L’umorismo poetico di Shimabuku pervade gli spazi di Museion a Bolzano

L'arte crossmediale dell'artista giapponese propone un approccio leggero e umoristico all'esperienza del mondo, rivelando attimi inattesi di condivisione e rispecchiamento

In un delicato alternarsi di frammenti di esistenza, le opere di Shimabuku evocano racconti intimi permeati da un profondo senso di leggerezza e curiosità, in cui la distanza tra l’esperienza personale e collettiva sfuma in piccoli momenti di umorismo poetico.

Shimabuku, Sculpture for Octopuses: Exploring for Their Favorite Colors – aquarium in Kobe, 2019
Courtesy the artist and Amanda Wilkinson, London © Shimabuku 

Aperta al pubblico a partire dal 6 maggio e ospitata da Museion, il museo di arte contemporanea di Bolzano, Me, We è la prima grande personale dell’artista giapponese in Europa e comprende una selezione di opere multimediali realizzate dagli anni Novanta a oggi che spaziano dalla performance, alla fotografia, al video, alla scultura, all’installazione. L’arte di Shimabuku e il suo processo creativo appaiono come tracce di momenti di stupore e idee improvvise di cui le opere sono le testimonianze. Come in una canzone d’amore in cui l’esperienza del singolo si universalizza nel toccare gli animi di molti, i lavori di Shimabuku invitano lo spettatore ad avvicinarsi, scoprire la loro storia e lasciarsi andare, senza pretese, alla gioiosa contemplazione di piccoli e speciali attimi di esistenza.  

Come descrizione perfetta di una relazione, il titolo della mostra Me, We si rifà alla poesia più breve al mondo enunciata dal famoso pugile Muhammad Alì durante una conferenza all’Università di Harvard nel 1975. In una liberazione da ogni forma di egocentrismo, la singolarità dell’Io si estende verso la pluralità del Noi, evocando il passaggio dall’essere individuo a favore di un essere collettivo. Il concetto di coppia come possibilità di unione è in questa mostra il filo conduttore del lavoro di Shimabuku. Elementi apparentemente lontani come un caco e un pomodoro, vengono così avvicinati tra loro e nel confondersi, svelano la profonda e affettuosa vicinanza che li lega. Il dualismo degli opposti viene dunque trasceso a favore del loro incontro. Nel ritagliarsi con autoironia lo spazio per stare al mondo come meglio desidera, Shimabuku si immerge con agio nell’assurdità delle sue azioni poetiche. Lo spettatore si ricorda quasi spontaneamente dell’assurdità universale dell’esperienza umana, in quanto rilegata a una condizione esistenziale (de)finita, al di là di ogni differenza storica, sociale e culturale. 

Shimabuku, Oldest and Newest Tools of Human Beings, 2015
Courtesy the artist and Amanda Wilkinson Gallery, London © Shimabuku 

Dai piccoli e surreali momenti di vita dell’artista, emerge dunque il ritratto di un’umanità sempre più bisognosa di ritrovare legami e affinità con l’ambiente che lo circonda. «Viviamo in un momento storico in cui l’interazione tra l’uomo e l’ecologia è al centro del dibatto pubblico. Tuttavia, lo stesso dibatto sta diventando sempre più apocalittico. Il lavoro di Shimabuku ci ricorda che l’umanità non è il parametro standard attraverso il quale il mondo può essere misurato. Al contrario, promuove una consapevolezza che va oltre l’antropocentrismo e ogni moralismo attraverso la generosità, l’affettività e l’humor», commenta il presidente di Museion Bart van der Heide. Vediamo infatti Shimabuku avvicinarsi agli animali con la stessa attitudine con cui si relazionerebbe idealmente con gli esseri umani. Lo vediamo progettare mostre per babuini, creare opere d’arte per polipi, portarne uno a spasso per la città di Kyoto per poi liberarlo sano e salvarlo in mare. Lo vediamo fluttuare in aria sotto forma di aquilone e cadere a picco in un esilarante cortocircuito psicologico. Assorto e solitario, lo vediamo ora seduto su una panchina sopra un’onda in riva al mare e ora mentre si occupa dell’indimenticabile viaggio di un cetriolo.

