Artex: la start-up che sconvolge il mercato dell’arte e che piace al Ceo di Unicredit Orcel

L'ex banchiere di UBS Benjelloun-Touimi lancia una start-up per quotare l'arte in borsa ma tra gli operatori del settore si teme il rischio di speculazioni

Yassir Benjelloun-Touimi

Il mondo dell’arte starebbe per subire una rivoluzione grazie all’audace visione di Yassir Benjelloun-Touimi, ex banchiere d’investimento di UBS. Il fondatore e CEO della start-up Artex ha recentemente dichiarato a finews.com di avere grandi piani per trasformare il modo in cui le persone accedono all’arte.
Un progetto ambizioso, sul quale, nonostante i dubbi di vari operatori che temono la nascita dell’ennesimo strumento speculativo, sembra poter contare su sostegni di alto profilo.

Tra questi quello del Ceo di Unicredit, Andrea Orcel, che, secondo Benjelloun-Touimi, “Ha colto il potenziale dell’idea di Artex e si è reso conto di quanto profondamente cambieremo il mondo dell’arte”.
Tra il CEO di Artex e Orcel c’è una antica amicizia. I due – spiega finews.com – si conoscono dai tempi di UBS, dove Benjelloun-Touimi ha lavorato come banchiere d’investimento con un ruolo di primo piano proprio quando il banchiere italiano era il capo della banca d’investimento svizzera. Insomma, tra i due esiste un rapporto forte tant’è che Orcel verrebbe indicato come possibile futuro membro del consiglio di amministrazione, anche se fonti vicine a Unicredit escludono tale possibilità. Indiscrezioni che confermerebbero come il manager italiano, nonostante le perplessità del mercato, creda fortemente nell’idea di Artex e nella sua capacità di cambiare le regole finanziarie che fin qui hanno governato il mondo dell’arte.

Andrea Orcel

Ma come funziona questa start-up lussenburghese, perché sembra destinata a cambiare le regole del gioco e perché non tutti la guardano con approvazione? Vediamo. Fondata nel 2020, Artex si è posta l’ambizioso obiettivo di rivoluzionare il mercato dell’arte, rendendo il possesso di opere di pregio accessibile alle masse. La società punta a convertire opere d’arte di valore milionario in azioni a prezzi accessibili, che vengono poi negoziate come i tradizionali titoli finanziari. Artex attualmente impiega più di 60 persone tra Parigi, Londra, Lussemburgo e Liechtenstein e sta stringendo accordi con importanti banche. Recentemente, ha ottenuto la partnership con la borsa svizzera SIX per la compensazione delle sue azioni artistiche.

Vediamo invece di capire da dove nascono le perplessità del mercato. In linea di massima sono di duplice matrice. La prima deriva dal timore della nascita di azioni essenzialmente speculative. Curatori, galleristi e mercanti temono cioè che questa possa essere una occasione per sfruttare la popolarità e l’appeal delle opere d’arte per creare veicoli di pura speculazione finanziaria. La seconda è la creazione di un meccanismo che va ad alterare i valori delle opere, con corse al rialzo e conseguenze negative per il mercato tradizionale.

Prince Wenzeslaus of Liechtenstein

Ad Artex questi aspetti sembrano non interessare. Puntano sulla componente innovativa e sull’appoggio di personaggi in vista del mondo della finanza internazionale. Oltre ad Andrea Orcel, un altro nome di spicco è quello del principe Wenzeslaus del Liechtenstein, che è presidente e co-fondatore di Artex e che siede nel suo consiglio di amministrazione. Figlio del Principe Philipp Erasmus del Liechtenstein, attuale Presidente Onorario del Liechtenstein LGT Group, il principe Wenzeslaus, avendo tra l’altro lavorato anche presso Goldman Sachs, rappresenta un’importante figura del mondo finanziario e della bolla cultural mondana della vecchia Europa.

La missione di Artex – spiegano i fondatori – è trasformare l’arte, tradizionalmente riservata a un gruppo elitario di milionari, in un’attività accessibile a milioni di persone. Ma non si tratta solo di ridisegnare un business talvolta connotato da aree di opacità. Tramite il metodo Artex ogni opera d’arte cartolarizzata in azioni sarà accessibile al pubblico, anche attraverso esposizioni museali. Parte dei proventi generati da Artex saranno inoltre destinati alla formazione artistica e alla creazione di una nuova “comunità” di mecenati dell’arte. Insomma, una volta passati alla cassa quelli di Artex vorrebbero passare anche alla storia con iniziative di responsabilità sociale.

