Chiude dopo 20 anni il Rubin di New York, rifugio dell’arte orientale

Il Rubin Museum – situato nel quartiere di Chelsea di Manhattan – uno dei più particolari musei newyorkesi, chiuderà definitivamente i battenti il 6 ottobre 2024, ben 20 anni dopo la sua prima apertura, per passare a un modello definito decentralizzato. La proprietà verrà venduta e il ricavato sarà poi destinato al fondo di sostentamento della nuova idea museale.

Una delle cause, secondo alcune voci, sarebbe da ricercarsi nei problemi finanziari che ultimamente il museo avrebbe avuto e nelle recenti accuse di esposizioni di opere d’arte trafugate di provenienza non proprio etica, nonchè forti cali di visitatori e mancanza di strategie definite. In un’intervista, il direttore del Rubin Jorrit Britschgi ha affermato che la decisione di annunciare la decisione adesso e mesi prima della chiusura ufficiale, è stata presa per dare ai dipendenti interessati una lunga strada per capire i passi successivi, visto che il personale sarà largamente ridotto. Il direttore si è ben preoccupato da specificare che la chiusura fisica del museo non corrisponde in realtà a un suo fallimento, bensì a una soluzione rivoluzionaria, futura e fluida per il mondo dell’arte.

La sfida che questo museo affronta è in realtà una delle principali in cui ogni giorno si imbattono centinaia di istituzioni specializzate in una tipologia relativamente di nicchia, visto che l’istituzione è dedicata alla conservazione ed esposizione di oggetti d’arte che provengono dall’Himalaya, dal subcontinente indiano e dall’Asia Centrale, con particolare attenzione all’arte e alla cultura della regione del Tibet. In un museo così elitario nella scelta espositiva, non è più possibile fare affidamento economico solamente al flusso dei visitatori.

Ora, a prescindere dalle accuse ricevute, l’idea è quella di ripensare all’idea del museo e risignificare il valore del suo contenuto. Proseguire con una policy di decentramento della collezione, se da un lato porta a una “dispersione” della collezione, dall’altro punta a un nuovo modello di organizzazione globale, in cui si continua a far circolare la sua collezione il prestito a lungo termine dei manufatti che facilità comunque lo studio delle opere. La storia del museo inizia con Shelley e Donald Rubin che negli anni Settanta acquistarono un’opera raffigurante la dea buddista White Tara, esposto in una galleria d’arte su Madison Avenue. Negli anni il museo era diventato un vero e proprio mondo lontano nel cuore dell’America.