miart 2024, Nicola Ricciardi ci parla di una fiera che va «oltre»

Sotto la direzione di Nicola Ricciardi miart 2024 è un invito a perdersi, imbattersi nell’inaspettato, innamorarsi dell’arte inattesa

Nicola Ricciardi, alla direzione artistica di miart ormai dal 2020, ci racconta di una fiera che proprio come una «navicella spaziale», esce dai confini di spazio e di tempo, in un viaggio che ci porterà sempre più lontano. Il titolo di questa ventottesima edizione è non a caso, No time no space, dal brano di Franco Battiato che invita a parlare dell’esistenza di «mondi lontanissimi», esplorare le profondità dell’ignoto in un tempo cristallizzato e privo di confini. Una fiera che per quest’anno sarà ancora più sostenibile, che non è solo una piattaforma commerciale, ma una realtà di nicchia, al contempo internazionale e specifica. Uno scrigno di tesori preziosi e nascosti nell’imprevedibile: l’invito di Nicola Ricciardi è proprio quello di esplorare con il rischio di perdersi, abbandonare ogni preconcetto, sconfinare nel nostro incontaminato. Per entrare forse spaesati, ma uscire più consapevoli.

Il titolo di questa edizione è No Time No Space, omaggio a Franco Battiato e inno all’assenza di confini. Come mai questa scelta?

Siamo arrivati a un punto del percorso iniziato nel 2021, quando mi sono trovato assieme al mio team a dover ricostruire la fiera da zero dopo la tabula rasa a seguito della pandemia. Era necessario ricostruire un modello e questo percorso lo abbiamo fatto a mano mano, crescendo – Crescere non a caso era il titolo della passata edizione. Per quest’anno siamo davvero tanto cresciuti, con numerose collaborazioni, proprio come come le radici che rompono il vaso di terracotta per innestarsi in terreni fertili. Ci siamo resi conto di essere usciti dai nostri confini spaziali e temporali e da qui, l’idea di un artista profetico e brillante come Battiato. Abbiamo deciso di omaggiare la sua figura con un titolo che parla proprio della nostra incontenibilità per questa edizione 2024. No space è uscire dai confini del quartiere fieristico, no time è sconfinare nella settimana successiva alla nostra, la settimana della Milano Design Week e della Biennale di Venezia, e non solo: sconfinare indietro nel tempo, che è un preludio di quello che faremo nei prossimi anni, con degli affondi sempre più lontani nel tempo. miart, proprio come una navicella spaziale, quest’anno farà un primo viaggio all’inizio del Novecento: il progetto si chiama Time Escape e intende allargare il numero di possibilità da presentare al pubblico. Quest’anno toccherà agli albori del Novecento e nei prossimi anni si scaverà sempre più indietro, non so dove arriveremo, ma so che abbiamo impostato il navigatore molto lontano.

Per questa edizione, lei ha curato l’installazione di David Horvitz.  In cosa consiste l’intervento di curatela?

In realtà, ancora una volta sempre per sconfinare, quella che doveva essere solamente una installazione si è poi trasformata in una mostra, la prima monografica dell’artista in Italia, con oltre venti delle sue opere – tra lavori storici e nuove produzioni – che ripercorrono la sua carriera. Il contesto della mostra è molto particolare: un ufficio dismesso all’interno degli spazi di BiM e che permetterà al visitatore di riflettere sulla capacità dell’arte di far presa su altri luoghi o discipline lontani dai contenitori tradizionali, in continuità con il tema No time no space scelto per questa edizione. Inoltre, David Horvitz è un artista che ha sempre cercato di scardinare i nostri preconcetti di tempo e spazio e non a caso, ognuno dei lavori qui raccolti si confronta con l’idea di tempo e con la sua standardizzazione, provando a creare cortocircuiti temporali.

Secondo i dati riportati nel “The Art Basel and UBS Survey of Global Collecting in 2023”, nella sezione dedicata alla fiera d’arte emerge che le opere comprate sono scese rispetto al 2022 dal 74% al 58% e si teme che questo dato possa ancora scendere in questo 2024. Tra le motivazioni, oltre al fatto che i collezionisti viaggiano meno, anche la crescita di attenzione alla propria impronta ecologica. Qual è, secondo lei, la panoramica dell’andamento degli ultimi anni? Ci sarà qualche miglioramento?

