Il contemporaneo fra le antichità. Cagli in mostra da Alberto Di Castro

La storica galleria di antichità in Piazza di Spagna ripercorre il secondo dopoguerra dell’eclettico maestro del Novecento Corrado Cagli

2 novembre 1947. Piazza Augusto Imperatore, Roma.
Lo Studio d’Arte Palma inaugura la prima mostra di Corrado Cagli a Roma dopo un decennio trascorso lontano dall’Italia a causa delle leggi razziali. Ad aspettare l’artista marchigiano (Ancona, 1910) non c’è solo un pubblico di curiosi e appassionati; fuori dalle porte della galleria lo aspettano le violente accuse di incoerenza e connivenza con il regime fascista avanzate dagli artisti italiani del gruppo Forma 1 – autodefinitisi nel loro manifesto «formalisti e marxisti» – che si oppongono ferocemente al rientro dell’artista nel dibattito culturale italiano che segue la tragedia del Secondo conflitto. Fra i colleghi e amici che lo difendono e i giovani protestanti del neonato sodalizio artistico cresce l’attrito. A pochi minuti dall’inaugurazione, la mostra si trasforma in una rissa e molti dei coinvolti finiscono in questura.

Come si è potuto arrivare a tanto? Corrado Cagli è stato un artista che ha sicuramente diviso e probabilmente ancora divide: artista enfant prodige, dopo diversi incarichi – fra cui la direzione artistica della fabbrica di ceramiche Rometti a Umbertide – ottenuti non ancora ventenne fonda, con gli amici e colleghi Emanuele Cavalli e Giuseppe Capogrossi, il cardine della “Scuola Romana” (fr. École Romaine – Waldemar-George, 1930), il cui tonalismo sarà imprescindibile per i pittori della capitale. In questo periodo innova la tecnica preferendo l’encausto alla pittura tradizionale e promuovendo un rinnovato impegno della pittura murale nel Paese – nel 1933 uscirà un suo articolo sulla rivista Quadrante intitolato “Muri ai pittori” – come opposizione al monumentalismo del gruppo milanese Novecento.

Difficile, se non impossibile, attraversare politicamente indenni gli anni Trenta in Italia senza sposare la causa fascista. Il grande clamore generatosi intorno all’artista già in tenera età lo rende un fiore all’occhiello del regime: dai Preparativi alla guerra per il Vestibolo della V Triennale (Milano 1933), ai pannelli per la II Quadriennale (Roma 1934), alla tempera ad uovo La corsa dei berberi  per la nuova sede dell’Opera Nazionale Balilla (Roma 1935), fino alla sua produzione su tela come Il cavallo di Mussolini (1932), Spedizione punitiva (1932) e la Battaglia di San Martino (1936, ispirata alla celebre Battaglia di San Romano di Paolo Uccello).

L’impegno dell’anconetano non era dunque mancato nella propaganda del ventennio, accanto a nomi di spicco del calibro di Mario Sironi e Carlo Carrà. Sarà questa proclamata connivenza a muovere l’ardore dei giovani artisti di Forma 1, sdegnati dalla presenza di un “fascista” in un clima di ricostruzione nel quale loro stessi rappresentavano un momento di sostanziale rottura col passato. Eppure, su una cosa non si sbagliavano: Cagli rappresentava la continuità.
Egli aveva infatti portato rapidamente il proprio lavoro su un piano di grande autonomia, nel quale la fascinazione per le architetture dipinte da Giorgio De Chirico e realizzate da Le Corbusier, il concetto di primordio mutuato dai lavori di Pablo Picasso e Georges Braque, l’influsso di Carrà venivano assorbiti in un’impostazione memore dell’impeccabile geometria di Piero Della Francesca e della composizione di Paolo Uccello. La maestria con la quale Cagli si muoveva nel mezzo di questi riferimenti lo aveva portato già nella prima metà degli anni Trenta a uno stile del tutto autonomo e mutevole nel quale si prescindeva dalla tecnica in favore di un’espressione nuova, lontana dal classicismo magniloquente dei suoi colleghi. 

Venne così a crearsi il primo punto di rottura con un regime che si avviava all’adozione delle leggi raziali (1938). Cagli infatti, ebreo, venne derubricato nel giro di pochi anni a nemico del regime: La corsa dei berberi venne giudicata non aderente allo spirito fascista dal Ministro dell’Educazione Nazionale Renato Ricci e censurata, il ciclo di dipinti dedicato agli eroi italiani che l’artista espose nel 1937 all’Esposizione Internazionale di Parigi fu violentemente attaccato dalla stampa italiana tramite le penne di Giuseppe Pensabene e Telesio Interlandi, che si scaglieranno contro di lui anche l’anno seguente per l’antieroismo dell’Orfeo incanta le belve realizzato per la XXI Biennale di Venezia. I dipinti di Parigi vennero perfino parzialmente distrutti per ordine di Galeazzo Ciano. 
In seguito a questa escalation di violenza l’artista decise, con l’avvento delle leggi raziali, di muovere in direzione di Parigi e successivamente di New York, dove si arruolerà e sperimenterà gli orrori del secondo conflitto, fino alla traumatica liberazione del campo di sterminio di Buchenwald.


