David Lamelas a Bolzano: la storia, lo spazio, il tempo. Pensarci su

Prima retrospettiva in un'istituzione italiana dell’artista argentino, autore di una delle più affascinanti ricerche artistiche di matrice concettuale emerse alla fine degli anni Sessanta

Ospitata dalla Fondazione Antonio Dalle Nogare a Bolzano I Have to Think About it è la prima mostra retrospettiva in Italia dedicata all’artista argentino David Lamelas. A cura di Andrea Viliani con Eva Brioschi, il progetto espositivo invita lo spettatore a riflettere sulla dimensione spazio-temporale dell’opera d’arte in un continuo confronto con quella dello spettatore.

Ugo Mulas, David Lamelas. Office of Information about the Vietnam War on Three Levels: Visual Image, Text and Audio, XXXIV Esposizione Biennale Internazionale d’Arte, Venezia, 1968.
Courtesy Archivio Ugo Mulas, Milano – Galleria Lia Rumma, Milano | Napoli

Tra i grandi pionieri dell’Arte Concettuale, Lamelas ha esercitato una grande influenza nel campo dell’arte internazionale grazie alle sue installazioni multimediali e ai suoi film innovativi. Sin dal suo esordio negli anni Sessanta, le sue creazioni hanno esplorato il legame tra arte e vita quotidiana, nonché concetti come identità, storia e memoria. Il suo lavoro, che spazia dalla fotografia alle installazioni, dai film alla performance, utilizza spesso una struttura narrativa non lineare, svelando il suo particolare interesse nei confronti del rapporto tra passato e presente e ai modi in cui la storia viene costruita e ricordata.

In occasione della mostra, l’artista instaura un dialogo muto con alcune delle opere in collezione con le quali condivide una profonda matrice concettuale. Il titolo stesso è una dichiarazione consapevolmente autoironica con cui Lamelas sfida il formato tradizionale di una retrospettiva, senza mai abbandonare il pubblico come elemento integrativo delle sue opere. Il contesto espositivo viene così vissuto come un luogo di incontro tra prospettive e stati d’animo diversi, dove la distanza tra l’esperienza del visitatore e dell’artista viene modulata attraverso l’incontro con le opere. Di conseguenza, l’arte di Lamelas invade letteralmente gli spazi della Fondazione, stabilendo contrappunti tra opere aperte che in qualche modo parlano la stessa lingua. «Questo dialogo si prolunga nel tempo in una continua mise en abyme di opere che in qualche modo si congelano in uno spazio ipotetico e filosofico, mentre vengono allo stesso tempo reinterpretate dalla percezione soggettiva dello spettatore», afferma la curatrice Eva Brioschi.
Il concetto di spazio e tempo si articola in uno scambio continuo tra il tempo dell’artista, il tempo della storia dell’arte con la quale le sue opere si relazionano e il tempo presente incarnato dello spettatore vagante tra le sale della Fondazione.

La prima opera in mostra Effecto Pantalla (1968) racchiude dentro sé questa articolazione tra spazio e tempo: due proiettori di diapositive vuoti emanano luce in due direzioni opposte, la prima verso l’interno proiettando sulla parete un quadrato bianco e la seconda verso lo spazio dello spettatore, illuminando la sua presenza nello spazio. L’assenza di immagini svuota il raggio luminoso dalla sua funzionalità originaria diventando un oggetto fisico a sé stante. Da una parte si presenta lo spazio-tempo dello schermo e dall’altra quello della platea. Se come afferma il curatore Andrea Viliani, per un artista lo spazio e il tempo relativo è quello delle mostre, in questo caso siamo noi spettatori a diventare il tempo e lo spazio di David Lamelas. Il tema della relatività ritorna nella seconda opera in mostra Gente di Milano (1970), un breve film con telecamera fissa che riprende i passanti di un quotidiano contesto urbano. Contemporaneamente l’artista scatta dallo stesso punto undici fotografie in bianco e nero cogliendo le azioni dei soggetti fotografati e testimoniando la sua presenza in quanto osservatore. 

