Volti: a tu per tu con il ritratto italiano dal Novecento a oggi

Il sodalizio tra il FAI e ArchiviVitali unisce artisticamente le due sponde del lago di Como con una mostra dedicata al ritratto

È visitabile fino a novembre la mostra organizzata dall’associazione bellanese ArchiviVitali in collaborazione con FAI – Fondo Ambiente Italiano dal titolo Volti. La pittura italiana di ritratto nel XX secolo. L’esposizione, nata da un’idea di Velasco Vitali e curata da Luca Beatrice, intende stabilire per mezzo di questo progetto artistico un legame ideale tra le due sponde del Lario, organizzando la mostra in due sedi: lo Spazio Circolo di Bellano sulla sponda lecchese e, sulla sponda comasca, la Villa del Balbianello a Tremezzina, abitazione storica di proprietà del FAI e fiore all’occhiello del territorio.

La mostra espone al pubblico opere provenienti da varie collezioni private e intende svolgere una panoramica, un “ritratto” – è proprio il caso di dirlo – della ritrattistica italiana per come si è configurata tra l’inizio del XX secolo e i primi decenni del XIX secolo, mettendo in evidenza le sue trasformazioni: si va, infatti, dal Ritratto di Cesare Lionello di Felice Casorati realizzato nel 1911 (l’opera meno recente presente in mostra) a tele come Un uomo nuovo di Daniele Galliano e Marta Cai di Velasco Vitali, datate rispettivamente 2022 e 2023.

In questo modo, viene offerto al pubblico uno spaccato delle rielaborazioni subìte negli ultimi centodieci anni circa dal ritratto (un genere artistico che, nelle sue varie forme, ha davvero accompagnato la storia dell’uomo) tramite le opere di una sessantina di artisti più o meno noti al grande pubblico. Infatti, accanto a nomi come Mario Sironi, Michelangelo Pistoletto, Carol Rama, Salvo, Mario Merz, Vanessa Beecroft, Giorgio de Chirico (solo per citarne alcuni) troviamo anche artisti più legati al territorio lecchese oppure riconducibili a esperienze artistiche locali e spesso considerate marginali rispetto alla tradizione artistica italiana mainstream del Novecento. Tra questi, per esempio, Cesare Monti (bresciano d’origine ma morto a Bellano), Matteo Oliviero (cuneese), Anselmo Bucci e Andrea Barzaghi (entrambi monzesi), Giancarlo Vitali e lo stesso Velasco Vitali (bellanesi). Alla base della mostra vi è, infatti, anche la volontà di dare visibilità a quella “pittura di provincia” che, lungi dall’essere “provinciale” (nel senso dispregiativo che spesso viene attribuito a questo termine), attende di essere riscoperta e studiata con l’attenzione che merita.

A questa selva (comunque non esaustiva) di nomi corrisponde anche una straordinaria eterogeneità di media artistici, di stili e di intenzioni che caratterizza entrambe le sedi della mostra: dal collage in passamaneria e medaglie del ritratto patafisico Paul de Vigueier Baronne de Fontenille (1974) di Enrico Baj alla tempera all’uovo di Per Leonardo… Canto d’amore (2018) di Antonio Nunziante, dal ferro zincato dell’Imperatore (2017-19) di Luca Pignatelli alla matita su carta del Ritratto di ragazza (1939) di Cagnaccio di San Pietro, il repertorio di tecniche più o meno tradizionali e di soggetti è davvero sconfinato.

Ad accomunare le due parti della mostra vi è poi anche l’approccio allestitivo: entrando nello Spazio Circolo, il visitatore ha l’impressione di trovarsi proprio in una delle quadrerie private dalle quali le opere provengono poiché ritratti e autoritratti sono esposti senza alcuna etichetta recante titoli, date e tecniche (anche se vi è l’intenzione di inserirle in futuro). Nel caso di Villa del Balbianello, invece, questo sforzo di immaginazione non è necessario poiché ci si trova già nella raffinata e accogliente dimora di un collezionista – Guido Monzino – eclettico e dagli interessi onnivori: le opere sono inserite direttamente all’interno di tre stanze della villa (ovvero gli appartamenti della madre di Monzino, la Biblioteca e la Sala del Cartografo) affiancando l’arredamento e gli effetti personali dell’ultimo proprietario della Villa, da lui ceduta poi al FAI a fine anni Ottanta. In entrambe le sedi della mostra, inoltre, l’allestimento non segue un preciso ordine cronologico o stilistico bensì le opere sono collocate liberamente, proprio come avviene nella casa di un collezionista che guarda alle sue tele con affetto paterno, senza distinzioni o criteri di preferenza.

