Stacy, un racconto di Gipi feroce e divertente

Graphic novel complesso e implacabile, l’ultimo, atteso lavoro del pluripremiato fumettista non assolve nessuno. Ma strappa un sorriso.

A quasi 60 anni di età ci si può innamorare del calcio? Sì, se ti chiami Gipi, che di recente ha iniziato a disegnare (da tifoso) i giocatori della squadra di calcio del Pisa, la sua città. «Sono proprio infatuato – ha spiegato il fumettista, illustratore e regista toscano di stanza a Roma –, pensate che fino a 57 anni ho evitato il calcio, anche in modo snob. L’ho sempre considerato un gioco per bambinoni con pantaloncini corti che corrono dietro ad una palla». Cosa c’entra questo “innamoramento” improvviso con il nuovo graphic novel di Gipi, pseudonimo di Gianni Pacinotti? C’entra, eccome. Perché Stacy (Coconino Press e Fandango, cartonato, 264 pagine in bianco e nero, 23 euro) è un’opera che, al pari di chi l’ha scritta e disegnata, non teme di andare “in direzione ostinata e contraria”. Anche a costo di prendersi qualche sberleffo (proprio da un certa parte di lettori di fumetti, sempre più autoreferenziali).

Un racconto «cattivo – come ammette il suo stesso autore –, che nasce dalla rabbia e poi però, forse, diventa quasi delicato». Un po’ come l’approccio alla gara di una squadra di calcio, appunto, che può cominciare con impeto per poi ripiegare, o comunque “accomodare” la partita senza per forza volere (o dovere) “spingere” per gli interi novanta minuti. Nel nuovo graphic novel di Gipi (i cui lavori sono tradotti in tanti paesi: dalla Francia alla Spagna, dalla Germania agli Stati Uniti), dunque, c’è un tempo per la rabbia e uno per la riflessione (pacificazione?). La vicenda quasi ossessiva di Stacy è, prima di tutto, quella di Gianni (il nome vi ricorda qualcuno?), scrittore e sceneggiatore di successo, che scrive storie per la tv. La sua carriera è sul punto più alto quando, nel corso di un semplice intervista, viene riposto tutto in discussione. Gianni infatti si lascia scappare di aver sognato di rapire, narcotizzare e torturare una giovane (“nel sogno c’era questa ragazza. Pallida. Sola. Stacy”). 

Tre semplici parole (“Stacy è burrosa”) date in pasto alla televisione e, di conseguenza, ai social network – «i social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività. Venivano subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un premio Nobel. È l’invasione degli imbecilli», Umberto Eco dixit – sono sufficienti a “ridefinire” l’uomo e l’autore agli occhi del pubblico. Parole che non solo innescano a una vera e propria bomba di risentimento collettivo ma conducono l’autore all’inferno (accompagnato da un demone). Gianni si ritrova da solo, stordito come un pugile seduto all’angolo dopo averne prese tante, troppe. Interrogandosi su perché (“mi sembrava una cosa curiosa, per il pubblico”) e sulla sua buona fede che lo aveva indotto a quell’esternazione pubblica (“fosse stato un uomo, avrei detto burroso”). Così, mentre l’ossessione comune per Stacy diventa sempre più dilagante, i colleghi e gli amici prendono le distanze, e anche il pubblico – che tanto (anche “troppo”, come spesso accade) lo amava – non vuole più ascoltare nemmeno lontanamente il suo nome. Una gogna mediatica e professionale, che induce Gianni a rimettere in discussione il senso stesso della sua esistenza.

Prendendo il là da un’esperienza autobiografica – una striscia pubblicata sul suo profilo Instagram nell’aprile 2021, che destò particolare clamore – Gipi (nel 1994 ha cominciato a pubblicare vignette e racconti brevi sulla rivista satirica “Cuore”, con le sue prime storie a fumetti uscite sul mensile Blue) restituisce al lettore una narrazione feroce e divertente, con il coraggio di guardare dritto negli occhi i propri demoni interiori nonché le deformazioni della società in cui viviamo, dove – anche aizzato da personaggi noti – il pubblico punta il dito e inveisce con semplicità e odio disarmanti. Come scrive la casa editrice in una nota, «Stacy amplia gli orizzonti del romanzo, travalicando e giocando con i confini del racconto a fumetti». E ancora, «il dialogo ossessivo del protagonista con il suo demone; la continua irruzione dei suoi sogni, dei suoi incubi e delle sue visioni; il mondo dei social network, che condiziona le vite e i racconti dei protagonisti, danno vita a una forma inedita di narrazione, fatta di continue ripetizioni e rimandi fra linguaggi e mondi, fra cattiveria, sarcasmo, dolore, dolcezza e ironia». 

Nel nuovo lavoro a fumetti di Gipi – «un libro nato come uno sfogo, privo di qualsiasi programmazione», ammette – il personaggio di Gianni nutre una vera e propria ossessione per Temptation Island, reality show che lo stesso pluripremiato autore ha definito, in tempi recenti, «uno straordinario spettacolo d’intrattenimento intriso di sadismo» (quasi a rievocare un altro suo graphic novel di grande successo: Momenti straordinari con applausi finti). Al pari di altri lavori realizzati da Gipi (di recente ha diretto il videoclip di “Severodonetsk” di Manuel Agnelli) realtà e finzione si mescolano, ma nel caso di Stacy non si tratta di uno spunto rievocativo, come il ricordo di un genitore (vedi il già citato “Momenti straordinari”) o di un periodo legato alla propria giovinezza (Questa è la stanza, storia poetica e delicata di quattro amici che non intendono rinunciare alle proprie aspirazioni). Qui la premessa salpa da una polemica (vera) nata sui social che restituisce molto del brutto di oggi. 

Con l’autore che, poco prima della pubblicazione di Stacy, parlava così: «È un libro particolare, davvero fuori di testa. Ho lavorato usando solo cattivi sentimenti, il rancore e la rabbia. Niente tenerezza, malinconia, nostalgia, amicizia, amore». Per chiosare: «Ma poi sono guarito. E la stessa curva di guarigione l’ho resa al protagonista della storia. Stacy parte incazzatissimo e poi diventa quasi delicato. O meglio, finge di diventare tale».

Info: www.coconinopress.it

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