Nel suo ultimo libro Michelangelo Pistoletto, tra i maggiori protagonisti della scena artistica internazionale, si racconta. La formula della creazione è un’autobiografia e un affascinante viaggio attraverso l’evoluzione dell’arte contemporanea, in più è un testamento spirituale; ma va oltre, presentando interessanti riflessioni filosofiche e morali che si addentrano nei meandri del complesso rapporto tra arte, scienza e religione. “Dalla genesi del mio lavoro, questo libro porta, attraverso 31 passi, alla genesi dell’Universo. E, nel contempo, alla genesi di una nuova società”, dichiara Pistoletto in quarta di copertina. E lancia una sfida: imparare a guardare all’arte come a una bussola, capace di indicare alla società la direzione per raggiungere un nuovo equilibrio planetario.

Figlio di un apprezzato pittore e restauratore di opere d’arte, cresciuto nel suo laboratorio, sei rimasto profondamente radicato nella tradizione figurativa occidentale di stampo cristiano. Tanto che hai definito un errore il “rigettare in blocco il capitale culturale ereditato dal passato”. Ciononostante, sin da ragazzo osservavi che la pittura moderna si presentava come un’arte totalmente diversa. Fu l’esperienza nella scuola di Arte e Pubblicità di Armando Testa a farti capire che l’intervento creativo doveva concentrarsi sull’originalità dell’idea e poteva servirsi sia di immagini figurative sia di forme astratte?
Sì, ma non solo. In quegli anni osservavo che, svincolato dal peso di una committenza da secoli legata alla religione e alla politica, l’artista visivo, sempre meno artigiano, iniziava a imporre una sua propria autonomia intellettuale ed estetica, per fare emergere nuovi valori identitari. L’arte contemporanea allora richiedeva un vero e proprio salto di dimensione e, proprio mentre il confronto tra figurazione e astrazione si faceva più serrato, scelsi la rappresentazione iconografica dell’essere
umano come campo della mia personale ricerca. Cercavo di scovare nella storia dell’arte, in particolare nella tradizione iconografica in seno alla quale ero stato allevato, le basi su cui sviluppare una nuova cultura dell’immagine. Così l’icona della figura umana su fondo oro si è lentamente introdotta nella mia educazione e nella mia sperimentazione artistica. Iniziai a lavorare all’autoritratto e ben presto mi accorsi che lo specchio – lo strumento di cui mi servivo per ritrarmi – era divenuto ossessivamente presente nella mia ricerca, fino a sostituirsi definitivamente al fondo oro delle antiche icone.
Nel mondo, sei conosciuto per i Quadri Specchianti, che definisci “il tuo destino”. Con quest’invenzione, dal 1961 fai entrare nel quadro la realtà in modo inedito, proponendo una figurazione oggettiva e una rappresentazione scientifica del reale. Nel libro spieghi che il
Quadro Specchiante è un’intuizione – geniale – tutt’altro che casuale. E, infatti, è l’esito di lunghe riflessioni maturate con l’obiettivo di trarre gli artisti fuori dal dramma esistenziale, vissuto tra gli anni Quaranta e Cinquanta.
Sì, in quel periodo la pittura –- da tempo messa in crisi dal la fotografia – non poteva che approdare alla piattaforma dell’oggettività.
In altre parole, dopo aver esplorato i più svariati itinerari creativi, dall’impressionismo delle sensazioni all’espressionismo delle emozioni, dal dinamismo futurista al surrealismo immaginifico, fino a giungere alla figurazione deformata di Bacon, l’arte aveva bisogno di esattezza? O meglio, era giunto il momento di confrontarsi con la scienza?
