Riverbero e Passaggio, dentro e fuori. L’iperrealismo di Marta Naturale a Palazzo Braschi

Un fresco e piovoso pomeriggio di aprile, mi incammino con un amico verso Palazzo Braschi per visitare la mostra della pittrice Marta Naturale in ambito di QUOTIDIANA, un progetto espositivo promosso dalla Quadriennale di Roma.
All’interno di una sala bianca fortemente illuminata, due piccoli e scuri quadri realizzati a olio su ardesia delineano uno spazio espositivo fin troppo freddo e a tratti alienante. Apparentemente dischiuse in loro stesse, le due dettagliatissime opere invitano lo spettatore ad avvicinarsi e a scoprire l’esistenza di un mistero che le lega. Entrambi i quadri mostrano due ambienti di interni, una porta a vetri in Riverbero e una serranda socchiusa in Passaggio, minuziosamente illustrati con una cura quasi ossessiva da cui emergono gli iperrealisti elementi figurativi che li compongono.  

In Riverbero le mattonelle del pavimento, il termosifone a muro, il citofono e i dettagli della porta appaiono asettici, senza personalità o qualità estetiche particolari. Tuttavia, al centro del dipinto si percepisce vibrare una presenza al di fuori della porta a vetri al centro della composizione attraverso cui si intravede un magma di colori e forme condensate in un movimento sconosciuto. L’oscurità degli interni diventa così il punto di partenza per poter guardare verso questa presenza ambigua. Attraverso un viaggio nella memoria lo spettatore è invitato a intuirne l’identità entrando all’interno del proprio sé per comprendere cosa sia per lui/lei questo esterno non ancora identificato.

Marta Naturale, Riverbero, 2023, exhibition view at Palazzo Braschi, Roma. Courtesy La Quadriennale di Roma

Personalmente, al di là della porta chiusa percepisco una presenza minacciosa e allo stesso tempo accattivante da cui, colta nell’immobilità dell’ambiente circostante, risulta impossibile evadere. Lo spazio interno si presenta invece come un luogo familiare e sicuro. Al contrario, il mio amico percepisce lo stesso ambiente interno come una pericolosa condizione di abbandono all’oscurità, alla tristezza e all’inerzia in opposizione alla luce salvifica presente oltre la porta, simbolo di passaggio e trasformazione da una condizione di perdizione a una condizione di ritrovamento spirituale. Siamo invece in accordo quando ci avviciniamo al secondo quadro, Passaggio, una porta finestra socchiusa che separa solo parzialmente il dentro dal fuori. La luce come elemento fondamentale attraversa le fessure della serranda e delinea lo spazio dell’interno, completamente figurato dai raggi del sole. Seppur più scuro, quasi buio e meno identificabile, un senso di tranquillità anima questo dipinto in cui la semi-apertura (o semi chiusura) della porta finestra rimanda al ricordo di un caldo pomeriggio estivo e la pacifica sensazione di essere riparati al fresco. Il sinestetico raggio vincitore che riesce ad entrare all’interno della stanza ricorda il soffio del vento che unisce l’atmosfera di un giardino immaginario alla pelle nuda dei due amanti che si abbandonano dolcemente a un pisolino pomeridiano.

Marta Naturale, Passaggio e Riverbero, exhibition view at Palazzo Braschi, Roma. Courtesy La Quadriennale di Roma

Nel lavoro di Naturale la metafora del dentro e del fuori, del buio e della luce, del mortale e del divino diventano occasioni per entrare all’interno dell’esperienza personale di questa dicotomia. L’opera viene vissuta come portale di accesso a un mondo altro, informato contemporaneamente sia dall’artista sia dallo spettatore che invita ad entrare nell’universo da cui esso proviene. L’opera è dunque il mezzo attraverso il quale è possibile fare esperienza di un altro punto di vista del reale – o addirittura di un’altra realtà – in grado di apportare un potenziale arricchimento al mondo cui ritorniamo (e da cui non ci siamo mai realmente distaccati) una volta conclusa l’esperienza di fruizione dell’opera stessa. Curiosamente, nel caso dei dipinti di Naturale i due mondi (dell’opera e dello spettatore) si rispecchiano figurativamente nell’intimità degli ambienti dipinti, che nel loro aspetto neutro non impongono narrazioni, ma creano un intervallo nel passaggio da una realtà all’altra in cui le narrazioni personali dello spettatore possono inscenarsi. Allo stesso tempo, questo spazio contiene al suo interno il mistero di un altro spazio “esterno” suggerito da ciò che si trova al di là della porta/finestra, innescando un gioco infinito tra il dentro e il fuori.
Ci si perde così in un trip esistenziale permeato da ricordi, percezioni intime, impazienza ed estraneità in cui la sensazione di sospensione avvicina tra loro gli spettatori nell’attesa che qualcuno scelga se attraversarli oppure allontanarsene.
«Mi sono rimasti impressi i due quadri», mi confida più tardi il mio amico, «mi ricordano qualcosa di andato ma anche di dannatamente presente».
«Anche a me. C’è sicuramente qualcosa di irrisolto», aggiungo io. 

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