Ogni opera dunque, nella sua diversità, porta con sé la sua storia, il suo fascino, i suoi misteri. E davvero misteriosi sono i ritratti, quel genere artistico così vicino a noi (per via dei soggetti che rappresenta) ma anche così distante a causa della lontananza storica che spesso separa noi spettatori contemporanei dalle figure rappresentate: chi non si è trovato una volta o l’altra ad ammirare, per esempio, il ritratto di una anonima donna rinascimentale e chiedersi chi fosse, da dove venisse, come si chiamasse? Talvolta, comunque, siamo portati a percepire il ritratto come un vero e proprio sostituto della persona effigiata sia che questa si trovi lontana, sia – soprattutto – nel caso in cui non viva più tra noi. In tal senso, il ritratto o l’autoritratto (che si configura come una forma forse ancora più intima e personale di ritratto) ha lo scopo di presentificare una assenza, rispondendo a un umano bisogno di “esserci”, di mantenere un contatto (seppur virtuale e mediato) con i nostri cari e la loro memoria. Ne sono un esempio opere in mostra come Ritratto del fratello (1926) di Carlo Levi, I miei figli (1928) di Cesare Monti oppure Francesca di fronte a me (2020) di Daniele Vezzani che con il suo titolo sposta la nostra attenzione direttamente sull’ambiguo statuto ontologico del ritratto: esso è la raffigurazione di una persona ma, spesso, siamo portati a identificare tale rappresentazione artistica con la persona stessa, come se essa fosse realmente davanti a noi.

Come è però possibile notare visitando la mostra, ritratto e autoritratto tra XX e XXI secolo non si configurano solo come raffigurazione obiettiva e didascalica dell’effigiato: tra Ottocento e Novecento infatti (con la diffusione della tecnica fotografica prima e con l’affermarsi di psicologia e psicoanalisi poi) il genere del ritratto diviene qualcosa di più complesso e talvolta addirittura arcano. È il caso, per esempio, della tela intitolata L’Ingegnere (1928) di Mario Sironi ovvero una sorta di autoritratto, dai tratti lugubri e malinconici, dell’ingegnere che Sironi non è mai diventato nonostante avesse intrapreso quegli studi; oppure dell’opera Marcello di Michelangelo Pistoletto, un quadro in cui il ritratto di Marcello Levi (suo collezionista) è sovrapposto a uno specchio in cui, oltre alla figura ritratta, possiamo vedere anche noi stessi mentre la osserviamo e l’ambiente dietro di noi, facendo così entrare nello spazio dell’arte quello della nostra quotidianità, la nostra stessa vita; o ancora Ritratto d’uomo di Evangelina Alciati che rappresenta – secondo lo stile del Realismo Magico – un uomo di cui non conosciamo l’identità, avvolto in un’atmosfera sospesa tra l’inquietante e l’affascinante.

Il ritratto riesce così a mostrare (a raccontare, in un vero e proprio discorso visivo) qualcosa che va oltre la mera apparenza della persona ritratta, reale o indefinita che sia, andando così a captare aspetti interiori e profondi del proprio Sé dei quali talvolta nemmeno l’effigiato è consapevole. Il ritratto non muta d’aspetto come accade a quello – celeberrimo – di Dorian Gray ma è comunque in grado di far emergere qualcosa (una caratteristica interiore, un tratto della personalità o – perché no – anche un segreto) di lui o lei, rendendolo visivamente manifesto. In questo senso, quello che caratterizza il ritratto del Novecento e di oggi, come notato anche dal curatore nel suo saggio introduttivo al catalogo della mostra, non è necessariamente la sua dimensione rappresentativa bensì, in primis, quella interpretativa.

Infatti, mentre nella ritrattistica tradizionale il primo elemento che si considerava per giudicare la buona qualità di un ritratto era la sua somiglianza con il modello (Ernst Kris e Otto Kurz, per esempio, nel loro saggio “La leggenda dell’artista” riportano un aneddoto secondo cui “un ritratto di Tiziano di papa Paolo III, messo accanto alla finestra ad asciugare, viene scambiato dai passanti per il papa in carne e ossa e fatto oggetto di omaggio”), nel Novecento il ritratto diviene emblematico della radicale trasformazione subìta dall’identità personale e dal nostro modo di intendere il Sé, ormai concetto sempre più fluido, ampio e inafferrabile, come avviene per esempio nel ritratto Senza titolo (2021) di Luca de Angelis, estremamente androgino e misterioso.

La mostra, insomma, non punta solo a essere una sorta di “manuale” della ritrattistica italiana dell’ultimo secolo ma invita anche i visitatori a confrontarsi di volta in volta con ogni singolo ritratto esposto, incrociandone lo sguardo e lasciandosi scrutare da esso. Da qui il termine chiave scelto per il titolo della mostra: non mere immagini ma veri e propri Volti, ciascuno dei quali – a proprio modo – vivo e parlante. Sta a noi riuscire ad ascoltarli.

Volti. La pittura italiana di ritratto nel XX secolo
21 luglio – 12 novembre
Spazio Circolo a Bellano (LC), Via Manzoni 50, 23822
Villa del Balbianello a Tremezzina (CO), Via Guido Monzino 1, 22016
Info: fondoambiente.it e archivivitali.org/

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