Il talento dell’artista giapponese sta nell’entrare all’interno di queste esperienze umane senza retorica, peso o drammaticità. Al contrario, un senso di leggerezza pervade lo spazio espositivo che elude la superficialità del linguaggio e che «toglie i macigni che abbiamo sul cuore», come scrive Italo Calvino a proposito della leggerezza. Ritrovarsi davanti a un’opera di Shimabuku somiglia infatti a leggere un racconto di Calvino. Ne Gli amori difficili, ogni storia è dedicata a un piccolo momento di esistenza umana che racconta quello che almeno una volta, e con un po’ di malinconia, tutti noi abbiamo provato. Amiamo questi personaggi perché li sentiamo vicini e perché sappiamo di quanto a volte sia complicato stare al mondo. D’altronde, in una contemporaneità sempre più sopraffatta dal dramma della pesantezza e da parole svuotate di significato, Shimabuku ci ricorda che la vita è anche prendersi meno sul serio ed esplorare ciò che c’è attorno a noi, percepire l’aria che respiriamo e renderci conto che è la stessa per tutti. Sperimentare il suo lavoro è come tornare bambini e vivere lontani dalla faticosa dominazione dalla logica e dall’inquietudine di un futuro sempre meno luminoso. La leggerezza è vivere le cose con ironia e condividerle con chi ne coglie la profondità. La leggerezza ci avvicina e ci porta a uscire dall’indifferenza per accorgerci della sottile e silenziosa presenta dell’altro.

Shimabuku, Me, We, site specific installation, Museion 2023 © Luca Guadagnini

Dalla prima sala si intuisce il tono con cui l’artista tratta tematiche esistenziali con Flying Me (2006) il video di un aquilone lui somigliante che fluttua nel cielo in un’alternanza di cadute a picco e riprese leggere. Ironicamente, è lo stesso artista a tenere l’aquilone che con aria divertita raccoglie e mostra alla cinepresa. L’identità umana si assottiglia e si innalza all’imprendibilità del vento, pur sempre mantenendo un legame con la terra, incarnato dal corpo stesso dell’artista. 
Sotto forma di fotografie e racconti, la seconda sala raccoglie tra le prime testimonianze pubbliche delle performance di Shima. Vediamo un giovane Shima radersi un sopracciglio su un treno mentre è in viaggio in Europa. Il pensiero accanto al quadro si sofferma sull’effetto che questo nuovo aspetto avrebbe avuto nelle persone per capire si potesse rompere la parete invisibile tra l’io e il noi. «Feci amicizia con molte persone che mi chiedevano: “Perché hai un sopracciglio solo?” e poi mi invitavano a cena. La mia vita cominciò a cambiare per il fatto di avere un sopracciglio solo. L’arte dovrebbe avere la forza di cambiare la vita. […] Dopo aver visitato undici paesi e quando il sopracciglio ricrebbe, l’opera di concluse», scrive Shimabuku in un’intervista con Haeue Yang. 

Nella minima, semplice e scarna essenzialità delle esperienze dell’artista prendono vita momenti speciali in cui «non c’è più confine tra sentimento e concetto. Tutto diventa immediato», afferma Yang. Si vedono pesci volare alti nel cielo blu in Quando il cielo era mare (2002) e Shimabuku solo e pensoso con i piedi in aria mentre siede su una panchina in riva al mare in Seduto sull’onda (1998). Il grande formato delle fotografie e la delicatezza delle immagini e dei colori tenui dei quadretti narrativi che accompagnano ogni opera trasmettono un senso di tranquillità e rilassatezza. Su una grande parete Natale nell’emisfero australe (1994) una gigantografia raffigura l’artista vestito da Babbo Natale in piena primavera con in mano due sacchi pieni di spazzatura. Nell’immaginario dell’artista, la sua figura sarebbe rimasta sospesa nella mente dei passeggeri di un treno di passaggio lì vicino e sarebbe stato per lui meraviglioso se qualcuno proveniente dall’America Latina o dall’Australia avesse ricordato il proprio caldo Natale. 

Shimabuku, Christmas in the Southern Hemisphere, 1994. Courtesy the artist and Air de Paris, Romainville. Photo Marc Domage. Courtesy the artist and Air de Paris, Romainville  

Il terzo spazio in mostra è invece dedicato ai polpi che da anni affascinano l’artista. In una messa in discussione del netto confine tra animali ed esseri umani, Shimabuku porta l’attenzione ai desideri e l’individualità delle creature, offrendo loro doni e mostrandosi a essi solidale. Otto poster stampati su carta intitolati Con il Polpo (1990 – 2010) raccontano riflessioni e storie di polpi, mostre in frigorifero, incontri ed esperimenti fantastici. I titoli delle opere in questa sezione parlano per sé: Sassi per polpi (2010), Sculture per polpi: esplorando i loro colori preferiti (2019); Catturare un polpo con vasi di ceramica autoprodotti (2003); Poi ho deciso di far fare un tour di Tokyo al polpo di Akashi (2000). Attraverso lo spostamento del punto di vista da umano a non umano l’ambiente animale si trasforma nella possibilità di capire meglio da dove veniamo e il punto di vista attraverso il quale giudichiamo il mondo. Non a caso nella sala seguente vediamo le fotografie e un video di una delle prime mostre di Shima realizzata esclusivamente per delle scimmie. Nel 1972 ottanta macachi giapponesi furono infatti trasferiti in una riserva nel pieno deserto del Texas e adattandosi bene al nuovo ambiente, crearono altre generazioni dopo di loro. Curioso di sapere se queste scimmie conservassero il ricordo della neve, Shimabuku portò una grande quantità di ghiaccio nella loro dimora e creò un cumulo chiamato “Montagna di Neve”. Seppur non lo avessero visto per generazioni le scimmie reagirono con spontaneità al ghiaccio, evidenziando come la memoria possa esistere anche a livello cellulare. 

