Contemporary Museum Watching, Alex Trusty guarda noi che guardiamo l’arte

A Palazzo Reale a Milano, lo sguardo fotografico di Alex Trusty rapisce i visitatori nei musei di tutto il mondo

Sarà visitabile fino al primo aprile la mostra fotografica Contemporary Museum Watching, dedicata agli scatti di Alex Trusty (al secolo Alessandro Fidato, classe 1967), presso gli appartamenti del piano nobile di Palazzo Reale a Milano. L’esposizione, curata da Luciano Bolzoni, si inserisce nell’ambito del progetto Museocity, promosso dall’Associazione Museocity in collaborazione con il Comune di Milano, che per quest’anno ha scelto il tema “Mondi a Milano”.

Proprio dai musei di tutto il mondo infatti arrivano i 62 scatti presenti in mostra, realizzati da Alex Trusty tra il 2015 e il 2023: dalla Pinacoteca di Brera ai Musei Capitolini, dal Louvre al MoMA, dal Narodni Museum di Praga al Museum Palace di Taiwan, l’artista ha creato una sorta di grande atlante fotografico delle istituzioni espositive e museali del pianeta, concentrandosi però su un elemento ben preciso, ovvero il rapporto che si viene a instaurare tra le opere e i loro fruitori.

credit Alex Trusty

Così, una schiera di visitatori anonimi, e spesso inconsapevoli, che osservano opere d’arte diviene protagonista delle fotografie che noi stessi, a nostra volta visitatori, stiamo ammirando spostandoci lentamente per le sale di un museo. In questo loop artistico, Trusty ci spinge a riflettere su tale interazione, la quale si basa principalmente sul concetto di contemplazione: etimologicamente, questo termine contiene la parola latina templum, ovvero il luogo circoscritto dedicato all’osservazione rituale del volo degli uccelli e separato dal resto dello spazio (in questo senso “sacro”), riservato invece alla vita quotidiana e profana. Non mera visione, quindi, ma qualcosa di più, un rapporto molto più profondo che richiede concentrazione, attenzione, volontà di entrare fisicamente, mentalmente e spiritualmente in connessione con quanto si trova davanti a noi.

Anche il museo si configura quindi come luogo separato e – a suo modo – “sacro”, nel quale poter abbandonare la propria quotidianità per immergersi temporaneamente in una dimensione separata, quella appunto dell’arte, e dal quale uscire un po’ diversi rispetto a come eravamo quando siamo entrati.

credit Alex Trusty

Lo spazio museale che ci presenta Trusty non ci incute però alcun timore reverenziale (non è un “tempio” nel senso religioso con cui siamo abituati a utilizzare questo termine) bensì, al contrario, mostra un rapporto di contemplazione estremamente vivo e partecipato tra persone e arte. Non una turris eburnea praticabile solo per chi ha un’adeguata preparazione artistica alle spalle ed è già stato iniziato a suoi misteri bensì un luogo per tutti, indipendentemente dall’estrazione sociale, dall’età, dall’etnia, dalla provenienza geografica. Una nuova vicinanza tra persone e museo che caratterizza l’età contemporanea (da qui l’aggettivo “contemporary” del titolo) ma che non ha scalfito quella che è la principale peculiarità del museo, la sua cifra identitaria, ovvero il suo essere un luogo liminale che si pone come una soglia tra antico e nuovo, tra l’immutabile dell’arte e la contingenza dei suoi fruitori. I visitatori passano: ieri sono stati quelli immortalati da Alex Trusty; oggi siamo noi che li osserviamo silenziosi a Palazzo Reale; domani saranno forse i nostri figli e nipoti.

