La pianta dal fiore giallo. La pubblicazione che racconta Beuys a Napoli

Il libro di Massimo Maiorino ripercorre i quindici anni del rapporto intenso tra Napoli, il Mezzogiorno e il grande artista tedesco

«Quando sono venuto a Napoli per la prima volta ho subito pensato: ecco, finalmente sono a casa, la mia terra è qui. Tutto quanto ho realizzato è legato alla catastrofe, che è una condizione permanente del Sud». In questa confessione di Joseph Beuys, quasi un testamento spirituale pronunciato poco prima di morire, è possibile individuare alcuni dei punti nodali della sua traiettoria operativa, che è insieme linea espressiva e modus vivendi. Un intreccio ripercorso da Massimo Maiorino, docente di Museologia all’Università di Salerno, nel libro da poco pubblicato da artem dal titolo La pianta dal fiore giallo. Beuys a Napoli.

Joseph Beuys by Andy Warhol, manifesto della mostra, 1980, collezione privata, foto Mimmo Jodice

Quello che l’autore attraversa è un itinerario dell’arte e della vita, lungo una quindicina d’anni, in cui è possibile scorgere, dallo starting point, “il grado zero”, della Germania, innanzitutto Capri, quale “stazione navigante d’osservazione, inversa e speculare al luogo d’approdo”, quella Napoli che si rivela da subito a Beuys, sulla scia di Goethe e Benjamin, come cuore pulsante, “poroso”, di un mondo in cui il progetto dell’arte può realizzare le sue meravigliose pedagogiche utopie. Il libro di Maiorino ha prima di tutto il merito di incrociare la parabola, artistica ed espositiva, di Beuys con “una realtà segnata da una straordinaria e complessa trasformazione”, quella partenopea e campana degli anni Settanta in cui operano figure giustamente definite “eroiche” e la cui importanza non è mai superfluo sottolineare: Pasquale e Lucia Trisorio, Lia Rumma, Giuseppe Morra, Dina Carola, Filiberto Menna, Lea Vergine, Angelo Trimarco, Achille Bonito Oliva.

Massimo Maiorino, La pianta dal fiore giallo. Beuys a Napoli, artem, Napoli 2022

Un esempio straordinario di quella rete in cui galleristi, mecenati, critici e artisti concorrono al funzionamento di un sistema vitale per l’arte e la cultura, un sistema nel quale lo stesso Beuys ha trovato terreno fertilissimo e occasioni preziose per dare forma alle proprie attitudini. A partire dai primi incontri e dalla sua prima permanenza caprese del 1971 con Achille Bonito Oliva e Lucio Amelio, fautore del suo passaggio a Sud e “sparring partner dell’intera avventura napoletana”, fino alla mostra Palazzo Regale del 1985 nel salone dei Camuccini del Museo di Capodimonte, il libro ripercorre tutte le tappe di un rapporto assai intenso che dai picchi energetici degli anni Settanta, da “La Rivoluzione siamo noi”, alle affinità elettive con la “Profezia di una società estetica” di Menna che nel ’68 aveva posto la questione dell’arte sui “sentieri in utopia” dove “prospettiva estetica e prospettiva politica” trovano il loro asse di convergenza, raggiunge dal 1980 la stazione della catastrofe, quella “condizione permanente del Sud” che tra Campania e Basilicata ha lasciato una ferita profondissima, dalle cui tragiche lacerazioni Beuys ha saputo trarre ancora una volta un’energia fortissima capace di tenere insieme la “partitura” dell’arte e lo schema della vita, in un rapporto simbiotico e inscindibile. In regia, ancora una volta, Lucio Amelio: la collezione/esposizione Terrae Motus è una dichiarazione programmatica sull’utilità dell’arte e sulla sua carica trasformatrice. E Beuys, con Warhol e altri, ne è appassionatissimo firmatario.

Joseph Beuys, La rivoluzione siamo Noi, 1971, collezione privata, foto Amedeo Benestante

Maiorino rimarca con forza l’importanza di questo ruolo sismografico, o di un agente atmosferico capace di scuotere “quest’ordine tellurico che governa l’intero pianeta”, un ordine nel quale un “Terremoto in palazzo” è anche il segno evidente di una rivoluzione etico-estetica e antropologica che parte dal Sud, dal Mezzogiorno, da Napoli. Il libro è impreziosito dall’introduzione di Stefania Zuliani che giustamente lo definisce “un’analisi e un racconto del passato, dell’arte e della critica del Novecento” con vista sul presente e sugli effetti ancora attivi della lezione beuysiana, e dalla testimonianza diretta di Angelo Trimarco, un co-protagonista essenziale anche di quella stagione, nella quale viene ribadito il proposito sociale ed eversivo dell’arte di Beuys, addirittura politico quando l’azione artistica riesce a tendere a un’autodeterminazione che si fa strumento di lotta contro il sistema e il famigerato “Kapitalismus”. 

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