La Collezione “inattesa” di Intesa SanPaolo

Scultura e pittura del Novecento diventano protagoniste della nuova mostra presso la sede milanese di Gallerie d’Italia

Una collezione inattesa. Viaggio nel contemporaneo tra pittura e scultura è il titolo della nuova mostra organizzata da Gallerie d’Italia nello spazio espositivo di Piazza della Scala, visitabile fino al termine di ottobre e firmata da Luca Massimo Barbero, curatore associato delle collezioni di arte moderna e contemporanea di Intesa Sanpaolo.

La mostra espone un importante nucleo di opere di proprietà del Gruppo Intesa Sanpaolo, appartenenti alla collezione Luigi e Peppino Agrati e alla collezione Henraux, unitamente ad alcune nuove acquisizioni provenienti dal gruppo Ubi Banca.

L’itinerario espositivo ripercorre le sperimentazioni scultoree e pittoriche del XX secolo (in particolare tra anni Cinquanta e Ottanta) tramite le opere di artisti italiani e internazionali.
Pittura e scultura non sono però da intendere come due forme d’arte nettamente distinte: molte delle opere presentate, infatti, mostrano come nel corso del Novecento queste due categorie artistiche siano entrate fortemente in contatto, portando alla realizzazione di opere che costituiscono delle vere e proprie sintesi tra pittura e scultura.

Emblematiche sono, in questo senso, opere come Concetto Spaziale. Attese (1965) di Lucio Fontana – uno dei famosi “tagli” dell’artista italo-argentino (ideatore dello Spazialismo) presente nella mostra – oppure i Cretti di Alberto Burri o, ancora, gli Achrome di Piero Manzoni nei quali la superficie pittorica acquisisce una valenza estremamente materica.

Pietro Consagra, Bifrontale malachite, 1974. Collezione Luigi e Peppino Agrati – Intesa Sanpaolo. Foto Luca Carrà, Milano

Il percorso inizia (e termina, circolarmente) nella parte centrale dello spazio espositivo, dove è stata collocata Femme Paysage(1966) di Hans Arp, circondata da nove sculture di Bruno De Toffoli: tutte opere accomunate da una tendenza all’astratto e da forme fortemente sinuose e morbide, per questo definite dal curatore “organiche” (termine che si addice in realtà anche alla natura stessa di una collezione d’arte che – proprio come quella di Intesa Sanpaolo – muta nel tempo e si amplia grazie a nuove acquisizioni e donazioni, configurandosi così come qualcosa di straordinariamente vivo e vitale).

Attorno allo spazio centrale si irradiano le varie sezioni che compongono la mostra, alcune monografiche e altre costituite da opere realizzate da artisti diversi ma accomunate da affinità stilistiche o formali.

Subito a sinistra dell’ingresso, tre sezioni sono dedicate rispettivamente ad Arturo Martini, Marino Marini e Giacomo Manzù, nelle quali i tre artisti (definiti “I punti cardinali della scultura italiana”) sono presentati come una sorta di “trinità” artistica e laica, un riferimento imprescindibile per la scultura del Novecento italiano. Le loro opere sono accomunate infatti dal tentativo di rielaborare la scultura classica e tradizionale partendo da temi mitologici e religiosi: è il caso di Pomona (1945) di Marino Marini, che si rifà alle Metamorfosi di Ovidio, o di Grande cardinale seduto (1984) di Giacomo Manzù.

Segue poi una sezione interamente dedicata allo stile “poetico” delle ceramiche realizzate da Fausto Melotti negli anni ‘50 tra cui numerosi vasi variopinti e quattro Kòrai (anche in questo caso, un tentativo esplicito di rifarsi alla scultura classica e di rielaborarla in modo personale).

Alla scultura fittile è riservata una certa attenzione in questa mostra: sono presenti, infatti, anche tre piatti in terracotta smaltata nella sezione dedicata a Lucio Fontana (accanto ai suoi Concetti spaziali, sia scultorei che pittorici) e Le tournesol (1952) di Fernand Léger (un grande girasole in ceramica policroma risalente alla breve produzione ceramica – durante gli anni ’50 – dell’artista, noto al pubblico soprattutto per il suo cubismo “tubolare”) esposto nella parte intitolata “Arte come espressione dello spirito”.

Jean Hans Arp, Femme paysage, 1966. Collezione Intesa Sanpaolo

Ci sono poi le ultime due sezioni della mostra, intitolate rispettivamente “Tra monocromo e minimale” e “L’invenzione di una nuova arte italiana”, nelle quali la sintesi artistica tra pittura e scultura diviene se possibile ancora più evidente. Nella prima, dominata dal colore bianco che le conferisce un’atmosfera sospesa e quasi lunare, trovano posto opere come Bianco Cretto (1974) di Alberto Burri, un Achrome (1958) di Piero Manzoni, Superficie bianca 35 (1966) di Enrico Castellani, in dialogo con la scultura di Sol Lewitt Complex Form (1986) che svetta architettonicamente al centro della sala con le sue guglie appuntite.

La seconda sezione, invece, svolge una sorta di disamina dell’arte italiana nel secondo dopoguerra, presentando alcuni dei suoi protagonisti più significativi: dalla tela di Giulio Turcato in cui cumuli di sabbia costellano la superficie monocroma, passando per la pittura segnica di Carla Accardi e di Antonio Sanfilippo, fino a Pietro Consagra con le sue sculture “frontali”: opere scultoree chiamate Bifrontali e realizzate tra metà anni ’70 e metà anni ‘80 con materiali lapidei (come malachite o onice) oppure metallici (come il bronzo) nelle quali bidimensionalità e tridimensionalità si fondono.

L’arte non è la pittura, la scultura, solo: l’arte è una creazione dell’uomo che la può trasformare in qualunque cosa” dice Lucio Fontana a Carla Lonzi durante la conversazione svoltasi nel 1967 e poi confluita nel testo “Autoritratto” (1969): un’affermazione non troppo lontana dal messaggio che anche Una collezione inattesa. Viaggio nel contemporaneo tra pittura e scultura sembra trasmettere oggi al suo pubblico.

Toti Scialoja, Impronte bianche, 1959. Collezione Intesa SanPaolo

Una collezione inattesa. Viaggio nel contemporaneo tra pittura e scultura
fino al 22 ottobre 2023
Gallerie d’Italia – Piazza della Scala 6, Milano

Articoli correlati