I figli orfani sono sempre i più cattivi?: spettri e racconti di una generazione artistica mancata

Una riflessione sugli ultimi 20 anni della storia dell'arte italiana, un periodo che manca di una rilettura critica oggi più che mai necessaria

L’arte italiana allo specchio

Parlando attraverso metafore, l’identità dell’arte italiana a partire dal 2000 è facilmente inscrivibile nell’archetipo Junghiano dell’”Orfano”. Nella teoria degli archetipi proposta da uno dei padri della psicologia infatti viene evidenziato come l’Orfano che è in noi si attivi ogni volta che la nostra persona viene tradita o abbandonata dalle figure su cui facciamo riferimento. L’ingiustizia di un insegnante, il tradimento della promessa d’amore da parte del proprio amato o amata, l’essere sbeffeggiati dai propri compagni: tutto questo ci allontana sempre più dal ricordo del Paradiso e ad un certo punto finiamo per dimenticarci di esserci mai stati. L’Orfano ci invita a sviluppare autonomia e senso pratico, ci esorta a rimboccarci le maniche e a ricominciare. Tuttavia il rischio dell’Orfano è quello di fare l’abitudine alla rinuncia e alla privazione, di perdere la speranza e diventare arido, freddo, cinico e diffidente. 

Ansia da globalizzazione e sogni infranti

L’arte italiana sofferente e sconfortata dell’inizio degli anni 2000. È infatti figlia senza padre, anima raminga senza appigli, che dopo aver tentato il tutto e per tutto per fuggire dalla lunga ombra dei maestri dell’Arte Povera non ha più saputo generare una narrazione innovativa ed efficace per liberare il suo potenziale, non trovando la sua riconoscibilità in un mondo radicalmente rinnovato. Germano Celant riesce sul finire degli anni ‘60 nell’impresa di generare un movimento che sul piano internazionale ancora oggi, superato il primo ventennio del terzo millennio, riesce a essere punto di riferimento per la nostra identità artistica nazionale, seppur sia la polvere di una cometa che ha ormai salutato da tempo i nostri cieli. I confini nazionali all’inizio del XXI secolo sono già lagune stagnanti, l’acqua cristallina è altrove. 

Lo sguardo è rivolto al mondo, la prospettiva è globalizzata ma superficialmente approfondita. Siamo davanti alla fonte di una perdita graduale dell’identità nazionale. Nel 1989, con la caduta del muro di Berlino, la vecchia politica ha intagliato nel legno la croce da conficcare nella terra sopra la sua tomba. Lo spirito del tempo, lo zeitgeist come viene definito dalla storiografia tedesca otto-novecentesca, non è più definito nei Parlamenti ma sui tabloid, sul piccolo schermo dei salotti famigliari: il nuovo dominus è il marketing, e l’arte – come anche la stessa politica affranta che trova in Italia il suo nuovo profeta nel magnate della televisione Silvio Berlusconi – non può fare a meno di inginocchiarsi. Vanessa Beecroft e Maurizio Cattelan come capofila elaborano un linguaggio para-pubblicitario che garantisce loro uno spazio nella storia recente. A ben guardare, quello dei ’90 è stato un decennio segnato da una grande promessa tradita, picco di ottimismo e autocompiacimento di un Occidente perso nel suo progresso che si è poi dovuto scontrare con una realtà molto più amara del previsto. 

Maurizio Cattelan

Outsiders allo sbaraglio

L’aria del mainstream è soffocante per i giovani artisti dei primi anni ’00 che si muovono come outsiders in un terreno desertico. Si tenta di spolverare rovine del passato ormai sterili e inefficaci per la costruzione di un linguaggio che dovrebbe interpretare i venti dell’ormai imperante globalizzazione. Si celebra, e non si crea. L’Orfano si sente perduto e non sa come superare la sua natura da infante, è in cerca di una figura genitoriale assente. Quella schiera di nuovi volti tra cui Francesco Arena, Rossella Biscotti, Seb Patan e Patrizio Di Massimo viene raccolta proprio sotto l’insegna di questa ricerca nell’esposizione organizzata nel 2012 al Castello di Rivoli dalla curatrice Marcella Beccaria, La storia che non ho vissuto (testimone indiretto).Il risultato di tale assenza di guide sfocia in una sgangherata e apparentemente poco generativa inconsapevolezza. È opportuno però dare a Cesare quel che è di Cesare: dobbiamo riconoscere che molti dei volti che hanno segnato questo primo decennio hanno saputo scardinare, almeno temporaneamente, la consuetudine di un sistema basato su un pubblico ricercato e borghese, motore collezionistico indispensabile alla sopravvivenza economica dell’artista. Voltando le spalle al salotto, gli artisti spalancano le porte per scendere in strada.

Eugenio Tibaldi

Eugenio Tibaldi incarna perfettamente questa tendenza quando sceglie, nel 1999, di trasferirsi nella periferia napoletana e cercare nuova ispirazione non all’interno dello spazio chiuso di uno studio riservato, piuttosto tra le strade di Licola Mare, scenario pregno di storie complesse e difficili da cui emergerà il progetto Seaside. Il panorama è sempre più lontano dalla patinatura che aveva contraddistinto il recente passato, connotato dall’estetica di artisti come Francesco Vezzoli o del Toiletpaper di Maurizio Cattelan e PierPaolo Ferrari, più vicini al Jet-set che alla cruda quotidianità popolare. La narrazione di un totale abbandono del sistema commerciale è pura utopia ma sta di fatto che l’attenzione degli artisti dagli anni ’00 instaura un saldo rapporto di dialogo con le storie più umili.

