Si stanno accendendo i riflettori su Basia, Vanya e Bunny, i tre cani robot – detti “Spot” – progettati da Boston Dynamics. In un tempo in cui il rapporto tra arte e intelligenza artificiale è controverso, i tre Spots imparano a dipingere sotto la supervisione di Agnieszka Pilat, artista di riferimento dei venture capitalists della Silicon Valley ed ex artista in residenza presso SpaceX e Boston Dynamics. D’altra parte, questi robot sono stati progettati per svolgere compiti pericolosi: ad acquistarli sono in genere società minerarie e di costruzione, oltre alla polizia e all’esercito. Un fatto che ne complica lo statuto.
Gli Spots, non più armati, e la residenza artistica
Ad insegnare a dipingere ai tre Spots è stata Agnieszka Pilat, che supervisionerà la prossima residenza di quattro mesi di Basia, Vanya e Bunny alla Triennale della NGV di Melbourne. I robot creeranno arte nel loro studio appositamente costruito, in cui si trovano anche docking station dove i robot ricaricheranno le batterie e piccoli cubi di codici QR che, sparsi come giocattoli, che indicheranno loro dove si trovano nello spazio. Un team sotto la direzione di Pilat è riuscito a dare forma alle “personalità” dei robot, al fine di rendere più fruttuosa questa residenza, durante la quale Basia, ad esempio, dipingerà una tela ogni tre giorni, per un totale di 36, che alla fine formeranno un manifesto.
A separare i robot dagli studiosi, una distanza di sicurezza. Gli Spots sono stati infatti al centro di una serie di vicende che hanno portato a non progettare robot armati. Questa posizione deriva da una lettera aperta lanciata dalla Boston Dynamics che rimarcava l’impegno a non armare gli Spots in seguito all’aumento degli acquisti da parte delle forze dell’ordine. Infatti, quando il dipartimento di polizia di New York ne ha inviato uno dotato di telecamere in una violazione di domicilio nel Bronx e un altro in una situazione di ostaggio a Manhattan, gli Spot sono diventati il simbolo di priorità di finanziamento sbagliate, ma anche di timori per la sorveglianza di massa e di un approccio più pesante della polizia verso le comunità povere.
Agnieszka Pilat
La responsabile del progetto Agnieszka Pilat si definisce una tecno-ottimista. Cresciuta dietro la cortina di ferro a Łódź, in Polonia, Pilat ricorda che il suo primo incontro con la tecnologia è stato vedere gli adulti riuniti intorno a una radio in una stanza chiusa a chiave ad ascoltare di nascosto Radio Free Europe. Un segno di speranza, insomma. Dopo gli studi, Pilat ha teorizzato che la macchina, così come la ritrattistica attirava l’aristocrazia in passato, dovrebbe riuscire ad attrarre il pubblico d’élite oggi. Da qui, il trasferimento nella Silicon Valley nel 2004.
Riferendosi alla sua educazione in Polonia al tempo della Guerra Fredda, Pilat si definisce in modo provocatorio “artista di propaganda” per le macchine, essendo cresciuta in un ambiente in cui l’arte era esclusivamente propaganda. «È un po’ sarcastico – ha affermato Agnieszka Pilat – sto giocando a essere al 100% a favore della tecnologia, che è molto controversa. Naturalmente ci sono preoccupazioni valide sulla tecnologia. Ma io ho scelto di impegnarmi e di allenarmi con essa. È il mio modo di affrontare il problema».