Via via che la scienza soppiantava la religione, la mia arte sentiva il bisogno di divenire scientificamente ortodossa. Con il Quadro Specchiante, l’opera d’arte assumeva valenze scientifiche, filosofiche, sociologiche e politiche. Lo specchio, secondo Umberto Eco, dice sempre la verità in modo disumano: ogni immagine fissata sulla superficie specchiante è situata topologicamente come lo è nella realtà. Lo specchio, inoltre, offre una costruzione ottica della prospettiva frontale e retroversa così perfetta da far impallidire quella rinascimentale. L’uso della macchina fotografica, che è un prodotto della tecnica (techné in greco significa arte), garantisce l’oggettività della riproduzione di ogni soggetto. Per questo, nei Quadri Specchianti rappresento figure e oggetti a grandezza naturale e, per garantire allo spettatore una visione indiscutibilmente realistica, li espongo appoggiati a terra, proprio dove posiamo i piedi.

Osservi, però, che il Quadro Specchiante offre molto di più della rappresentazione esatta della realtà: lo definisci un’opera fenomenologica, che assimila la dimensione del tempo e propone immagini di validità universale nel loro diretto manifestarsi. Può sembrare un film del presente visto in diretta?
La fenomenologia del Quadro Specchiante sta proprio nel rapporto tra le figure immobili serigrafate, che colgono l’attimo, e il libero fluire delle figure mobili rispecchiate. Quindi funziona come una macchina del tempo, che gli spettatori utilizzano come astronauti. In altre parole, l’immagine fotografica fissa sulla superficie riflettente la memoria di un istante, mentre la riflessione di un presente mutevole segue lo spettatore in ogni istante a venire. Mentre lo specchio rinvia qualunque cosa in ogni epoca, indiscriminatamente, l’immagine serigrafata – che nasce come un autoritratto dell’artista – rimane fissa e attraversa le epoche.
Il Quadro Specchiante rivela dunque una mirabile sintesi tra natura e artificio, emozione e ragione, figurazione e astrazione e fa viaggiare l’artista o il personaggio ritratto – come un highlander – tra storia e presente. Mostra, inoltre, la complessità dell’esistente come una illimitata combinazione di fatti casuali. Da qui nasce una tua riflessione non solo artistica, ma esistenziale, di ben più ampio respiro. Affermi: “Cercavo l’assoluto e ho trovato il relativo”.
Sì. Lo specchio è diventato per me un campo di sperimentazione continuo: un’inesauribile fonte di ispirazione e di conoscenza. Attraverso la Divisione e moltiplicazione dello specchio, o Metrocubo d’infinito, ho indagato il rapporto tra l’infinito riflesso e l’infinito reale. Nell’opera specchiante ho percepito e fuso l’incorporeità della mente con la fisicità dell’esistente. Sul piano spirituale, ho trasformato la trascendenza religiosa nell’immanenza scientifica.
Commentando le parole di Frazer “Noi attualmente viviamo in un’epoca di transizione tra Religione e Scienza”, affermi: “Tutto nasce dall’arte. L’arte è l’arco che attraversa e illumina il buio dell’ignoto, portando nel tempo alla luce tutto ciò che il pensiero umano può raggiungere”. Questo è l’incipit del Progetto Arte del 1994, con cui ti sei posto un obiettivo davvero ambizioso: mettere l’arte al centro di una trasformazione responsabile della società.
