Elisabetta Benassi nasce, vive e lavora a Roma. Ed è proprio la sua città a dedicarle la sua prima mostra antologica. La mostra Autoritratto a lavoro, allestita nella grande sala all’ingresso del MACRO, una delle sue gallerie espositive, mette insieme 25 lavori, dagli storici dei primi anni 2000 fino alle opere recenti e tre produzioni create per l’occasione, attraverso i quali racconta gli oltre vent’anni della produzione artistica della Benassi.
Esponente della video arte italiana, ma non solo, la ricerca artistica della Benassi è caratterizzata dalla capacità di muoversi tra linguaggi, medium e immagini differenti: passa dalle installazioni ai video, dalle performance alle fotografie, in alcuni casi fondendoli in un tutt’uno operativo. Nei suoi lavori, facendo leva su suggestioni emotive e mnemoniche, fa coincidere aspetti autentici della realtà con piani diversi della conoscenza. C’è un riferimento al proprio vissuto personale e a indagini di carattere storico, sociale, antropologico, che la portano a compiere una esperienza artistica totalizzante.
Con riferimenti alla tradizione culturale politica e artistica del Novecento, alla psicanalisi e a temi controversi della contemporaneità, l’opera di Elisabetta Benassi percorre criticamente lo spazio conflittuale del presente. Sullo sfondo dei suoi lavori appare sempre una domanda sulla condizione e l’identità attuali, sui loro rapporti col passato storico e una spinta a riconsiderarlo, guardandolo in controluce, smuovendo lo spettatore nel profondo e spingendolo a riflettere.
In Autoritratto a lavoro, l’artista ha proposto una riflessione sul concetto stesso di retrospettiva e si propone, come dice il titolo stesso, come un autoritratto dell’artista al lavoro. L’allestimento pensato dalla Benassi è esso stesso un grande intervento installativo: una mise en scène delle sue opere, realizzata attraverso un sistema di architetture e ambienti disposti nello spazio come fossero quinte teatrali.
Le strutture modulari accolgono, si adattano e in parte nascondono le opere ai visitatori, i quali, lasciati liberi di muoversi nello spazio espositivo, scoprono ad ogni angolo qualcosa di inaspettato. Ogni struttura, ricoperta da pannelli modulari in gesso recanti le tracce degli stampi serviti a crearla, appare come un corpo scultoreo dalle sembianze brutaliste, risultando in un display che diventa esso stesso intervento artistico.
Le opere sono presentate in modo associativo e volutamete non cronologico. Grazie alla coerenza del display e alla continuità offerta dalle architetture in gesso, l’artista stabilisce un sistema di armonia formale, offrendo una cornice discorsiva alla sua ricerca che da sempre resiste i sistemi di classificazione, abdicando ogni idea di stile e canone.
La prima opera che accoglie lo spettatore è sonora: due voci femminili fuori campo gridano frasi che riprendono i titoli delle opere dell’artista Alighiero Boetti, combinate da un software in modo casuale. Si tratta di Ordine e disordine (2013-24), che nasce come performance realizzata per le strade di Roma e successivamente è stata ripensata come intervento diffuso per la stazione Vittoria della metropolitana di Brescia.
Tra gli altri troviamo: You’ll Never Walk Alone (2000), un video in cui immagina una partita a calcio, tenutasi allo stadio Flaminio, tra l’alter ego della Benassi, Bettagol, e un giovane che assomiglia a Pier Paolo Pasolini; in Timecode (2000) i due giovani, girano in moto per le strade della periferia romana. In entrambi i video la colonna sonora è costituita da frammenti del film Uccellacci e uccellini (1966) di Pier Paolo Pasolini.
Bettagol (2000), una giacca in pelle rossa con il numero 9 e il nome che dà il titolo all’opera, anche in questo caso entra in scena l’alter ego dell’artista; Autoritratto al lavoro, un ready-made, due motozappe d’epoca, una del 2016 e una del 2021, prodotte dalle Officine Meccaniche Benassi, in cui l’artista propone una riflessione sulla tradizione dell’autoritratto ed evoca l’idea dell’artista come macchina; All I Remember (2010 – in corso), in cui immagini riprodotte ad acquerello, mostrano didascalie, annotazioni e timbri presenti sul retro si migliaia di fotografie raccolte negli archivi di agenzie di stampa italiane e internazionali. In questo caso, l’artista priva lo spettatore dell’immagine fotografica e, con essa, del suo valore di simulacro, andando a costituire un archivio inedito della storia del XX secolo.
L’esposizione, aperta al pubblico fino al 25 agosto e curata da Luca Lo Pinto, direttore del MACRO, si inserisce nel programma Solo/Multi, ideato per ospitare mostre monografiche, a più voci o antologiche non convenzionali, pensate in modo organico quasi come fossero esse stesse opere d’arte, e dedicate a figure che, muovendosi tra diverse discipline, sfuggono ai tentativi di classificazione classici.