Cosmos. The Volcano Lover: Plinio il Vecchio tra antichità e arte contemporanea

Una Wunderkammer in cui mirabilia delle epoche più disparate si stratificano in una mostra dedicata al bimillenario di Plinio il Vecchio

Fino al prossimo gennaio, le sale al piano terra di Villa Olmo a Como ospiteranno la mostra Cosmos. The Volcano Lover, curata da Sonia d’Alto e promossa dalla Fondazione BTS Como Arte con il patrocinio del Comune di Como. La mostra si inserisce nell’ambito dei progetti organizzati presso la città lariana in occasione del bimillenario della nascita di Plinio il Vecchio e propone un dialogo serrato tra gli ambienti neoclassici della Villa, le opere di numerosi artisti contemporanei, le stampe prestate dalla Civica Raccolta Achille Bertarelli (Milano) e i reperti archeologici provenienti da varie istituzioni come il Museo Civico Paolo Giovio di Como, il Museo di Storia Naturale di Milano e il Liceo Alessandro Volta di Como.

La mostra si configura dunque come una sorta di grande Wunderkammer in cui mirabilia provenienti dalle epoche più disparate si stratificano senza soluzione di continuità: proprio come in un Cabinet des Curiosités cinquecentesco, troviamo infatti minerali e fossili affiancati a manufatti umani, con la differenza che questi ultimi sono prevalentemente opere d’arte contemporanea, capaci di creare connessioni inaspettate e suggerire ai visitatori riflessioni sui problemi del nostro tempo.

È interessante che una mostra così strutturata sia proposta proprio nella città di Como la quale vanta, oltre a Plinio il Vecchio e a suo nipote Plinio il Giovane, anche un altro cittadino illustre, ovvero l’umanista Paolo Giovio: figura di riferimento per la storia della museologia, Giovio nel Cinquecento ha fatto della sua villa suburbana comasca un Museo, ispirandosi proprio alla villa di Plinio il Giovane che sorgeva in quel territorio, in cui godere della natura (all’epoca incontaminata) e della sua collezione di ritratti.

Cabinet des Curiosités, il Museo di Giovio, la mostra di Villa Olmo, il monumentale testo in trentasette libri di Plinio il Vecchio (la sua celebre “Naturalis Historia”) sembrano tanti modi diversi di approcciarsi alla complessità ed eterogeneità del reale, per comprenderlo e darne una interpretazione: Plinio scrive di cosmologia, zoologia, mineralogia, scultura, architettura, antropologia, rudimenti di medicina, storia, nel tentativo di dare una sistematizzazione allo scibile che potrebbe essere definita “proto-enciclopedica” (circa millesettecento anni prima dell’Encycolpédie di Diderot e d’Alembert) e “pre-scientifica”. Plinio, infatti, non disdegna nella sua trattazione il ricorso alla credenza popolare, alla superstizione, alla religione: elemento, questo, che contribuisce a evidenziare come la realtà sia qualcosa di estremamente sfaccettato e diversificato con cui l’uomo – oggi come ieri, ci dice la mostra di Sonia d’Alto – deve quotidianamente confrontarsi.

Plinio il Vecchio che, secondo i racconti del nipote muore durante l’eruzione del Vesuvio nel 79 d.C., diviene così la metafora dell’uomo contemporaneo che si trova solo e intimorito di fronte ai cambiamenti del mondo e alla consapevolezza di una natura a lui indifferente. La visione antropocentrica tradizionale dell’uomo dominatore del pianeta e il paradigma economico dello sfruttamento avido delle risorse in cerca del profitto vivono oggi una messa in discussione che viene promossa e rielaborata anche da molti artisti contemporanei i quali, attraverso le loro opere, cercano di proporre narrazioni e visioni del mondo alternative.

È il caso, per esempio, di Pauline Julier che, nella Sala Ovale di Villa Olmo, presenta (in dialogo con alcuni reperti e testi antichi in prestito dal Museo di Storia Naturale di Milano e dalle collezioni naturalistiche del Liceo Volta di Como) una videoinstallazione intitolata Naturalis Historia (2019), la quale propone una storia naturale basata su un punto di vista ambientale e geologico piuttosto che antropocentrico.

La distinzione disciplinare e accademica tra archeologia, arte, antropologia e scienza viene meno nelle sale della mostra, così come la categoria tradizionale di tempo lineare e progressivo, la quale cede il passo a una visione del tempo cosmologica e fluida in cui presente e passato si fondono: viene così promossa una concezione del mondo e della vita più olistica, che vede convivere umano e non-umano, arte e quotidianità, scienza e folklore, profano e sacro.

