traguardi professionali e sentimentali: «Per non cadere in un baratro emotivo, si ricerca un equilibrio tra il desiderio lacaniano di far riconoscere il proprio desiderio e l’emarginazione da un contesto che spesso si percepisce alienante».

L’ultima sala ci regala un “finale aperto”. In Stanza con vista (2024) Orlando ci restituisce raffinati brani pittorici giocando sulla trasparenza del tavolo tondo, sulle superfici lucido-riflettenti del tavolo nero e dello schermo catodico. La rappresentazione domestica, se osservata da lontano, sembra un frame unico. Avvicinandosi, la tela si rivela un trittico, tre sezioni strette che, tuttavia, non frammentano la visione. È un monito: nonostante la percezione ci restituisca inizialmente un saldo universo di oggetti, delle fessure bianche creano canali di luce netti – flussi di coscienza che attraversano la superficie. Alle spalle del salottino, una finestra ci riconnette allo spazio urbano. Ci affacciamo così su un mondo in celere cambiamento, cercando di decifrarne i meccanismi, con gli strumenti a disposizione: libri, smartphone e social network, programmi d’informazione e telegiornali. Quando siamo tra le mura domestiche abbiamo bisogno di evadere, sognando avventure e “isole del tesoro”, qualcosa che spezzi la catena dei “già visto, già vissuto”.

Fuori, in mezzo alla folla, appena scorgiamo una lampada illuminare il cuore di un appartamento, ci tuffiamo nei suoi spazi angusti ma rassicuranti, ancorandoci agli elementi ricorrenti e “familiari”. Le nostre “tappe fisse” sono così una via di mezzo tra un appuntamento irrinunciabile e il desiderio costante di sgomento e stupore.
Dal 12 al 17 luglio 2024
Contemporary Cluster, Roma
info: Post Ex