Il mito di Maria Callas al Museo della Scala, cinque grandi artisti la omaggiano

Al Museo della Scala si celebra il centenario della leggendaria soprano, con un progetto espositivo inedito

“Dolci sono le melodie udite, ma ancor più dolci sono quelle inascoltate” recita un celebre verso di Ode on a Grecian Urn di John Keats. Il potere della nostra immaginazione spesso è maggiore di quello della realtà e un vero artista trascende il suo lavoro, improvvisamente distaccandosene, divenendo di per sé l’opera migliore. Maria Callas è stata senza dubbio la voce dietro la voce, rivolgendosi a lei, ormai, è prassi evocarla come un’entità eterea, incorporea e fra tutti gli appellativi che le sono stati dati, uno fra tutti le è rimasto indelebile: Divina

Francesco Vezzoli – MARIA CALLAS PLAYED “LA TRAVIATA” 63 TIMES, 1999. Photo credit: Giovanni Hanninen

Per il centenario della nascita del mito, il Museo Teatrale della Scala ha voluto affrontare il tema della “rivoluzione Callas” da una prospettiva diversa, meno storica e più evocativa.

La mostra Fantasmagoria Callas penetra il mistero della Divina con degli strumenti di indagine inconsueti, con una maggiore libertà di movimento rispetto ad un approccio più scientifico. L’intento è quello di proiettare Maria Callas in una dimensione che va oltre il mondo dell’opera lirica e del teatro, trasformando così il mito in un’arte atemporale e universale, capace di rendere la figura della Callas eterna nella mente dei visitatori. 

“Maria Callas era nota per la sua istintiva musicalità, l’intelligenza e la brillante presenza drammatica che portava nei suoi ruoli”, sono le parole del curatore Francesco Stocchi che ci fanno capire come con un breve ritratto si possa già cogliere le numerose personalità che facevano parte della diva. Stocchi spiega come “la Callas è fantasmagorica nei termini in cui una pluralità di sue tracce e immagini si alterna nella ricostruzione storica e mnemonica di chi ha lasciato su di lei diverse testimonianze”.

GIORGIO ARMANI PRIVÉ COLLECTION, HOMAGE TO MILAN 2021
Courtesy of Giorgio Armani. Photo credit: Giovanni Hanninen

L’originale progetto espositivo celebra l’eredità contemporanea e vivente di questa grande artista. Come fosse divisa in cinque atti, la mostra pone al centro della scena una pluralità di voci in successione, alternando il modo in cui la figura di Callas è stata ridefinita nel tempo.

Il palinsesto crea una partitura multidisciplinare accompagnata dalle voci di cinque grandi creativi: Alvin Curran, Latifa Echakhch, Mario Martone, Francesco Vezzoli e Giorgio Armani, come illustra il curatore: “questi esponenti della nostra contemporaneità ci offrono un ritratto polifonico, spaziando tra arte, cinema, musica e moda”. 

Apre il percorso espositivo l’intervento inedito del musicista e compositore Alvin Curran che focalizza la sua attenzione su una delle colonne portanti di questa leggendaria figura, cioè la sua voce. Nella sua opera sonora, Curran esplora la sonorità del timbro non omogeneo dell’artista e, prendendo alcuni toni singoli, alti e bassi, e frammenti di sue registrazioni di pochi secondi, riesce a ricreare una composizione finale come una tavolozza di infinite sfumature. 

Letifa Echakhch è la seconda artista che incontriamo nel percorso e la sua opera affronta il tema della “memoria”. L’installazione appartiene a uno dei suoi dispositivi di scene sospese, come di fronte ad un sipario, ci appare davanti una cortina di perle attaccate ad un soffio di fili che scendono dal soffitto. Da queste minuscole perle bianche e rosse traspare l’impronta della fantasmatica diva. “Tutto richiama una silhouette o un suono, la bellezza e il dolore, la passione umana e la tragedia, le lacrime di dolore e di felicità, distillate ora nei nostri ricordi” ci spiega l’artista franco-marocchina. Una messinscena filmica è il terzo intervento inedito che troviamo nell’esposizione, il cortometraggio di Mario Martone è dedicato all’incontro fortuito avvenuto a Milano nel 1956 tra Ingeborg Bachmann e Maria Callas. Il suo personaggio viene colto non tanto in una figura da idolatrare, quanto nella sua profonda umanità. Il lavoro di Francesco Vezzoli, Maria Callas played La Traviata 63 times, narra invece gli innumerevoli modi di essere della divina. Come un ritratto elaborato, attraverso il ricamo, Vezzoli si connette all’animo più umano di Callas, rappresentato qui in sessantatré volti stampati laser su tela: ogni fotogramma in bianco e nero è ritagliato tondo, dentro il biancore del supporto e ci ricorda, con le parole dell’artista, come “questo è il volto in scena e il volto di scena, è la Traviata anche quando non canta la Traviata”.

Nel quinto e conclusivo atto della mostra, la qualità iconica di Maria Callas viene rappresentata da un abito di Giorgio Armani. Ispirato dalla grandiosa voce e dalla sua emblematica personalità, le dà forma e la disegna. Il risultato finale del celebre stilista è un abito rosso come la passione la forza del soprano greco, caratteristiche che da sempre le sono appartenute, in qualità di donna libera e di carattere. 

L’allestimento di Margherita Palli è riuscito nel nobile intento di unire diversi mondi dell’arte, il percorso, attraverso i punti di vista di cinque personalità diverse del mondo creativo contemporaneo, accompagna il visitatore nell’ampio universo della Callas, un universo fatto di emozioni e sentimenti, in cui il pubblico può immergersi e riscoprirla, non solo come diva, ma come essere spirituale, presente nel suo mondo immateriale.