Mario Schifano, un nuovo immaginario alle Gallerie d’Italia

La retrospettiva alle Gallerie d'Italia omaggia uno dei più importanti artisti italiani della scena nazionale e internazionale del XX secolo

Mario Schifano è di certo uno di quegli artisti che potrebbero essere definiti “controversi”. Ma più che controverso, Schifano era eclettico e aveva una rara capacità di guardare il mondo da un punto di vista, direi, “quadridimensionale”.

È difficile non perdere la capacità di osservare se si è impegnati a sopravvivere, che è quello che l’artista ha fatto almeno fino ai suoi venticinque anni. Età in cui entrerà nel mondo dell’arte partecipando a moltissime mostre collettive, perlopiù a Roma, che lo porteranno in giro per l’Italia e non solo. La mostra di Gallerie d’Italia, Mario Schifano: il nuovo immaginario. 1960 -1990, si propone di indagare per temi l’arte di Mario Schifano così da poter far emergere lati essenziali della sua esistenza ma non solo.

Il percorso espositivo curato da Luca Massimo Barbero si svolge attraverso un lungo corridoio e cinque sale. È nel corridoio che troviamo espresso attraverso le sue opere, il rapporto dell’artista con i nuovi media. È essenziale ricordare che la carriera di Mario Schifano si sviluppa negli anni Sessanta del ‘900. Anni che sono, per eccellenza, simbolo di rivolta e rovesciamento. È proprio questo che Schifano coglie; un mondo antico che sta per trasformarsi in qualcosa di più simile al nuovo modo di essere umani e quindi nelle sue opere mescola colori, pubblicità, artisti del periodo da lui ritenuti “moderni” e figure del passato.

Il tutto intrappolato in una cornice che è non più solo quella del quadro e della tela, che l’artista da artigiano inizialmente costretto a sopravvivere, costruiva da sé ma anche in una cornice che è quella della tv. La tela, il quadro divengono una scatola, una televisione. Difatti troviamo la serie di “Paesaggi tv”.

Continuando nelle sale ci troviamo di fronte alle opere che segnano la politica e l’idealismo nel mondo di Schifano che avendo perso molto giovane entrambi i genitori, fu guidato dal fratello maggiore che diventerà in seguito sottosegretario del Partito Comunista e impartirà al minore insegnamenti ben precisi che appunto possiamo ritrovare in opere come “Compagni e compagni compagni” (1968) che esprimono appieno gli insegnamenti comunisti.

E proprio per l’incredibile capacità di Schifano di cogliere i minimi cambiamenti, ritroviamo subito la sala dedicata al tema del corpo in movimento in cui l’artista riprende le redini del discorso futurista riproponendo lo studio del corpo in movimento ricoperto da violente pennellate di rosso acceso, creando così anche uno strano parallelismo politico che mescola la dinamicità veloce dei futuristi legati all’ideale fascista e il colore e il movimento di quello comunista; quasi come a segnalare a chi guardava, e guarda ancora oggi, quelle opere di trovarsi ancora in una sfumatura, nel bel mezzo fra due periodi contrapposti ma non del tutto lontani o passati.

La sala successiva si occupa di mostrarci il modo di concepire i paesaggi naturali di Schifano attraverso la pittura, richiamando l’en plain air ma con metodi moderni decisamente diversi e distanti da quelli impressionisti. Un continuo confronto e miscuglio tra passato, presente e tutto ciò che vi è nel mezzo. Infine, le ultime due sale, ci mostrano gli slogan pubblicitari e i monocromi. I primi come “Segno d’energia” in cui con pennellate colanti degne di Pollock ferma nel tempo marchi come “coca cola” e “esso”, entrambi simboli di una modernità consumista, e che promuoveranno Schifano come esponente della Pop Art italiana. Una Pop Art però decisamente diversa nell’intento da quella americana. Con i monocromi, invece, l’artista passerà dalla cornice televisiva a quella fotografica dei “frame” portando in Italia l’attenzione per il colore e il dettaglio tipici di artisti come Klein.

Mario Schifano ha quindi quella capacità quadridimensionale nominata all’inizio, perché ha l’abilità di guardare a sé, al contesto, al passato e ai momenti di passaggio che fanno da ponti fra i vari periodi che si susseguono. Schifano riporta indietro nel tempo, ancora oggi, noi visitatrici e visitatorə quasi costringendoci a stare in quelle posizioni “di mezzo” che oggi definiamo “queer”, a ricordarci che le mille sfumature possibili sono tutto ciò che crea e compone la realtà in cui viviamo. A prescindere dal tempo.

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