Credo che tutto nasca dall’arte, sia la magia, sia la religione, sia la scienza. Dai tempi in cui gli uomini primitivi lasciavano le impronte delle proprie mani sulle pareti delle caverne, l’arte è l’anelito all’immortalità, l’essenza della spiritualità. Come scriveva Kandinsky, il concetto di spiritualità è stato per secoli inseparabile dal concetto di arte, perché essa consiste nella pratica della creazione. Oggi, mentre assistiamo alla transizione tra religione e scienza, l’arte – che tradizionalmente ha sostenuto la religione – assume una nuova consapevolezza e una diversa responsabilità. L’arte attuale, infatti, è chiamata a trovare urgentemente un punto d’incontro con la scienza e, parlando insieme ad essa, a infondere un significato nuovo anche alla religione e alla politica. Questa responsabilità può condurre l’umanità su un percorso volto a migliorare i sistemi socio-politici e religiosi che attualmente stanno vivendo una crisi profonda. Osservando gli squilibri planetari, pensavo a come fosse possibile armonizzare il contrasto presente in ambito sociale, a partire da quello sempre più estremo tra natura e artificio. Ebbene, allora compresi che l’equilibrio poteva essere identificato solo scientificamente. Per questo ho definito il Teorema della Trinamica e, con esso, la Formula trinamica della creazione. Secondo la Formula della creazione, che riguarda la vita in ogni sua accezione, la combinazione di due unità dà origine a una terza unità distinta e inedita. 1+1=3 come accade con
l’unione fra maschile e femminile, che partorisce un nuovo essere umano. Così l’unione delle antinomie genera nuovi elementi, prima inesistenti. Per graficizzare la formula trinamica ho pensato a tre cerchi, che hanno configurato la forma simbolica al Terzo Paradiso: i due cerchi esterni rappresentano natura e artificio, quindi le diversità, mentre quello centrale la compenetrazione tra i due. Il primo paradiso è quello in cui gli esseri umani erano totalmente integrati nella natura. Il secondo paradiso, artificiale, è stato sviluppato dall’intelligenza grazie alla scienza e alla tecnologia e, parallelamente agli effetti benefici, ingenera processi irreversibili di degrado e consunzione del mondo naturale. Il Terzo Paradiso rappresenta l’armonia tra natura e artificio: un mito, che spinge ciascuno ad assumere un impegno per la realizzazione di una nuova fase dell’umanità.

Queste teorie di carattere scientifico trovano un puntuale riscontro nel tuo lavoro e implicano una partecipazione attiva del pubblico, che Paolo Naldini definisce demo-pratica. A Biella hai costruito Cittadellarte – denominazione complessiva di tutte le attività della Fondazione Pistoletto – con lo scopo di connettere la creatività che è insita in ogni ambito della vita umana. Inventando il Terzo Paradiso, hai cominciato a diffondere i principi statutari e fondativi di Cittadellarte in giro per il mondo. Il simbolo del Terzo Paradiso, ideato mediante la riconfigurazione del segno matematico dell’infinito e composto da tre cerchi consecutivi allineati, che graficizza la formula della creazione, è stato ripreso internazionalmente migliaia di volte, anche nell’ambito di istituzioni sociali e politiche. Ha promosso una trasformazione responsabile della società: ad esempio, a Venezia per l’arte, ad Assisi per la religione, al Louvre per la storia, all’ONU per la politica e persino dalla missione VITA per lo spazio. In questo modo il tuo lavoro assume un carattere sempre più comunicativo, socially-engaged e ambientale. Si lega al fare, al cambiare, al coinvolgere, e lascia una notevole eredità culturale.
Credo che l’arte possa operare attivamente e direttamente nella società, guidandola verso quella nuova fase che ho chiamato Terzo Paradiso. L’arte demo-pratica non sovverte, ma rigenera, armonizza e interconnette ogni forma di governo esistente. A Cittadellarte, che è un laboratorio creativo e un’impresa culturale senza fini di lucro, l’arte entra operativamente nel funzionamento della società, a partire dal proprio territorio, ispirandosi al modello monastico-conventuale, operando attraverso l’istituzione della Città Arcipelago e di Unesco Biella Città Creativa, ma anche UNIDEE residency program e Accademia Unidee. Il Terzo Paradiso è un grande ideale comune che, trasformando in realtà proprio la funzione primaria e basilare dell’arte, sta sviluppando un processo di partecipazione sempre più esteso e coinvolgente. Sia Cittadellarte sia il Terzo Paradiso stanno crescendo in base al principio di co-autorialità. Oggi sono l’autore de La Formula della Creazione, ma lascio ai co-autori di Cittadellarte il compito di scrivere il prossimo libro, dedicato a una trasformazione ragionevole della società.