In Shimabuku’s Fish & Chips (2006) osserviamo un pesce avvicinarsi a una patata lanciata in mare e poeticamente si svela la giocosa capacità dell’uomo di instaurare nuove e inaspettate relazioni. Da sempre appassionato di musica, nel video Going to Noto with Takehisa Kosugi, Shimabuku cattura le innovative performance del celebre pioniere della musica elettronica. Mentre Takehisa Kosugi cammina lungo un sentiero isolato vicino a una cascata, utilizza un fischietto, una ciotola di metallo e uno strumento elettronico in una borsa che altera la sua tonalità in risposta alla luce del sole per creare un suono unico. Il viaggio, come abbiamo visto è un tema ricorrente nel lavoro di Shimabuku proprio perché parte integrante della sua identità nomadica. Cucumber Journey (200-2014) ne è un esempio geniale. Partito da Londra con cetriolini e altre verdure fresche, l’artista si occupa di trasmutare i cetriolini attraverso un processo di conservazione uno “slow food”, per un viaggio lento nel quale la fermentazione trasforma i cetriolini in pickles sotto aceto. Video, fotografie, disegni documentano questo viaggio esilarante. 

Il percorso di mostra continua con una selezione di opere squisitamente surreali. Da una parte incontriamo degli elastici poggiati su un cerchio bianco per terra e una scritta sul muro che recita “Sentitevi liberi di prendere un elastico nuovo dalla scatola di far passare il vostro corpo attraverso esso”. Dall’altra una scatola di cartone con guanti di lavoro appoggiati sopra che inizia a parlare e a raccontare di quanto sia bello essere una scatola perché ti permette di viaggiare e contenere tante cose. E ancora, un sassolino sotto la scarpa in Compagno, una Fotografia che (letteralmente) indossa stivali da pioggia. In Affilando un MacBook Air vediamo invece l’artista utilizzare il computer come fosse un’ascia con cui riesce con a tagliare una mela in due perfette parti uguali. Ne I più antichi e più nuovi utensili degli esseri umani (2015) strumenti di pietra vengono accostati a iPhone e iPad evidenziando come la funzionalità al servizio dell’uomo di entrambi rimanga invariata nonostante la differenza dei materiali, sfidando così la dialettica tra il vecchio e il nuovo. 

Shimabuku, Kaki and Tomato, 2008
Private Collection © Shimabuku 
 

Il piano superiore di Museion propone oggetti in coppia che svelano le complesse dinamiche che li uniscono. Caco e Pomodoro (2008), Gatti e Corvi (2010), Luna e Patata (2023) sono alcuni tra gli elementi che gentilmente si accordano per il semplice fatto di co-esistere nel tempo e nello spazio e ovviamente per essere stati selezionati con cura da Shima. Nel lavoro Letto e Pace (2023) si vedono due silhouette di terra distese su un letto bianco. Ispirata alla performance di John Lennon e Yoko Ono a Bed-In (1969), Shimabuku riporta l’attenzione sul bisogno fondamentale di pace tra l’uomo e la terra, portatrice di una memoria e spazio di crescita potenziale. L’opera viene infatti annaffiata quotidianamente e forse un giorno si vedranno i segni della vita che cresce al suo interno.

L’ultima sezione della mostra comprende l’installazione Io, noi in cui Shimabuku affianca materiali di scarto provenienti da due edifici di Bolzano: il Mauracher Hof, un antico complesso risalente al XIII secolo e luogo di incontro per molti viaggiatori, e l’Ex-Montecatini, Sinigo una grande fabbrica costruita negli anni Venti del Novecento legata alla storia dell’italianizzazione della zona. Shimabuku prende elementi da entrambi i luoghi come parti di muri, bottiglie, porte, cancelli e li giustappone verticalmente uno accanto all’altro. I due edifici e le loro infinite memorie si incontrano così per la prima volta e rivivono nell’ampia sala di Museion.

Immergersi nel mondo di Shimabuku significa quindi lasciarsi andare all’imprevedibilità dell’esperienza umana, che oggi più che mai ha bisogno di ritrovarsi nella semplicità degli accordi tra ciò che lega piuttosto che tra ciò che separa. Conservo dentro di me una bella esperienza di autenticità, di rispetto, di ispirazione e di quanto sia importante scegliere come voler stare al mondo. La vita, in fondo, non è altro che un insieme di momenti fugaci e mutevoli che chiede di essere scoperta nella sua semplicità. Non resta che capire dove dirigere il nostro sguardo per mettere in atto la nostra, piccola, azione poetica. Per questo ringrazio sinceramente Shimabuku per averci reso parte del suo mondo.

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