Alice Visentin nel Teatrino della Villa propone Faccia di velluto (2023) e Lingua (2023), trasformando il palcoscenico nel muso di un mostro fantastico: occhi e bocche sono gli elementi caratterizzanti di questa installazione nonché i principali mezzi con cui la conoscenza viene trasmessa e prodotta; ecco dunque che anche il boccascena del palco – il filtro tra la dimensione dell’arte teatrale e quella della quotidianità degli spettatori – entra a far parte di questo scambio gnoseologico (non accademico e formalizzato bensì artistico e fantasioso), trasformandosi esso stesso nella bocca e negli occhi del mostro.

Ci sono poi le opere di Raffaela Naldi Rossano che nella Cappella della Villa creano connessioni inusitate tra il culto cristiano e la mitologia greca classica: i giochi di luce prodotti dalla scultura in ceramica smaltata Light transformation I (2022) ricordano gli effetti cromatici prodotti dalle vetrate delle cattedrali gotiche quando vengono attraversate dai raggi solari ma il volto bifronte dell’opera, gatto da un lato e civetta dall’altro, richiama rispettivamente le figure di Artemide e Atena.

La visione cosmica della vita è invece al centro delle opere esposte presso la Sala di Arianna, realizzate da Mirella Bentivoglio e Mike Kelley: il file rouge che unisce queste opere è la simbologia archetipica dell’uovo come rappresentazione della nascita della vita che attraversa civiltà diverse, a cui si unisce anche una predilezione per l’impiego di materiali non tradizionalmente artistici come il feltro oppure le uova di legno che venivano tradizionalmente utilizzate dalle donne per rammendare le calze.

Quella che viene narrata in questa mostra non è “una storia” ma “tante storie”, narrazioni diverse e alternative, che scorrono e si intersecano fluidamente come magma, travolgendo tutto quello che incontrano e prendendosi i propri spazi. Ecco, quindi, che si fa avanti l’altro grande protagonista dell’esposizione a Villa Olmo: il Vulcano. Le eruzioni del Vesuvio non sono infatti solo il soggetto delle diverse stampe esposte nella Sala degli Specchi ma anche lo sfondo del romanzo storico “The Volcano Lover” (a cui si ispira il titolo della mostra) pubblicato nel 1992 dalla scrittrice e filosofa Susan Sontag (1933-2004). Il vulcano così diviene non solo emblema del sublime romantico e della potenza – seducente e al contempo terrificante – della natura, rispetto alla piccolezza dell’essere umano, ma anche luogo liminale tra la vita e la morte, tra il fascino e terrore, dove il fuoco è sia distruttore che elemento purificatore e catartico.

In questo senso, il romanzo di Sontag non è l’unico a indugiare sul carattere sublime del Vesuvio e del territorio napoletano, definito dallo stesso Plinio il Vecchio “Campania Felix” nel terzo libro della sua “Naturalis Historia”. Ciò è presente già in un altro romanzo, pubblicato nel 1807 da un’altra autrice capitale, ovvero “Corinna o L’Italia” di Madame de Staël (1766-1817): qui i protagonisti, Corinna e Oswald, arrivano a Napoli mentre è in corso un’eruzione del Vesuvio, sperimentando un senso di fascino e sospensione che diviene ancora più evidente durante la loro visita a Pompei. Visitare Pompei con la sua atmosfera straniante, scrive de Staël, presuppone “uno sforzo continuo dell’immaginazione che intuisce e scopre i segreti più belli che la riflessione e lo studio da soli mai potrebbero rivelarci” (la conoscenza scientifica non basta, dunque, come ci suggerisce anche il mostro di Alice Visentin nel Teatrino: l’immaginazione e l’arte devono avere la loro parte). Tutto in quella Wunderkammer a cielo aperto che è Pompei sembra suggerire la vita che un tempo si conduceva in quei luoghi e che è stata improvvisamente interrotta, assieme a quella di Plinio, dall’ inesorabile attività del vulcano: è l’arte presente in quei luoghi (nelle ville, negli affreschi, nei manufatti che costellano gli scavi pietrificati dalla colata lavica) che, come le opere della mostra a Villa Olmo, si confonde e convive inevitabilmente con reperti archeologici ed elementi naturali.

Passando accanto a quelle ceneri che l’arte riesce a rianimare, non si osa respirare, nel timore che un soffio sollevi la polvere, su cui forse sono ancora impresse delle nobili idee” dice Madame de Staël a proposito di Pompei.

Anche noi a Villa Olmo facciamo attenzione a non respirare troppo forte: ci sono tante nobili idee che l’arte ci chiede di ascoltare.