L’arte oltre le barriere: all’exCarcere di Velletri discese e risalite

Vulnerabilità e fragilità trasudano dall’exCarcere Pontificio di Velletri che ospita il progetto transdisciplinare iosonovulnerabile, dunque vivo. Arte è amare la realtà, a cura di Sergio Mario Illuminato in cui sono coinvolti artisti che si esprimono con linguaggi differenti. Questa esperienza nasce grazie al libro Corpus et Vulnus: omaggio ai maestri Tapies, Kiefer, Parmiggiani di Sergio Mario Illuminato, cui ha fatto seguito una residenza artistica di sei mesi all’interno dell’exCarcere, che ha creato un messaggio profondo ed intellettuale, modificando lo spazio all’interno dell’edificio e dando vita ad una coesistenza di modi di vivere il potere di rigenerazione dell’arte.

Sono nati così il Movimento Vulnerarte, la realizzazione del cortometraggio Vulnerare e la pratica performativa iosonovulnerabile. Si dà vita ad un nuovo modo di far fruire l’emozione per cui si rompono le barriere tra opera e non-opera, tra autore e partecipante e tra spazio espositivo e vita quotidiana. L’esperienza artistica si è svolta nell’ambito dell’Accademia di Belle Arti di Roma con il patrocinio di Regione Lazio e del Comune di Velletri con la produzione esecutiva di Movimento Vulnerarte APS, con la collaborazione di Compagnia Atacama e Festival Internazionale Danza Contemporanea Paesaggi del Corpo.

I protagonisti di questo viaggio sono Sergio Mario Illuminato con pitture e sculture, Rosa Maria Zito per fotografia e scenografia, Federico Marchi con Roberto Biagiotti e Alessandro Pagoni per il cinema, Patrizia Cavola e Ivan Truol con Camila Perugini e Nicolas Baffoni per la danza, Andrea Moscianese per la musica e Davide Palmiotto per arte dei suoni. Le barriere e le mura del exCarcere spingono la creatività ad andare oltre i confini, non solo per quanto riguarda l’ambiente carcerario, ma anche per ciò che concerne la vita di tutti i giorni. Nella quotidianità ci troviamo di fronte ad ostacoli anche personali, oltre che collettivi, e questa operazione spinge a distruggerli per andare oltre verso possibilità che credevamo ci fossero negate. La realizzazione artistica di una condizione di disagio pone le basi per un superamento dei nostri limiti e si palesa in una discesa nel dolore da cui si può poi riemergere.

Photo Roberto Vignoli 

Distese di documenti invadono gli spazi del carcere come monito e ci si intride della realtà intimamente vissuta dai carcerati, ciò crea quasi un pianto verticale che chiede perdono e libertà. La desolazione di grate e fili spinati, di celle disadorne con scritte tristi e sconcertanti può avere una via di fuga nella speranza che gli artisti coinvolti in questa operazione mettono in atto grazie all’individuazione degli spazi. Sergio Mario Illuminato presenta le sue opere rigorosamente senza titolo per evitare qualsiasi connotazione che potrebbe stridere con il luogo, e che sono realizzate con pigmenti organici provenienti per esempio da metalli o frutti cosi che degradino insieme agli ambienti dove vengono posizionati. Esse vivono con il tempo per cui cambiano continuamente e per questo le chiama Organismi Artistici Comunicanti; nel caso dell’exCarcere sono state posizionate lì da dicembre 2022 cosi che potessero essere invase dalla polvere ed adattarsi nello spazio: «Mi sembra il modo migliore di parlare di arte e dell’ambiente circostante», dalle parole di Illuminato. I rumori e la musica sono consonanti con la sensazione di angoscia che esprime l’exCarcere pieno di realtà che vorremmo e non vorremmo raccontare.

Lo scopo dell’operazione è anche quello di far emergere un trauma per fissare l’attenzione su vicende sconvolgenti, al contrario di ciò che succede nelle gallerie dove si vive in una zona di comfort: «Vogliamo creare un contatto, se si viene allertati può essere che chi guarda si immerga in un’emozione diversa con piccole finestre di novità nella vita», commenta Sergio. Queste due esperienze pittoriche e musicali sono presentate nella zona maschile del exCarcere, mentre nella cappella che fungeva anche da cinema, quindi un luogo di ricreazione e spiritualità, vi è proiettato il video di una performance di danza.

La coreografa Patrizia Cavola racconta che vi sono stati due momenti emotivi cui si sono ispirati, ed erano contrastanti tra loro, da una parte un atto d’amore, di bellezza, di unione, dall’altra parte il dolore, la solitudine che ci immaginiamo abbiano vissuto le persone in questo carcere; dalla sua testimonianza: «Il tema della fragilità è insito nella nostra ricerca di danzatori, il primo legame con lo spazio è questo, attraverso il corpo e il movimento mostrare la vulnerabilità. Di nostra tradizione è il mettere il corpo in relazione con i luoghi».

Tra messaggi di speranza e di discesa nell’intimità profonda del dolore, questa esperienza vuole esprimere coinvolgimento e testimonianza. Il progetto sarà visitabile fino al 30 gennaio 2024.