Le Romane, la generazione di artiste che hanno scelto la Capitale

A Roma è emersa una generazione di artiste, non nate in città ma che l’hanno scelta per lavorarci. E che, pur nelle differenze, appare compatta 

Per tanti anni, in Italia, se il discorso cadeva sulle artiste, si citava solo Carla Accardi, luminosa eccezione in un panorama dominato dagli uomini. Poi ecco un altro nome: Giosetta Fioroni, unica donna della Pop Art sul Tevere. Sì, perché anche Roma non faceva eccezione. Le donne, al massimo, erano compagne degli artisti: non angeli del ciclostile (gli anni sono quelli: i Settanta), ma angeli dell’atelier. 

Oggi tutto è cambiato. E, forse benedetta da Accardi e Fioroni, poi da una ricerca quasi pionieristica sullo spazio e l’installazione di Fiorella Rizzo, proprio a Roma sono attive una e più generazioni di artiste particolarmente interessanti. Elisabetta Benassi, Ra di Martino, Marinella Senatore (da poco tornata con lo studio nella capitale) hanno dato il via e a questo trio, che vanta già partecipazioni in Biennali e solide gallerie alle spalle, in anni più recenti si sono aggiunte Silvia Giambrone, Elena Bellantoni, Marta Roberti e Fiamma Montezemolo, anche lei tornata a Roma, sua città natale, dopo molti anni passati negli Stati Uniti. «Lavoriamo tanto e facciamo tutte una ricerca molto chiara», afferma Bellantoni. Chiara e diversificata che ora, per ragioni di spazio, riassumeremo brevemente. 

L’installazione è il must di Benassi, che ha dato ripetute prove di una capacità non comune di sfidare lo spazio con interventi potenti e ambiziosi; “artivismo” e poi la conversione verso grandi composizioni luminose per Senatore; il cinema, il video e la fotografia sono i linguaggi praticati da Di Martino; enigmatici e poetici collage sono il tratto distintivo di Roberti; una ricerca più orientata sul genere, sia pure da angolature diverse, e la scelta della performance per Giambrone e Bellantoni; il nodo arte e scienza caratterizza molto del lavoro di Montezemolo che, oltre che artista, è anche antropologa. 

A questo nucleo di sette artiste, se ne affiancano altre più o meno della stessa generazione, ma forse in una posizione più isolata rispetto alla massa critica del gruppo. Guendalina Salini con la sua ricerca sull’identità, i luoghi e i legami articolata con supporti spesso molto diversi e sempre molto poetici. Francesca Romana Pinzari, Beatrice Pediconi che, dopo molti anni newyorkesi ora fa la spola tra la Grande Mela e Roma evolvendo in un linguaggio, anche questo a metà tra pittura e fotografia, sempre più interessante e le più giovani Caterina Silva, pittrice (ma non solo) tornata anche lei a Roma dopo un passaggio londinese, Sonia Andresano e il duo Grossi Maglioni, orientate più sulla performance.

A proposito di giovani sono molte, moltissime “le romane”, che lavorano, o si sono formate, in quel contesto e fenomeno molto romano degli spazi indipendenti che caratterizza la vita artistica della capitale da un po’ di anni a questa parte. Voglia di condivisione, confronto diretto tra gli stessi artisti affiancati da curatori altrettanto giovani, sono state le premesse anche per Federica di Pietrantonio, giovane e decisa nella sua ricerca molto improntata sull’Intelligenza Artificiale che ha mosso i primi passi a Spazio In Situ, così come Lulù Nuti ha iniziato a Post Ex e Sveva Angeletti a Spazio In Situ. Se Di Pietrantonio, Nuti e Angeletti sono oggi le giovani romane più in vista, tante altre lavorano e promettono bene. Impossibile citarle tutte, ne ricordiamo alcune, senza voler far torto ad altre: Maria Verdiana Bove, Caterina Sammartino, Guendalina Urbani, Krizia Galfo.

Queste due generazioni sono state precedute da presenze importanti, ma isolate, non inserite cioè in un contesto di confronto, rilanciato dai media, che ne facilitasse la visibilità. Parlando di Roma non si possono dimenticare le brave, e quasi eroiche nella tenacia della loro ricerca, Bruna Esposito, Marina Paris e Donatella Spaziani, appartenenti a quella generazione (il discorso vale anche per gli uomini) che non ha fatto in tempo a beneficiare delle tante opportunità di cui oggi godono gli artisti, anche in Italia (il che la dice lunga): residenze, inviti all’estero, circuitazione di mostre. Poi, appena dopo loro, altre tre outsider: Chiara Passa, Maria Grazia Pontorno e Alice Schivardi

Come mai oggi ci si aggrega più facilmente, anche senza condividere necessariamente lo stesso luogo di lavoro, ma ponendosi con maggiore consapevolezza (“gruppo” in questo senso: compattezza, capacità di fare massa critica) scelta che, penso, faciliti anche la crescita, oltre che la visibilità? «A noi sono state fatte più domande, anche forse per stringerci all’angolo. E questo ha comportato che ci siamo dovute più interrogare, abbiamo dovuto riflettere maggiormente sul nostro lavoro. Questo forse spiega la compattezza di cui parli. Ma c’è stato anche una sorta di fenomeno di contagio tra le donne, che poi era l’obiettivo del me too. E forse anche questo fenomeno ci ha reso più coese e più consapevoli», risponde Silvia Giambrone.

Fenomeni sottotraccia e più espliciti, insomma, hanno creato le premesse perché un po’ di cose cambiassero. E poi, certo, c’è la qualità del lavoro, la costanza e la determinazione nel portarlo avanti. Anche in una città indolente e sfilacciata, e a volte addirittura pericolosa per gli artisti, qual è Roma.

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