Il dialogo tra Lamelas e le opere collezione continua con Segnalamento (2004), venti lastre di marmo disposte a cerchio sul pavimento, al cui interno si innalza il lavoro di Luciano Fabro Impronta (1964), una lastra di vetro quasi invisibile se non per alcuni segni sulla superficie che corrispondono al corpo dell’artista stesso. Il lavoro di Lamelas diventa lo strumento di segnalazione dell’esistenza dell’invisibile lavoro di Fabro racchiuso al suo interno. Durante la visita in mostra, l’artista si muove giocosamente all’interno di questo cerchio facendo scoppiare l’allarme e ricordando ai visitatori di prestare attenzione anche a ciò che non si vede. Intorno ai due cerchi si vedono opere di altri quattro artisti dell’Arte Povera, Giovanni Anselmo (Documentazione d’interferenza umana nella gravitazione universale, 1969-1971) Alighiero Boetti (Immagine somiglianza, 1975), Giulio Paolini (La Doublure, 1972-1973) ed Emilio Prini [Conferma partecipazione all’esposizione (nato vecchio), 1970] che diventano spazi multipli di esistenze che si incontrano e condividono uno stesso tempo.

Al primo piano il lavoro di Lamelas si inserisce all’interno della storia dell’arte con diligenza esplorando la relazione tra lo spazio fisico e lo spazio psicologico tra le sue opere e quelle degli artisti a lui vicini come Lucio Fontana, Piero Manzoni, Sol LeWitt, On Kawara, Franco Vaccari, Blinky Palermo, Bernd Lohaus, Douglas Huebler e Robert Barry. L’approccio decostruttivo di David Lamelas manda in frantumi le logiche narrative tradizionali e accoglie la possibilità dell’imprevisto. In particolare, l’installazione Office of Information about the Vietnam War at Three Levels: The Visual Image, Text and riflette la natura paradossale della comunicazione in una società sempre più connessa e alienata allo stesso tempo. L’opera originale, presentata alla Biennale di Venezia del 1968, e riscostruita grazie alle fotografie di Ugo Mulas che hanno documentato la performance, presentava un ufficio arredato con mobili Olivetti e chiuso da una parete di plexiglass. A intervalli, una donna si sedeva nell’ufficio e leggeva ad alta voce le trasmissioni in diretta sulla guerra del Vietnam, ricevute attraverso un telex dall’agenzia di stampa italiana ANSA. Quando la donna era assente, i visitatori potevano ascoltare le registrazioni dei servizi in diverse lingue.
La versione dell’installazione è stata ricostruita al MoMA di New York con arredi d’epoca, dispositivi elettronici e notiziari dell’epoca. Attraverso la giustapposizione di notizie in tempo reale sulle atrocità della guerra in un ambiente sterile e burocratico, Lamelas evidenzia il potenziale di sovrasaturazione delle informazioni e la diminuzione del loro impatto. «Sono passati cinquantacinque anni, eppure, ci ritroviamo nella stessa situazione. Allora era il Vietnam, oggi è una guerra più vicina. Per questo l’abbiamo voluta nuda perché oggi è giusto presentarla così», afferma l’artista.

David Lamelas in Buenos Aires, 1964. Photo Oscar Bony

Per questa occasione e forse in segno di speranza, l’opera è infatti presentata senza lastra di vetro di separazione e senza, dunque, la parete che simboleggia l’impossibilità di comunicazione. Manipolando lo spazio fisico, Lamelas è riuscito a creare un senso di movimento e un’atmosfera di instabilità temporale. Lo spazio diventa così lo strumento per esplorare il rapporto tra il processo creativo e il mondo dell’arte. Non trovandosi né in centri né in periferie ed essendo a casa in spazi multipli e sincroni, il suo lavoro cattura una qualità sfuggente del tempo.