La Fondazione Sandretto inaugura un nuovo programma di mostre

Saranno quattro le personali che la Fondazione Sandretto ospiterà, muovendo dalla pittura alle installazioni video

Tra pittura contemporanea e installazioni collettive, la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo presenta un nuovo palinsesto di mostre. Con l’inaugurazione il 19 marzo, gli spazi della Fondazione saranno popolati dalle opere di Danielle McKinney, Mohammed Sami, Diana Anselmo e The Otolith Group. Ciascun artista esporrà i propri lavori in una personale.

“Fly on the Wall”: il posizionamento di Danielle McKinney

Con Fly on the Wall, l’artista statunitense Danielle McKinney (1981) propone al pubblico un ciclo di dipinti realizzati per l’occasione, oltre a una selezione di lavori già esistenti, che rimarranno in esposizione alla Fondazione Sandretto fino al 13 ottobre. Prima personale dell’artista in Italia, Fly on the Wall richiama l’omonima espressione anglosassone “fly on the wall” (mosca sul muro), spesso utilizzata come metafora per descrivere l’osservazione di una determinata situazione senza che il soggetto sia notato o coinvolto. In altre parole, essere un osservatore invisibile del comportamento umano.

Supponendo questo posizionamento rispetto a quanto rappresentato nei suoi dipinti, Danielle McKinney esplora nella sua pittura il soggetto femminile. L’artista costruisce le sue composizioni da una tela completamente nera, dando vita a scene che emergono dall’oscurità in chiaroscuro. Di formazione fotografa, McKinney sceglie in genere fotografie trovate online e nelle riviste come punto di partenza per le sue immagini. Ma non solo: anche altri dipinti sono utilizzati per per analizzare le sfumature dei gesti, i colori e le forme. Con questa pratica, l’artista rivisita in chiave contemporanea la tradizione della pittura modello.

Assemblando diversi materiali e dalla sua posizione invisibile, l’artista racconta figure esclusivamente nere e femminili, cogliendole nei momenti privati e di introspezione. L’inconsapevolezza della presenza di uno spettatore si riflette nella spontaneità di sentimenti e movimenti, complici del senso di sicurezza e protezione che si prova nell’intimità dei propri spazi.

Mohammed Sami, una pittura in bilico alla Fondazione Sandretto

Come per Danielle McKinney, anche la mostra di Mohammed Sami (Baghdad, 1984) è la prima personale dell’artista in Italia. Fino al 13 ottobre, Isthmus presenta alla Fondazione Sandretto un ciclo di dipinti interamente realizzato per l’occasione.

Nella sua produzione, Sami ha concentrato la sua ricerca sull’esplorazione del rapporto tra pittura contemporanea e memoria episodica, come anche l’esperienza di ciò che l’artista definisce “thereness”, ovvero la sensazione di essere momentaneamente e inconsapevolmente spinti – spesso attraverso una sensazione – in un luogo della propria mente che non è “qui”, ma altrove. Temi, questi, che attingono all’esperienza della migrazione dell’artista come evento traumatico. Affinando l’uso di varie capacità tecniche, tra cui la composizione e l’inquadratura, il colore, la texture e la titolazione, Sami cerca di spingere il potenziale della pittura contemporanea di evocare atmosfere specifiche senza inserire nulla di esplicito o diretto.

Isthmus richiama il concetto di istmo, un luogo che separa due cose. In arabo, quest’idea è incorporata nel termine “Barzarkh”, che denota la separazione tra il mondo dei viventi e ciò che viene dopo, simile al concetto cristiano di purgatorio. Così, la mostra suggerisce l’idea dello stare in bilico, uno stato d’animo che è presente in tutti i dipinti, in cui utilizza materiali di uso quotidiano mescolati alla pittura, come sabbia e vernice spray. Anche dal punto di vista compositivo, le opere evocano atmosfere inquiete e frammentarie.

