Cresce ancora il prestigio delle opere di Lorenzo Marini, che tra l’intervento alla Biennale e il risultato record dell’asta di Capitolium Art porta i suoi Blackhole direttamente nella storia. Allievo di Emilio Vedova, l’artista padovano è il caposcuola della TypeArt, corrente artistica che restituisce alle lettere e ai segni grafici la loro potenzialità estetica.

Gli esiti autorevoli di questa ricerca Marini li ha raggiunti proprio quest’anno. Nel Padiglione Nazionale Grenada della Biennale Arte, a Palazzo Albrizzi Capello, l’artista ha presentato un’opera mixed media in quattro pannelli, in cui vortici di lettere assumono la forma di un buco nero. Il lavoro di Lorenzo Marini, tra gli artisti ufficiali a Venezia, restituisce un processo di desemantizzazione dei segni: riducendoli alla sola forma, Marini ne esalta l’autonomia estetica e riporta le lettere in uno spazio aurorale che include e, al tempo stesso, esclude tutti i significati possibili.
Quale immagine migliore per includere il pieno e il vuoto di senso, se non quella del buco nero. Facendo uso della capacità di questi corpi celesti di disintegrare e far rinascere con la loro incurvatura spazio-temporale, l’artista coglie quel momento di pura potenzialità dei segni, in questo caso delle lettere, che rimangono solo in quanto esperienza estetica, priva di qualsiasi simbolo.

Portando alle estreme conseguenze la sua ricerca, con Blackhole Lorenzo Marini ha dato il via a una vera e propria rivoluzione, recepita in pieno anche dal mercato dell’arte. Sull’onda del successo di Venezia, la recente asta battuta da Capitolium Art – società bresciana in crescita tra le auction house italiane – ha registrato numeri record per l’artista, che per la seconda volta ha sfondato il muro dei 25mila euro per una sua opera. Si tratta Where unspoken words end, mixed media su tela della serie Blackhole, che come i lavori a Venezia, trova senso nello svuotamento del significato.