Antonio Presti: quando chiudere significa rinascere

A margine dell’incredibile vicenda che ha messo i sigilli all’Atelier su Mare di Antonio Presti 

Alla fine ci sono riusciti. L’Atelier sul mare ha chiuso. E a chiuderlo definitivamente è stato Antonio Presti, colui che l’ha inventato nei lontani anni ‘90, quando art hotel era un’oscura locuzione straniera, mentre lì, in quello sparuto borgo siciliano di nome Castel di Tusa, era già una realtà d’arte, dove chi vi arrivava aveva l’occasione – forse unica nella propria vita – di vivere, dormire, sognare, stupirsi in una vera opera d’arte.

E non sono bastati le centinaia di articoli, interviste, recensioni, fotografie che in oltre trenta anni hanno accompagnato, in Italia e all’estero, questa incredibile creatura e il suo fondatore – di cui si può registrare il passare del tempo di ritratto in ritratto, anno dopo anno – per fermare quei due, tre carabinieri che hanno deciso che no, i bagni non erano regolamentari e quindi, sì, il celebre Atelier sul Mare andava chiuso.

«Un attacco istituzionale, l’ultimo», mi dice Antonio al telefono – mi permetto di chiamarlo per nome perché ci sconosciamo e ci vogliamo bene da trent’anni esatti. Quindi, sì, sono di parte, meglio chiarirlo subito – «sono stanco, ma sono ancora guerriero. E quindi decido io di chiuderlo sul serio».   

Di attacchi l’Atelier sul Mare, ma soprattutto di incuria, di indifferenza – malattie che non fanno sanguinare il corpo come gli omicidi di mafia, ma che feriscono profondamente l’anima – ne ha subiti già diversi. Vado a memoria e in ordine cronologico: inizio anni Novanta per via del decreto Martelli, per cui il mafioso doveva essere messo in confino fuori dalla provincia Pietro Greco, allora uno dei capi clan mafiosi fu piazzato in quell’albergo dove, fino al giorno prima, transitavano artisti, intellettuali, curiosi. Tutti via, fuori, per fare spazio al padrino e alla sua sorveglianza. 

Qualche anno dopo, mentre Paolo Icaro stava realizzando la sua stanza – un incantevole, candido Nido – una bomba scoppiò fuori dell’albergo, distruggendo la vetrata d’ingresso. Una scheggia arrivò al secondo piano, dove stava lavorando Icaro, che la inglobò nella stanza. Sta ancora lì, lontano ricordo di quell’attentato. Molti anni dopo Antonio Presti fu denunciato per aiuola abusiva: aveva realizzato un’area verde, in un secco terreno di sua proprietà di fronte l’albergo, per permettere agli ospiti dell’Atelier di fare la prima colazione con vista mare. 

Ma gli attacchi più pesanti Antonio li ha ricevuti realizzando le opere monumentali della Fiumara d’Arte e questa è una lunga storia che non ripercorro per ragioni di spazio ma anche di noia personale, tante volte l’ho ripercorsa e denunciata. Ma, al di là del paradosso – l’abusivismo edilizio individuato nella realizzazione di opere d’arte nella superabusiva Sicilia! – l’attacco più pesante Presti l’ha subito facendolo arrivare a un passo dal fallimento, impedendogli di continuare (per quel pochissimo che lui avrebbe continuato, interessato a tirare su grandi installazioni invece che palazzine) l’attività del padre impresario edile.

Sono stati anni duri, superati con fatica. Ora, dopo che l’impianto edile non lavora più da anni, mentre il borgo di Castel di Tusa ha sfornato brutti alberghi, b&b e ristoranti, tutti a ricasco, tutti succhiando la fama dell’hotel creato da Presti, l’unica cosa che rimaneva da chiudere, riuscendo forse stavolta a farlo fallire sul serio, era la sua creatura più nota: l’Atelier sul mare. 

Da poco più di un mese le stupefacenti stanze realizzate da Nagasawa, Staccioli, Mochetti, Maria Lai, Icaro, Mainolfi, Plessi, Ceroli, Mimmo Cuticchio (il puparo di Palermo), più le altre fatte in collaborazione con scrittori come Vicenzo Consolo e Dario Bellezza, attiviste come Danielle Mitterand, registi come Raul Ruiz (all’appello ne mancano ancora diversi) sono abitate solo da amici. «Scendi in Sicilia, porta gli amici che vuoi, ci sono 40 stanze pronte qui», mi ha detto a luglio Antonio, poco dopo la chiusura, venando con la sua solita, irriverente ironia il momento drammatico che stava attraversando. Un bel privilegio, per gli amici, ma un bello spreco per tutti.  

Però, avete notato i nomi degli artisti autori delle stanze? Tutti grandi ma tutti ormai anziani, qualcuno morto. Mancano altre 20 stanze per completare una delle opere più importanti della vita di Antonio Presti, oltre la Fiumara d’Arte e l’encomiabilissimo lavoro che da anni fa a Librino, estesa quanto disgraziata periferia di Catania. Finisce così, quindi, la storia? No, perché ci sarà una Triennale e ogni tre anni le venti stanze saranno realizzate dagli studenti delle Accademie italiane. 

Maestri insieme a giovani, un confronto serrato e ad alto tasso di energia. 

La risposta migliore per chiudere. E ricominciare.