30 marzo 2023. Piazza di Spagna, Roma.
Antichità Alberto Di Castro inaugura la mostra Corrado Cagli 1947 – 1959 a Roma a oltre tre anni di distanza dall’ultima retrospettiva dedicata al maestro presso Palazzo Cipolla. L’esposizione curata da Alberto & Denise Di Castro, Gian Enzo Sperone e Yuri Tagliacozzo si connette brillantemente all’antefatto espositivo del 1947 recuperando poco più di un decennio di opere che il maestro realizza a partire dal ritorno nella Capitale. In particolare, viene mostrata la grande capacità dell’artista di assorbire gli stimoli provenienti dalle esperienze d’esilio: dalla poetica postcubista e surrealista dei nuovi colleghi André Breton, André Masson, Max Ernst, Victor Brauner e Wifredo Lam – con i quali ridisegna l’iconografia dei Tarocchi –, per giungere alla commistione fra le arti attraverso l’amicizia con i matematici Paul Samuel Donchian e Oscar Zariski, con il compositore Igor Stravinsky e la collaborazione – con la quale l’artista si apre al mondo delle scenografie teatrali –  con il coreografo George Balanchine.

«Da Igor Stravinsky ho imparato probabilmente molto di più che da un Picasso, per analogia. I miei debiti non sono mai contratti con i pittori o con gli scultori. Mi trovo sempre ad aver dei legami, dei debiti, con gente che ha praticato un altro mestiere». [Corrado Cagli]

Nelle sale della storica (1878) galleria di antichità, Corrado Cagli si lascia osservare nel suo periodo più controverso, parte della crisi identitaria che aveva fortemente colpito l’intero clima culturale dell’entre-deux-gurres una volta terminato il secondo conflitto, facendo gridare all’impossibilità di praticare cultura all’indomani della tragedia dell’Olocausto.

«scrivere una poesia dopo Auschwitz è un atto di barbarie».
[T. W. Adorno – Critica della cultura e società, 1949]

Proprio in questi anni che seguono la guerra, la poetica di Cagli vive una fase di svolta, con la violenta apertura all’astrazione fatta di segni via via sempre più materici e geometrici. Egli matura l’impossibilità di esprimersi attraverso la figurazione del decennio precedente e anticipa alcune delle soluzioni artistiche che avrebbero contraddistinto gli anni a venire e la poetica Informale. I riferimenti dell’artista, però, non mutano. Egli non considera necessario prediligere un genere nell’espressione, tanto da tenersi aperta la possibilità di scegliere con quale meglio esprimere il proprio lavoro di opera in opera. 

«In ogni momento, io cerco di essere aderente dal punto di vista strumentale alla cosa che intendo significare». [Corrado Cagli]

Qui nasce la sfida di questa mostra: narrare l’incredibile continuità di un viaggio solamente a prima vista disomogeneo. Per farlo, Antichità Di Castro sceglie non solo di mantenere in mostra parte della propria collezione di antichità, ma addirittura di metterla in dialogo con le opere del maestro. Così, appena entrati notiamo subito l’acceso scambio cromatico fra La Ruota della Fortuna (1948) e lo splendido volto romano di VIII secolo realizzato a mosaico. Del Libro di Ulisse (1949) ci accoglie poi con un’esplosione geometrica che ci connette immediatamente alla prima fase segnica di Capogrossi – del quale Cagli fu grande amico e critico al limite del militante –, mostrandoci la capacità dell’artista di farsi trait d’union fra astrazione e realismo attraverso un segno matematico che recupera quello dei solidi di quarta dimensione dell’amico Donchian. Questa visione frontale, che evoca il tonalismo adottato da Cagli nella sua prima fase figurativa, introduce al corridoio dedicato alla sperimentazione che l’artista, a cavallo degli anni Cinquanta, intraprende nella direzione della scomposizione e ricomposizione dell’immagine: qui, temi appartenenti alle tradizioni più disparate sono realizzati su reticolati grafici che rammentano la xilografia e costringono i soggetti nel ritmo stringente del pattern adottato di tela in tela. La grande varietà cromatica e tematica delle opere instaura un prolifico dialogo coi capolavori antichi della galleria, come il piano in noce con tessere di marmo colorato che, al termine del corridoio, introduce allo spazio nevralgico della Galleria.

Il salone principale è un dinamico gioco di rapporti chiasmici estetici e concettuali: sulla destra le meravigliose Diogene L’Angoscia (1949), sperimentazioni surrealiste che richiamano i segni automatici – realizzati senza staccare mai la mano dalla tela – inquadrano e recuperano la brillantezza dell’affresco staccato a massello raffigurante Mercurio in volo mentre accende una fiaccola attribuito a Taddeo Zuccari. Nel lato diametralmente opposto del salone la composizione viene ribaltata: due colonnette di inizio XII secolo inquadrano il capolavoro Ca-Ira (1951), un’opera appartenente ai cicli delle «Impronte dirette» e «Impronte indirette», testimone della svolta astratta del decennio Cinquanta. L’opera, dal dinamismo e colori brulicanti e affastellati che rammentano la composizione tipica delle scene di battaglia, rievoca un popolare canto della Rivoluzione francese traducibile nell’italiano «andrà, riuscirà».
Nelle pareti laterali possiamo invece osservare il gioco cromatico instaurato fra la produzione di carte mute (1958-1959) che l’artista realizza su carta intelata – nelle quali la tecnica chiaroscurata simula le increspature di una carta ripiegata – e i rocchi di una colonna tortile realizzata da Giovanni D’Ambrogio per la chiesa di Santa Maria in Trastevere fra il 1382 e il 1418.
La mostra, aperta fino al 14 maggio, è corredata da un catalogo che raccoglie i contributi dei curatori e le brillanti riletture di Veronica Prestini ed Ester Coen, già impegnata nel restauro del dipinto murale La corsa dei Barberi, rimettendo così in gioco la produzione meno nota dell’artista sfidando il giudizio del tempo e ricollocandolo fra i grandi del Novecento italiano.