GRACE, questo il nome del progetto installativo che colorerà la Tate Britain, è «la costante rivisitazione della cultura nera e dell’atteggiamento ambizioso in condizioni straniere. GRACE esplora il modo in cui mia nonna, mia madre e mia sorella si sono presentate con grazia nella comunità dei Caraibi britannici» ha affermato Alvaro Barrington. Una esplorazione dunque, sulla cultura caraibica – visto le radici haitiane e grenadiane dell’artista – che è ancor prima un intimo viaggio che esplora i temi del luogo, dell’appartenenza e di quei legami indissolubili che nonostante la lontananza ci portiamo dietro.
L’installazione site-specific – fra dipinti, sculture, assemblaggi di oggetti e paesaggi sonori – è suddivisa in tre atti e indaga principalmente l’animo di tre figure fondamentali nella sua vita: sua nonna Fredrica, la sua amica e sorella Samantha Harrison e sua madre Emelda. Una peregrinazione che racconta la storia di una vita, la sua, quella celebrativa e profonda, intrisa di ricordi e segreta, ora esplosa nella miriade di colori che ne caratterizzano l’installazione. Il direttore della Tate Britain Alex Farquharson ha non a caso dichiarato che «GRACE dimostra la capacità di Barrington di tradurre la storia personale in esperienze evocative e riconoscibili».

Un’enorme ballerina d’argento avvolta da innumerevoli tessuti, accoglie il visitatore nella galleria centrale: la diaspora afrocaraibica è qui espressa nella sua forma più libera, la scultura comunica, evoca danza, colori, movimento. Una frenesia che però finisce, proprio come l’ultima tappa del viaggio più bello: l’ambiente conclusivo ospita uno spazio fatiscente, costruito secondo le dimensioni di una cella di prigione americana e che allude all’urgente problema dell’incarcerazione di massa, testimonianza dei pericoli a cui ancora oggi la popolazione afroamericana è soggetta. Musica, allegria, carnevale che nascondono in realtà un’essenza assai più inquieta: quella del riconoscere il dolore, la paura, i maltrattamenti e anche la sottomissione.


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