Arte contemporanea e sostenibilità: un focus sempre più urgente

Nuove consapevolezze muovono l’arte verso una sensibilizzazione sui temi ambientali ma non basta, serve di più

In un momento storico e sociale piuttosto complesso dal punto di vista dell’emergenza climatica, numerosissimi artisti sono inevitabilmente toccati dal problema più determinante di una generazione. Secondo l’opinione di molti storici e critici d’arte, dall’inizio del nuovo millennio, stiamo assistendo ad una repentina crescita della produzione artistica riguardante il cambiamento climatico, in proporzione all’attenzione pubblica al tema. Del resto, sappiamo come dalla fine degli anni Cinquanta, il problema ambientale sia stato, progressivamente, al centro di molteplici ricerche artistiche: dalla Land all’Environmental Art, fino a toccare parte della ricerca artistica dell’Arte Povera e del linguaggio di Joseph Beuys. È con gli anni Novanta che il coinvolgimento degli artisti inizia a spostarsi su un piano, sempre più, empatico verso il pianeta “malato”, preoccupandosi dei rischi e delle conseguenze ambientali e, quindi, del futuro dell’uomo.

Nel 2005 l’ambientalista Bill McKibben scrisse un articolo, intitolato What the Warming World Needs Now Is Art, Sweet Art, sostenendo che, una comprensione intellettuale dei fatti scientifici non era sufficiente. Se volevamo apportare cambiamenti significativi dovevamo coinvolgere “l’altro lato del nostro cervello”, la nostra immaginazione: credeva, quindi, che le persone più adatte per aiutarci a farlo erano, proprio, gli artisti. Le arti visive diventano, pertanto, il mezzo perfetto per descrivere l’urgenza, facendo leva sulla nostra inconsapevolezza emotiva, hanno il potere di fare eco alle sfide dell’umanità. 

Climate Change Art 

All’interno di questo quadro contemporaneo si delinea la cosiddetta Climate Change Art con il tentativo di descrivere una problematica più che mai attuale, coinvolgendo attivamente gli spettatori dal punto di vista politico e ambientale, rendendoli partecipi e consapevoli di una crisi sempre più dirompente. Basti pensare all’installazione Ice Watch di Olafur Eliasson: in occasione del festival internazionale culturale sul cambiamento climatico a Parigi nel 2015. L’artista islandese-danese ha realizzato un’installazione site specific, comprendente 12 pezzi di ghiaccio estratti da un fiordo in Groenlandia, disposti in cerchio nella piazza del Pantheon. Lo scioglimento dell’opera stessa, ha avuto lo scopo di sensibilizzare i cittadini, con una vera e propria azione collettiva contro questa calamità.

Proprio in questo periodo, con un tempismo significativo per quanto accaduto in Emilia Romagna, Fondazione Prada ha inaugurato nella sua sede veneziana la collettiva Everybody Talks About The Weather, prendendo in considerazione le condizioni atmosferiche come una premessa per affrontare la questione dell’emergenza climatica in corso. Oggi è difficile pensare ad una questione alla quale dare più attenzione e importanza, ci sentiamo quasi in obbligo di parlarne. Discutere oggi sul clima, è un’azione che influenza il destino di tutti, “parlarne” significa, quindi, “preoccuparsi” del futuro, sensibilizzare sulla questione che, già solo come intento, è da ritenersi ammirevole. 

Le azioni di protesta degli attivisti

C’è invece chi non si limita solamente a parlarne, ma cerca di mettere in campo una serie di azioni di protesta per il clima, prendendo di mira famose e storiche opere d’arte: come versare della vernice o della salsa di pomodoro sui vetri che proteggono i capolavori, o come incollare le proprie mani agli stessi vetri. Si tratta di nuove forme di contestazione in difesa dell’ambiente che da qualche anno si stanno sempre più diffondendo nelle principali città europee. Gruppi di attivisti come Extinction Rebellion o Ultima Generazione realizzano proteste di questo tipo per esprimere la determinazione delle generazioni più giovani ad opporsi a forme di sfruttamento delle risorse del pianeta ad esclusivo fine di lucro. Come spiega Carmen Leccardi, emerita di Sociologia della cultura presso l’Università di Milano-Bicocca, “la protesta riguarda l’impossibilità di accettare la fine del tempo che la distruzione del pianeta, a cui la crisi climatica rinvia, porta inevitabilmente con sé. Sul piano simbolico, questi gesti richiamano l’impossibilità stessa della creazione artistica in un universo che va verso l’auto-distruzione. Si protesta in questo modo anche contro l’ideologia del produttivismo a tutti i costi, e l’indifferenza etica che lo guida”.

Il tema della crisi ambientale è quindi davvero urgente, capace di bloccare le aspirazioni e le speranze di coloro che entrano nella vita sociale e per questo molto sentito dai Millenials e dalla Generazione Z. 

E le istituzioni museali come si stanno muovendo?

Viene da chiedersi, di fronte a questa urgenza, come si stanno muovendo le stesse istituzioni culturali. Per la società, i musei hanno da sempre avuto un un ruolo cruciale, come spiega Marcella Beccaria, Vice Presidente AMACI e Vice Direttrice, Capo Curatrice del Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea, “hanno un’enorme capacità di collezionare esperienze ma anche di crearle e in materia di sostenibilità, intesa come vivere e convivere, oggi il museo può essere fondamentale per la comprensione del futuro che si vuole, garantendo apprendimento e comprensione”.



Nel panorama italiano, molte istituzioni culturali, sia pubbliche che private, hanno raccolto la sfida, assumendo su di sé nuovi ruoli sulla questione della salvaguardia dell’ambiente: da un lato attraverso pratiche di gestione interna che minimizzino l’impatto ambientale, dall’altro mediante l’adozione di una serie di programmi educativi e didattici che coniugano la mission specifica, delle istituzioni stesse, all’esigenza di sensibilizzazione rispetto alle tematiche ambientali.

Un esempio rilevante è il Museo delle Scienze di Trento MUSE, il quale ad ottobre 2021 ha inaugurato  le proprie gallerie permanenti adottando una nuova chiave di lettura attorno ai diversi temi come: sostenibilità, perdita della biodiversità, cambiamento climatico ed esplosione demografica. Fondamentali sono state, inoltre, la scelta dei materiali eco-sostenibili e le modalità di costruzione, oltre alla progettazione di percorsi pedonali e servizi di trasporto che disincentivano l’utilizzo di mezzi privati a favore di una mobilità green.

Quello a cui stiamo assistendo, dunque, è che chi partecipa all’Arte del cambiamento climatico è mosso da un collettivismo per il bene pubblico. La loro voce e le prese di posizione sono preziose perché ci impediscono di prendere sonno, hanno, pertanto, lo scopo nobile di rendere la crisi climatica un tema che non può più essere ignorato. In fin dei conti, “tutti parlano del meteo” ed è giusto che sia così.

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