L’arte migliora la nostra salute mentale?

Nuove pratiche terapeutiche mostrano come l’arte possa contribuire al benessere psicologico di ciascuno di noi

Art on prescription è l’ultima “ricetta” artistica che indica l’arte come terapia capace di contribuire al benessere mentale. Il fenomeno medico-culturale, nato dapprima in America e Canada, e poi giunto in Regno Unito, si fonda su alcuni studi condotti dalla ricercatrice inglese Daisy Fancourt. Tutto comincia da un problema: la pressione sul sistema sanitario UK «spesso generata da malesseri che non necessiterebbero di un medico per essere curati», dice la Fancourt, che sostiene che solo ad un terzo dei richiedenti servirebbe essere medicato fisicamente.

Sono soprattutto fasi giornaliere, stati psichici passeggeri che influiscono sulla percezione della salute dell’individuo, come la solitudine e l’ansia, ma che se non “curate” in tempo potrebbero aggravarsi divenendo casi clinici. E qui giunge la cura, che rappresenta una strada alternativa alla medicina: quella che le ultime generazioni definiscono “social prescription”, per il suo share digitale, di cui l’arte è protagonista. Non solo confinata nello schermo di un telefono, ma una vera pratica terapeutica riconosciuta da alcuni esperti dell’Istituto Superiore di Sanità inglese, che nasce digitale per poi concretizzarsi in un programma intensivo colmo di esperienze e percorsi artistici.

Tra le proposte prescrivibili compaiono: visite guidate a mostre con soggetti naturali, mostre interattive, percorsi audiovisivi, laboratori creativi manuali, social art clubbing. «Ogni tipo di esperienza assume una forma personale», spiega Piero Consolati, uno dei primi a parlare di benessere nell’arte con il suo progetto Slow Art, che si pone l’obiettivo di rendere la classica visita al museo un’esperienza su misura, che permetta al visitatore di evadere dalla routine per qualche ora dedicando corpo e mente alle opere.

Lo stesso progetto è stato ripreso dal Vincent Van Gogh Museum di Amsterdam, che ha intitolata una delle sue ultime mostre Open up with Vincent, usando il vissuto dell’artista come spunto di riflessione sulla salute mentale nei tempi moderni. Alla lista si aggiungo molte altre gallerie che hanno messo in atto questo dialogo psichico-artistico, tra le quali spicca l’italiana Fondazione Rovati di Milano ed il suo progetto intitolato “Museo gentile”, che vuole rendere lo spazio del museo un luogo d’incontro e di connessioni, favorendo un’arte sociale che avvicini le persone in uno spazio comune.

Questo modello di visita prende il nome di ‘’restorative effect’’, un termine proveniente dagli studi di Robert e Samuel Kaplan, i primi a porre all’attenzione del pubblico artistico le possibilità d’incontro che un dipinto può creare, contribuendo all’aumento dei rapporti umani in un contesto culturale come quello del museo Rovati. La Fondazione Rovati è uno dei rari casi italiani. Ad ora sono poche le istituzioni pubbliche e private che accolgono il tema del benessere tra le proprie sale. Ma l’ultimo evento ASBA, svoltosi a Milano due anni fa, parla di crescita sul tema e di potenziali incontri tra Stato e arte, aprendosi alla possibilità di un programma istituzionale che ne riconosca i benefici e li agevoli.

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