Un altro esempio che dimostra questo cambio di rotta è incarnato da Gian Maria Tosatti che predispone un progetto a lungo termine proprio tra le vie di Napoli, Le sette stagioni dello spirito (2013-2016), un progetto nato tra le vie partenopee e destinato a chi quelle stesse vie le vive nel quotidiano. Una storia che si è declinata in spazi sconosciuti e spesso miserabili della città, che con l’intervento di Tosatti hanno riacquistato nuova vita, diventando non contenitori ma opera stessa, riflessiva e vibrante, pensierosa e avvolgente. La nuova poetica prende nutrimento dal basso, per ricercare la propria nuova identità. L’arte italiana si muove nei margini asistemicamente. Tornando brevemente alla suddetta metafora psicologica, socialmente parlando, l’orfano che è in noi emerge quando ci si immedesima con gli oppressi, i deboli e si cercano soluzioni. Analogia interessante. La vera differenza che connota la recente narrazione dell’arte nostrana è l’assenza di un modello critico capace di tradurne i caratteri formali. Achille Bonito Oliva e Germano Celant restano relegati al passato e la nuova generazione di curatori e critici si muove non allineata. L’individuale prevale definitivamente sul collettivo.

La critica nelle braccia di Orfeo

Non resta quindi che dare avvio a un’indagine attuata tramite la raccolta e la comparazione di frammenti di temporalità che si accavallano l’un l’altra. La storia recente non sarà raccontata attraverso la critica, piuttosto la documentazione resterà  l’unico reale strumento per tenere traccia dell’operato di oggi. L’archivio è l’unica roccaforte a cui potranno appellarsi gli studiosi di domani. Quello dell’archiviazione può essere un metodo efficace nella ricognizione di un pensiero non lineare ma circolare, determinato da una serie di punti comuni che si allontanano e si rigenerano sotto altre spoglie in ambiti differenti. Rimane ancora complesso decifrare delle linee guida comuni, siamo solo in grado di sfiorare l’impalpabilità di un’atmosfera che cala più o meno uniformemente su tutto il territorio italiano. Questa è senz’altro connotata dalla volontà di ricercare un’inedita visione dell’arte, non più necessariamente politica e militante, neppure però limitata alla sola gioia ricreativa della borghesia intellettuale, o presunta tale. 

L’era di internet

La connessione tra le persone diventa centrale, soprattutto in un contesto storico e sociale in cui il concetto di relazione ha un nuovo fondamentale intermediario: il Web. La rete entra nel quotidiano. Tra tutti è Miltos Manetas il pioniere di una ricerca tutta incentrata sulla nuova dimensione digitale sempre più complessa e ramificata. La relazione tra uomo e macchina si complica: la società dell’informatica accetta il Truman Show. Manetas viene riconosciuto per le sue opere Internet-based e per aver fondato nel 2009 il primo Padiglione Internet alla Biennale di Venezia, raccontando l’immaginario della nostra era contemporanea. Nuovo importante sviluppo di questa ricerca sono 2018 gli Internet Paintings del 2018, progetto presentato al Museo MAXXI di Roma: sulla tela l’artista raccoglie input dal mondo virtuale e li rielabora attraverso un processo di analisi e decodifica del reale e della sua rappresentazione, creando così un nuovo sistema iconografico del presente. 

Guardare altrove

Proprio come in rete tutto si modifica e scompare. Nulla rimane invariato e la fame del nuovo cresce esponenzialmente come fenomeno totalizzante, anche grazie alla nascita e crescita dei social network. L’Italia però rimane indietro. La comunità di artisti che ha ricercato e prodotto novità sul suolo nazionale ha difficoltà a emergere nella scena internazionale. Sono rari i casi in cui nomi italiani riescono a farsi largo sul mercato internazionale, in particolare extraeuropeo. Tra gli altri, Rosa Barba, Monica Bonvicini, Rudolf Stingel, Eva e Franco Mattes e ancora Cattelan e Vezzoli hanno in comune la passione esterofila. Abbandonare la provinciale Italia, trasferendosi a lungo termine al di fuori dei confini è ormai una consuetudine che si dimostra insostituibile per l’affermazione del proprio operato. Una generazione senza padri e senza mentori lascia il proprio luogo di nascita senza timori, non avendo legami troppo stretti e resistenti per essere recisi. L’Orfano impara ad affrontare la frustrazione dell’abbandono e sfida i propri limiti ricominciando a chiedere aiuto altrove, porta con sé il grande dono della solidarietà, la capacità dell’autonomia e del vivere da soli, non dimenticando mai l’empatia verso chi soffre. 

Eva e Franco Mattes

Bibliografia 

  • C.G. Jung, L’analisi dei sogni – Gli archetipi dell’inconscio – La sincronicità, Torino, Bollati Boringhieri, 2011
  • F. Chimento, Arte Italiana del terzo millennio – I protagonisti raccontano la scena artistica in Italia dei primi anni 2000, Milano, Mimesis Edizioni, 2013
  • L. Longobardi, 15 ipotesi per una storia dell’arte contemporanea, Roma, Lit edizioni s.a.s., 2022
  • M. Bergamini, L’involuzione del pensiero libero – Arte e giornalismo all’epoca del non detto, Milano, Postmedia Data, 2021
  • P. P. Pancotto, Arte contemporanea: il nuovo millennio, Roma, Carocci Editore, 2013
  • S. A. Barrilа, F. Broccardi, M. A. Marchesoni, M. Pirrelli e I. Sanesi, Quanto è (ri)conosciuta all’estero l’arte contemporanea?, Milano, BBS Lombard, 2022