Gli sguardi solitari di Ron Mueck alla Triennale di Milano

Sculture solitarie e sculture sulla solitudine, quelle di Mueck, sul divario tra come percepiamo noi stessi e come appariamo agli altri

Dal 5 dicembre 2023 al 10 marzo 2024, Triennale Milano e Fondation Cartier pour l’art contemporain presentano la prima personale in Italia dell’artista australiano Ron Mueck (Melbourne, 1958), con una selezione di opere mai esposte prima in Italia. La mostra in Triennale è un’evoluzione del progetto espositivo tenutosi a Parigi nell’estate 2023, concepito da Fondation Cartier in stretta collaborazione con l’artista, terza tappa di un dialogo incessante tra Ron Mueck e l’istituzione francese, avviato nel 2005 e proseguito nel 2013.

L’opera di Ron Mueck ha rinnovato profondamente la scultura figurativa contemporanea; profondamente misteriosa ed estremamente genuina allo stesso tempo, spesso pervasa da un’aura surreale, invita a riflettere sulla propria relazione con il corpo e, più in generale, porta a confrontarsi con l’esistenza stessa.

Il percorso espositivo milanese si compone di sei sculture iconiche realizzate nel corso della sua carriera e due film del fotografo e regista francese Gautier Deblond. Installate in stretto contatto con l’architettura del luogo che le ospita, quasi a comporre un viaggio fatto di stazioni solitarie e introspettive, le opere mostrano tutta la sapienza dell’artista nel trattare sia la materia plastica che sentimentale dell’essere umano.

Justin Paton (curatore responsabile dell’arte internazionale presso la Art Gallery of New South Wales di Sydney), a proposito dell’opera di Mueck, scrive: «Camminare per una grande esposizione di Mueck significa trovarsi in compagnia di una schiera di solitari ben determinati. Accucciati negli angoli, rannicchiati fra lenzuola o coperte oppure seduti terrorizzati in uno spazio aperto, i suoi protagonisti sembrano spesso desiderare di fuggire dallo spazio espositivo e dall’attenzione degli spettatori che li scrutano. Altri sembrano invece ritirarsi o andare alla deriva in stati interiori ai quali non riusciamo ad accedere: stati di preoccupazione, timidezza acuta, concentrazione profonda o sogno mortale a occhi aperti. Non si tratta solo di sculture solitarie, ma di sculture sulla solitudine, sul divario tra come percepiamo noi stessi e come appariamo agli altri».

Il percorso espositivo

I visitatori vengono accolti da In Bed (2005), gigantesca rappresentazione di una donna stesa a letto, con la testa sollevata contro i cuscini. Nonostante le dimensioni colossali e l’iniziale paura che quel gigantesco essere possa alzarsi d’un tratto, ci si accorge, restando per un po’ accanto ad esso, che il suo sguardo è altrove, in un’altra dimensioni. E il suo sguardo è malinconico, di una malinconia così grande quanto le sue dimensioni sproporzionate.

Al suo fianco, Mass (2017), una pietra miliare nella carriera dell’artista: composta da cento gigantesche sculture di teschi umani, l’installazione offre un’esperienza fisica e psicologica che cattu­ra i visitatori e li incoraggia a riflettere sugli aspetti fondamentali dell’esistenza umana. 

Per Mueck, «Il teschio umano è un oggetto complesso. Un’icona potente, grafica, che riconosciamo immediatamente. Allo stesso tempo familiare ed esotico, il teschio disgusta e affas­cina contemporaneamente. È impossibile da ignorare, richiede la nostra attenzione a un livello subconscio».

Lasciati i teschi al loro vociare strozzato lo spazio architettonico conduce con lo sguardo, in un cono prospettico, a Woman with Sticks (2009). La scultura mostra una donna nuda piegata all’indietro nello sforzo di portare un fascio di rami. Sembra un bambino da lontano, ma più ci si avvicina e più si svela la realtà. Le proporzioni cambiano: la donna gigantesca dell’ingresso ora è ridotta, schiacciata dal peso di legnetti secchi e taglienti. È nuda e la sua pelle mostra, nelle pieghe e nelle tensioni, tutto lo sforzo di quell’azione. Tuttavia, sorride. E sorride guardando direttamente il visitatore in uno sguardo che mette inquietudine, «come se l’osservatore fronteggiasse un mondo fisicamente presente, ma allo stesso tempo allegorico». 

Dietro di essa uno spettacolare e minaccioso gruppo di cani di quasi tre metri di altezza: En Garde (2023). L’opera, insieme al gruppo scultoreo This Little Piggy, segna un cambiamento di rotta nel lavoro di Mueck, non più concentrato sulla perfezione dei dettagli, ma sulla tensione che essa genera. I tre cani dalla superficie nera e liscia, pur cambiando di prospettiva, mantengono alto il livello di guardia che immediatamente attivano nei visitatori costringendoli a una riflessione sul tempo presente.

In contrasto netto con la prima opera, la mostra si chiude con un’opera dalle dimensioni ridotte, Baby (2000). Ispirata dall’immagine di un libro di medicina che mostra un bambino tenuto per i piedi pochi attimi dopo il parto, Baby è posizionato sul muro in verticale, nell’idea dell’artista a formare una croce come se si trattasse di un’icona religiosa. Il sorriso appena accennato del bambino, il suo fluttuare nel muro vuoto bianco e asettico che lo accoglie, generano una profonda tristezza e commozione. Due solitudini differenti, ma profondamente forti, dunque, quelle che accolgono e salutano i visitatori di Triennale: la donna nel letto invade lo spazio con la sua grandezza, e così fanno i suoi pensieri; il bambino “in croce”, nelle sue minute fattezze, lancia grida silenziose, ma assordanti. 

Ciò che sta nel mezzo di questo viaggio è un percorso che invita a fare i conti con una realtà irriconoscibile, che destabilizza, che parla di morte, che costringe a stati di allerta sempre continui. Incanta, certo, con la sua perfezione, ma porta su un baratro, probabilmente lo stesso che gli occhi della protagonista di In Bed stanno osservando.

Ron Mueck
fino al 10 marzo 2024
info: www.triennale.org

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