Copyright e intelligenza artificiale: i potenziali diritti dell’arte generativa

Nonostante la sentenza lapidaria sul caso Thaler, sembrano non essersi chiuse le frontiere del copyright per opere create da intelligenze artificiali

Il caso esemplare in materia di copyright e intelligenza artificiale (IA) è la vicenda di Stephen Thaler, proprietario di Creativity Machine. Si tratta di software che ha generato un’immagine dal titolo A Recent Entrance to Paradise (2012), per la quale è stato richiesto il copyright, infine negato da una recente sentenza del tribunale federale di Washington D.C.

Il verdetto si proponeva come risolutorio nell’ambito del copyright per le IA, in quanto il primo è stato dichiarato applicabile esclusivamente a opere che presuppongono la creatività umana. E ciò assume notevole rilevanza accanto alle recenti Guidelines on Artificial Intelligence, pubblicate dall’USCO nello scorso marzo, in cui si afferma che in questi casi non è l’essere umano a compiere le scelte artistiche, ma l’algoritmo. Eppure sembrano aprirsi nuovi spiragli, e la sentenza non ha infine avuto quel ruolo cardine in materia che si prospettava.

Secondo alcune esperte come Stephanie Glaser ed Erin Hanson, un esito giuridico di questo tipo non sembra aver avuto origine da un codice ormai obsoleto. Nel Copyright Act, pur essendo stato codificato nel 1976, quindi molto prima della comparsa delle IA, si può infatti ravvisare una sufficiente flessibilità che lo rende in grado di affrontare questa inedita rivoluzione tecnologica. E questa duttilità si trova nel requisito di “paternità umana”, che consente di ottenere la protezione del copyright nel caso in cui gli artisti che impiegano le IA controllino almeno in parte l’espressione artistica.

È dunque per questo motivo che la sentenza di Thaler non sembra risolutiva in merito, perché se l’elemento dirimente si può rintracciare nella “paternità umana”, un requisito che presenta un certo raggio di flessibilità, allora non sembra esserci spazio per soluzioni definitive, ma solo per valutazioni caso per caso. E dunque, se il caso Thaler lascia meno gioco a questo requisito, si può ricordare un altro esempio di arte generativa, ovvero una serie di opere dell’artista canadese Jon Rafman. In questa serie Rafman stampa immagini create dall’IA su tele da lui dipinte, e di conseguenza questa combinazione può soddisfare i requisiti del copyright.

Un aspetto illuminante è la posizione dell’artista, non tanto rispetto alla sentenza di Thaler, quanto più in relazione al modo di intendere le IA: l’arte da esse creata offre all’artista dei suggerimenti, e ciò è un elemento che ne rimodula chiaramente la figura.