Pratica femminista, un lavoro di immedesimazione

Alla galleria Triangolo quattro artiste esplorano l’elemento femminile e femminista in tutte le sue sfaccettature, da quelle più leziose alle più intime

«Sometimes, in order to understand things, you just need to scratch a bit the surface, but other times you need to actually go a bit more into it. Graffiare la superficie a volte non basta, come dichiara Sylvie Fleury. Le cose infatti si notano, valorizzano, cambiano ed evolvono andando più in profondità».

Con questa introduzione la curatrice Rossella Farinotti invita i visitatori della galleria Triangolo di Cremona ad un lavoro di immedesimazione. Grazie allo sguardo di quattro donne, infatti, l’elemento femminile e femminista si sviscera in tutte le sue sfaccettature, da quelle più leziose fino a quelle più intime. Nicole Colombo, attraverso una sua scultura inedita, unico elemento antropomorfo della mostra, dà il via ad un percorso che coinvolge le opere di Olivia Erlanger, Sylvie Fleury e I.W. Payne, quest’ultima alle prese con la sua prima esposizione in Italia.  

«La galleria ricorda una casa, un luogo intimo, inclusivo, che porta alla riflessione e alla cura del sé. Un nido privato e custodito dove ognuno è benvenuto e incluso, il consumismo degli oggetti è ribaltato, il loro utilizzo cambia. […] Finzione, stereotipi indicati con minuzioso humor, cinismo e sensualità, politiche di genere raffinatamente trattate, combinazioni distopiche, ultra mondi come rifugi per evadere: le artiste rilevano dei valori sui quali porre lo sguardo partendo da elementi comuni». Primo fra tutti: la ritualità.

Gesti abitudinari, quotidiani, legati alla sfera femminile, come spazzolarsi i capelli diventano il motore per indagare lo sguardo dell’altro. E così, se per le donne questa gestualità è legata a un momento di cura, per lo sguardo dell’uomo può anche trasformarsi in un’azione provocatoria, sporca. La spazzola sovradimensionata dai denti aguzzi e metallici di Nicole Colombo (Nausicaa is a punk rocker) è piena di fili rossi che richiamano proprio ai resti di quel fare; possiamo immaginarli a terra, quei capelli, o sulle pareti di un bagno umido, in un’estetica perfettamente antitetica.

Le mattonelle di ceramica candida che occupano le pareti del piano interrato della galleria per Colombo richiamano proprio a un bagno e le gocce su di esse a quegli attimi routinari in cui le lacrime di mischiano alle gocce d’acqua (Ti ho donato una lacrima). Come una trama, fruste di capelli tessono l’ambiente, morbide, sinuose, fino a incontrare un rosario in ottone galvanizzato in argento. I suoi grani sono stampi della castagna di mare e ricordano, in modo inquietante, sia degli oggetti di preghiera che bene si adattano alla morfologia della mano, sia delle vertebre.

L’uso dei materiali è fondamentale nella poetica di Colombo, soprattutto il loro significato simbolico. «Pelle, alluminio, capelli sintetici, catene, plexiglass, lattice e ganci danno vita a una visione impeccabile e altamente estetizzata per attrarre lo spettatore e introdurlo a una più ampia gamma di possibilità come lente di approccio alla realtà. Nella zona di confine tra disagio e comfort, tra dinamiche di potere e potere della fragilità, tra amore e lussuria, dolore e vulnerabilità, libido e repulsione, corpo e narrazione, l’artista apre spazi pieni di libertà e resistenza».

Chi recupera forme e storie da mercatini dell’usato per rimetterle in fila ordinatamente è I.W. Payne. Classe 1997, l’artista londinese si distingue nello spazio espositivo perché, come Nicole Colombo, lavora sulla ripetizione, che nel suo caso è formale e non più gestuale. 

Sia la scultura Tired Usherette che l’istallazione Changing Room Eavesdropper richiamano al corpo umano, che tuttavia non è mai presente. La prima opera fa riferimento alle figure femminili alla Betty Boop che con la loro procacia vendevano, nella prima metà del ‘900, articoli di vario genere nei locali. Il vassoio dalla fascia di seta da indossare reca, in questo caso, non la merce da vendere, ma una forma per il burro che altro non sembra se un piatto pieno di seni. Esattamente come quello messi in mostra dalle “nostre” usherette.

Il secondo richiamo al corpo è nell’istallazione composta da un cumulo di etichette di vestiti in plexiglass che, così vicine tra loro, sembrano raccontarsi le storie ascoltate nei camerini dei negozi. Un’altra volta, dunque, una sineddoche visiva; una parte per un tutto più complesso.

E se le sculture, come i disegni, sono pause di riflessione della Payne, i racconti di Olivia Erlanger non lasciano alcuno spazio alla leggerezza. Gli ambienti domestici della camera e del bagno, visti attraverso a una lente da Grande Fratello, ribaltano completamente la visuale sul mondo che ci circonda, che ci avvolge e, anche, ci imprigiona, “esplorando l’esperienza sfumata dell’esistenza in mezzo al crollo sociale”.

Si avverte, in questi modellini maniacalmente perfetti, l’urgenza di creare una realtà parallela, ma anche di accendere un dibattito, una critica sulla realtà, sul concetto del guardare e dell’essere guardato a sua volta. Di considerare delle alternative partendo da un “realismo fantastico”, o dal concetto di backroom, spazi liminali nati in rete in cui predomina il senso di “nostalgia, smarrimento e incertezza.” Chissà se la coda di sirena di Pergusa si sta tuffando o sta uscendo dalla lavatrice? Soprattutto, che cosa ci fa qui? È un sogno, un fake, un’invenzione dalla mente o è reale? Le installazioni di Olivia diventano, dunque, un luogo per la mente.

Le sfumature magiche della Erlanger non tralasciano però un forte impatto femminile, che nelle due opere iconiche di Sylvie Fleury trovano una sintesi perfetta.

Photo Michela Pedranti

«La sua attenzione ai banali agi del consumismo critica umoristicamente il nostro consumo di tali oggetti, che assumono un doppio significato spiritoso come opere d’arte, ugualmente banali nella natura ma più seducenti attraverso la loro associazione con il lusso del mercato dell’arte e lo spazio museale o galleristico. In modo intrigante, Fleury dirige il suo approccio satirico verso gli artisti maschi, sondando il grandioso machismo dell’arte moderna. Il suo commento sulla politica di genere opera in due direzioni, affrontando sia il mercato dell’arte che il consumismo incessante della nostra era». La traccia di rossetto sul bicchiere o il pannello in pelliccia sintetica rosa dichiarano senza troppi mezzi termini il diritto alla superficialità e alla leggerezza. E parlano proprio alle donne, chiudendo così un cerchio partito dallo sguardo su di loro allo sguardo dentro loro.

Mayday Everyday
Sylvie Fleury, Olivia Erlanger, I.W. Payne, Nicole Colombo
a cura di Rossella Farinotti
Galleria Triangolo, Cremona
fino al 4 maggio 2024
per info: iltriangoloartgallery.com

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