Il museo quindi costituisce qualcosa che non può ridursi a mera attrattiva turistica o fonte di guadagno economico bensì – usando un’espressione del curatore nel pannello introduttivo alla mostra – un “paesaggio museale” che è dato non solo dall’edificio e dalle opere ma anche da tutti coloro che quotidianamente lo popolano, come fosse un grande ecosistema. Interessante dunque questa metafora ambientale che sottolinea ancora una volta la dimensione vitale del museo, inteso come luogo dinamico e abitato, lontano dalla concezione di istituzione museale come contenitore polveroso e respingente.

credit Alex Trusty

In questo ecosistema, ecco che incontriamo allora una fauna variopinta ed eterogena che entra in dialogo – che contempla, come abbiamo detto – l’arte che la circonda: una ragazza che si scatta un selfie dietro a una statua della quale imita il movimento; una donna di spalle che contempla una tela coperta di pennellate gialle, bianche, arancioni e blu, proprio come arancioni, bianchi e blu sono anche i suoi capelli e i suoi abiti; due turisti coperti di arabescati tatuaggi che ammirano i mosaici pavimentali (altrettanto arabescati) nei Musei Vaticani; un padre che solleva la carrozzina del figlioletto mentre sale la scalinata della Reggia di Caserta (e così ricordiamo che quello che ora è per noi un “museo”, uno spazio dell’arte, un tempo era invece luogo di vita, dove persone esattamente come noi salivano e scendevano quei gradini ogni giorno).

Sembra davvero che queste persone, trovate casualmente dall’artista durante i suoi viaggi, stabiliscano una simbiosi (per proseguire con la metafora naturalistica) con lo spazio museale in cui si trovano, vuoi per una somiglianza cromatica tra il loro abbigliamento e le opere che stanno ammirando, vuoi per la posa più o meno spontanea in cui vengono colti (è il caso della fila di turisti perfettamente speculare alla tavola dell’Ultima Cena vinciana oppure dell’uomo a Fondazione Prada che sembra proteggersi sotto l’ombrello di Tears for Everybody’s Looking at You di Damine Hirst mentre contempla lo skyline milanese). Tanti “istanti decisivi” – per dirla con un termine caro a Henri Cartier-Bresson – che immortalano interazioni particolarmente felici o ironiche: è il caso dello scatto realizzato presso la sala degli Orazi e Curiazi dei Musei Capitolini in cui la statua berniniana di Urbano VIII sembra alzare il suo imponente braccio di marmo verso i due turisti che stanno fotografando gli affreschi sulle pareti per attirare la loro attenzione.

credit Alex Trusty

A questa fauna, che invade i musei con picchi migratori stagionali proprio come accade con gli stormi di rondini, si aggiungono poi altri abitanti più stabili, che spesso passano ingiustamente inosservati: si tratta del personale di sala. Ecco allora che, negli scatti di Alex Trusty, figure riconoscibili grazie alle loro divise e ai loro cartellini identificativi (è il caso delle fotografie realizzate ai Musei Capitolini o presso la Galleria Borghese) controllano con occhio vigile tutto quello che succede nelle sale che si trovano sotto la loro giurisdizione, ribadendo la loro presenza come effettivi protagonisti di questi “paesaggi museali”: non arredo museografico, che rischia spesso di passare inosservato, ma (cosa che forse non viene ancora riconosciuta e remunerata adeguatamente) elemento imprescindibile per la vita e il funzionamento di un museo.

Sono strane e contrastanti le sensazioni che si provano aggirandosi per le sale, tra le fotografie di Alex Trusty. La curiosità e l’empatia verso anonimi visitatori proprio come noi cede infatti presto il passo a un vago senso di imbarazzo: improvvisamente ci accorgiamo di esserci trasformati in tanti voyeur, che spiano ignare vittime, e iniziamo a sentirci in colpa come se avessimo invaso lo spazio personale di qualcun altro, il suo momento di intimità con l’arte.

E, all’improvviso, un sartriano timore di “vedersi visti” serpeggia nella nostra mente nell’esatto momento in cui stiamo osservando una fotografia, che si staglia sull’elaborata carta da parati di Palazzo Reale: e se Alex Trusty fosse dietro di noi, con la sua macchina fotografica, pronto a immortalarci?

Conviene stare in guardia.

credit Alex Trusty

Alex Trusty, Contemporary Museum Watching
fino al 1 aprile 2024
Palazzo Reale – Piazza Duomo 12, Milano

Info: palazzorealemilano.it