L’intervento LIS di Diana Anselmo

Artista e performer sordo, Diana Anselmo porta alla Fondazione Sandretto il capitolo di un progetto avviato nel 2023 con una lecture-performance concepita in collaborazione con Sara Pranovi, interprete LIS (Lingua dei Segni Italiana).

In esposizione fino al 13 ottobre, Je Vous Aime – prima personale dell’artista – è un’indagine sulla relazione tra il pre-cinema e la storia di oppressione della comunità sorda, inquadrata nello scenario della fine del XIX secolo, una fase di patologizzazione dei corpi non normativi. In questa cornice storica, nel 1891, quattro anni dalla première dei fratelli Lumière, Georges Demenÿ realizza Je Vous Aime, la prima proiezione cronofotografica di sempre. L’immagine sul muro, incerta e poco illuminata, ritrae per meno di un secondo il volto dello stesso Demenÿ nell’atto di pronunciare la frase “Je vous aime”.La pellicola sancisce un momento fondamentale per la storia della cinematografia, ma, al tempo stesso, rappresenta un primo impiego coercitivo di questa tecnologia ai danni delle persone sorde.

Il progetto di Anselmo ripercorre così ripercorre la relazione tra la nascita del cinema e le politiche abiliste ed audiste, tracciando un invisibile filo di continuità tra il controllo dei corpi del secolo scorso e il perdurare dell’esclusione sociale della comunità Sorda oggi. Diana Anselmo espone e manipola immagini e documenti d’archivio dell’Institut National des Jeunes Sourds, in dialogo con una nuova produzione video, realizzata attraverso il visual sign. Alternando storia ufficiale a storie minori, Je Vous Aime rappresenta una partitura e un canto visuale per l’emancipazione della comunità Sorda.

The Otolith Group, alla Fondazione Sandretto una nuova prospettiva sull’artista

The Otolith Group, duo artistico formato da Kodwo Eshun e Anjalika Sagar, presenta alla Fondazione Sandretto una nuova installazione che rimarrà esposta fino al 2 giugno. Caratterizzato da una pratica artistica post-cinematografica, il duo propone per gli spazi della Fondazione What the Owl Knows, che prende il nome dall’ultima opera video che Eshun e Sagar hanno realizzato.

Con l’obiettivo di riconfigurare le relazioni intertemporali tra passato, presente e futuro, la ricerca di The Otolith Group trae spesso origine dalle opere esistenti di compositori e musicisti, poeti e pittori, creando un nuovo modo di sentire per ripensare la massa e il movimento delle immagini. Così, il duo ha messo a punto una pratica sonora di creazione visiva che invita il pubblico ad ascoltare il video come una coreografia di immagini in movimento.

What the Owl Knows nasce da un’amicizia duratura tra la pittrice e scrittrice Lynette Yiadom-Boakye, Sagar ed Eshun, la cui ammirazione reciproca costituisce il presupposto per un’opera che mira ad affermare le affiliazioni oblique all’interno, tra e attraverso i media. I documentari tradizionali e la televisione contemporanea, così come i musei e le gallerie, tendono a ricercare le motivazioni dell’artista in quanto figura pubblica, per restituire un approfondimento psicologico. Al contrario, il lavoro di Eshun e Sagar vuole frustrare la richiesta di spiegazioni biografiche da parte delle istituzioni: all’imperativo biografico che caratterizzale storie dell’incontro del cinema con la pittura What the Owl Knows sostituisce una prospettiva nuova.

L’opera mette in sintonia il pubblico con il tono e la consistenza dell’attenzione che la pittrice Lynette Yiadom-Boakye dedica al contegno e alla disposizione, mirando al tempo stesso a disarticolare il lavoro della pittura. Ciò che anima l’opera è l’ambizione di spostare lo sguardo dalla pittrice, in quanto oggetto di attenzione, alla qualità dell’attenzione che la pittrice dedica alla pittura. La struttura ricorsiva duetta con una serie di scene in cui Yiadom-Boakye appare come una figura singolare mentre legge le sue poesie, ciascuna riconcepita per il video.

info: fsrr.org

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