Ma veniamo ai numeri, che sono sempre un prezioso indicatore. Il valore dell’arte commerciabile nel mondo è stimato a 3.200 miliardi di dollari e negli ultimi anni è cresciuto in modo significativo. L’Artprice 100 Index, indicatore del prezzo dell’arte, è aumentato in media dell’8,4% all’anno tra il 1999 e il 2019, un tasso di crescita vicino a quello dell’oro (8,6%) e superiore a quello dell’indice azionario statunitense S&P 500 (6%). Inoltre, l’arte mostra una bassa correlazione con i mercati azionari e si è dimostrata resistente all’inflazione nel recente periodo di espansione monetaria.

Per Benjelloun-Touimi, Artex è lo strumento ideale per proteggere questa tipologia di beni mobili dall’aumento dell’inflazione. Cartolarizzando le opere d’arte in azioni e negoziandole in una borsa dedicata all’arte, queste opere diventano beni liquidi e regolamentati, garantendosi al contempo una nuova forma di protezione. La prima opera opera a essere quotata su Artex sarà in autunno il trittico di Francis Bacon Three Studies for a Portrait of George Dyer realizzata dall’artista tra il 1963 e il 1969.
Il metodo di Artex è indubbiamente innovativo: ogni opera d’arte viene convertita in una società separata e quotata tramite IPO. Inizialmente, ogni azione ha un valore nominale di 100 dollari. Le azioni relative alle opere d’arte vengono poi negoziate attraverso la piattaforma Artex, con le grandi banche coinvolte direttamente per soddisfare le esigenze dei loro clienti. Le banche private più piccole possono avvalersi delle grandi banche come partner corrispondenti.

start-up Artex
Francis Bacon, Three Studies for a Portrait of George Dyer 

Mentre alcune aziende che operano in questo stesso segmento sembrano optare per la “tokenizzazione” delle opere d’arte, Benjelloun-Touimi preferisce un approccio più tradizionale basato sulle azioni, forse anche per provare a tranquillizzare il mercato. L’idea di “tokenizzare”, cioè di utilizzare le criptovalute, a molti può sembrare oscura, e Benjelloun-Touimi – parlando con finews.com – ha fatto notare che in passato, alle conferenze sulle valute digitali, spesso si è trovato pervaso da forti dubbi sul loro utilizzo. Il suo obiettivo, invece, è creare valore per evitare di essere completamente dipendenti dalle borse e dal sistema monetario tradizionale.

Partendo da questi racconti, quella di Artex appare certamente come un’iniziativa da seguire, non fosse altro per capire se veramente riuscirà a innovare producendo valore per il mercato e per il pubblico, senza dare vita a speculazioni incontrollate. Ma sarà interessante anche capire come e se Unicredit vi prenderà parte. E, in caso affermativo, se vi parteciperà in quanto banca o se quella di Orcel sarà soltanto una iniziativa avviata a titolo personale. Sarà interessante perché non sempre le banche, almeno quando si tratta di arte, si comportano allo stesso modo.

Nel 2019, tanto per fare un esempio recente e per restare al mondo dell’arte, proprio Unicredit si comportò in maniera diversa rispetto ad esempio ad Intesa Sampaolo, la banca più importante del Paese. Quando arrivò il momento di valutare il proprio patrimonio artistico culturale, Intesa per volere dell’Ad, Carlo Messina, decise di farlo periziare da advisor indipendenti e, sotto il controllo della Banca d’Italia, di iscriverlo a bilancio come patrimonio aziendale: un’operazione di trasparenza che puntò a valorizzare i beni non solo da un punto di vista economico ma anche culturale. L’Ad dell’epoca di Unicredit, Jean Pierre Mustier, invece, forse pressato da esigenze di cassa, decise semplicemente di vendere i beni artistici della banca e di farlo senza troppe formalità.

Insomma, la rivoluzione digitale ha imposto e sta imponendo cambiamenti radicali tanto alle banche quanto al sistema dell’arte. E’ giusto dunque saper guardare avanti e saper cogliere le nuove opportunità. Ma, come diceva Orazio, “est modus in rebus”. Contano cioè i modi in cui si fanno le cose. Era sempre Orazio che nelle sue “Satire” ricordava che “v’è una misura nelle cose, vi sono confini al di là e al di qua dei quali non può esservi il giusto”. Il mondo dell’arte reca in sé confini che il mondo della finanza talvolta tende a dimenticare. Il confine più grande è forse l’etica che impone la bellezza. Bisogna trattare i grandi capolavori d’arte con una cura ulteriore rispetto alla norma. Perché sono la deferenza verso lo straordinario o l’ammirazione disinteressata per la magnificenza di un capolavoro che poi alla lunga determinano il valore delle opere d’arte. Wall street sarà capace di evitare a questo glorioso mondo di finire in una delle sue bolle?