Io di natura sono un inguaribile ottimista, altrimenti non avrei iniziato a lavorare come direttore di una fiera nel 2020, il peggior anno possibile. È ovvio che c’è una contrazione forte del mercato e la speranza mia e di tutti gli operatori è quella che possa seguire un rebound e dunque una risalita. Sono tempi in cui è molto difficile fare previsioni, avere un commitment da parte dei collezionisti o istituzioni che proprio per via dell’incertezza del momento economico che stiamo attraversando sono più restii a fare investimenti importanti, prediligendo quelli di piccola scala. Ovviamente questo cambia le dinamiche del mercato e diventa preferibile partecipare a una fiera come miart, che è una fiera importante ma comunque di dimensioni contenute. Noi paradossalmente in questo momento abbiamo anche un vantaggio competitivo sul mercato, essendo una realtà di nicchia: ci inseriamo in un terreno di mezzo che cerchiamo di rendere virtuoso attraverso una serie di strategie per cercare di attrarre collezionismo internazionale, che magari ha sempre frequentato le grandi fiere e che ora invece guarda a miart come un’alternativa più sostenibile. Una delle più grandi qualità di questa fiera è infatti quella di riuscire a mettere insieme sia grandi nomi di galleria internazionali – che partecipano ad Art Basel e Frieze London – ma anche tante piccole realtà di cui importanti collezionisti non hanno mai sentito parlare e che aiutano a far scoprire tesori preziosi: da un disegno di Pasolini a una stampa di Pino Pascali.

miart è stata la prima fiera italiana ad entrare nella Gallery Climate Coalition. Ci sono ulteriori goal da raggiungere rispetto alla sostenibilità o qualche nuova iniziativa che verrà proposta quest’anno inerente all’argomento?

Abbiamo preso un impegno ormai due anni fa, nel cercare di migliorare ogni anno. Questo è in linea ovviamente con gli obiettivi aziendali di Fiera Milano, che si è impegnata nel rendere le sue manifestazioni sempre più sostenibili, consapevole del fatto che la stessa industry del “fare fiera” è qualcosa che lascia un’impronta non sicuramente sostenibile. Nella consapevolezza di ciò, il nostro scopo è quello di attuare qualsiasi cosa per cercare di ridurre questo impatto. Ad esempio, proponiamo alle gallerie di fare dei groupage e quindi dei trasporti collettivi e anche altre tante piccole iniziative, dall’essere sempre più paperless, all’essere più attenti al riutilizzo dei materiali: oramai da un paio d’anni a questa parte, invece di prendere ogni anno nuove pareti abbiamo sviluppato un sistema di continuo riutilizzo delle stesse.

Quali saranno gli elementi più interessanti a livello emergente, fra gallerie o artisti che, secondo lei, piaceranno particolarmente al pubblico?

In generale in miart c’è una grande attenzione per le gallerie emergenti: da due anni a questa parte abbiamo deciso di inserire la sezione Emergent proprio all’ingresso della fiera, “costringendo” chiunque a passarci: coercizione che in realtà ha dimostrato di essere molto produttiva per tali realtà. Per quanto riguarda gli artisti, se penso al medium del video, mi viene in mente fra tutti il lavoro di Jenna Bliss, artista affermata rappresentata da una galleria relativamente fresca e giovane. Racconto questa storia perché è molto interessante. La galleria in questione è la Felix Gaudlitz, galleria viennese che ha partecipato agli ultimi tre anni per la sezione Emergent e che quest’anno è passata alla sezione Established. La Felix Gaudlitz lo scorso anno ha presentato il lavoro di Jenna Bliss, lavoro che poi è stato scelto da un collezionista, Massimo Giorgetti – patron di msgm che è anche uno dei nostri sponsor – e quest’anno proprio Giorgetti, ha deciso di dedicare l’intera parete d’ingresso a miart e proprio a quest’artista, per cui avremo una serie di video di Jenna Bliss, alcuni realizzati appositamente per l’evento. Penso che sia un bellissimo messaggio, ovvero quello che ci sia un collezionista lungimirante che decide di puntare su un’artista giovanissima, conferendogli l’onore di essere la porta di ingresso su miart.

Da direttore della fiera cosa consiglierebbe a un visitatore sulla programmazione?

Perdersi. È la cosa bella di miart ed è ciò che ci impegniamo a fare, mescolare sempre di più le carte tra moderno e contemporaneo, tra design e pura e innovazione. Io credo che il nostro obiettivo maggiore, sia che il visitatore sia un collezionista o uno studente, entri a miart senza avere una idea o un preconcetto di quello che troverà. L’augurio è che il visitatore vaghi e si innamori di cose per lui inaspettate. Io cito sempre la storia di un collezionista che si è sempre interessato al contemporaneo e che un paio di anni fa, proprio perdendosi, si è imbattuto in un ritratto di De Chirico e ha deciso di acquistarlo. Quando sono andato a trovarlo a casa sua e mi sono trovato davanti proprio quell’opera, ho pensato che fosse molto interessante vedere un artista storico nella casa di un collezionista contemporaneo: questo è possibile solo se il collezionista è disposto a perdersi, a lasciarsi guidare dagli occhi, dal naso, dal fiuto e dall’istinto.

info: miart2024.it

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