La fiera dell’arte a Marrakesh e l’obbligo della restituzione

Siamo stati a 1-54 Art Fair che dopo una pausa di tre anni rinasce grazie alla magia dell’arte e la forza degli artisti africani


Fa uno strano effetto trovarsi al Mamounia, che in arabo significa “rifugio sicuro”, mentre in Ucraina continuano incessanti i bombardamenti e in Turchia e Siria ancora si scava tra le macerie causate dal terremoto, mentre le vittime hanno superato le 20.000 unità di questa orribile conta. Chi fa il mio mestiere sa che il dolore percepito è inversamente proporzionale alla distanza dalla sciagura: più lontani sono i morti minore è l’impatto emotivo. La distanza altera i sentimenti ma da anche occasioni di riflessioni e di speranza. Ed è il miracolo che avviene in questo rifugio sicuro che è poi l’albergo più bello di Marrakech, dove in questi giorni ha luogo “1-54 Art Fair”, una delle fiere principali che il continente giovane dedica all’arte contemporanea. È la magia dell’arte e la forza degli artisti africani che infatti consentono di guardare alle tragedie che stanno vivendo le popolazioni di Ucraina, Turchia e Siria con lo sguardo risoluto e la tenacia di chi ha sperimentato, spesso sulla propria pelle, che anche il dramma peggiore può essere superato.
Insomma, viste con occhi africani e ancor di più attraverso il genio degli artisti di questo continente anche le tragedie immani che occupano le prime pagine dei giornali di questi giorni sembrano affrontabili e risolvibili. Come tutto del resto nella vita. E allora vediamo di capire più da vicino cosa sta succedendo in questi giorni nelle sale del Mamounia, chi sono i protagonisti e perché dalla gioia e dalla tenacia africana arriva sempre un messaggio di speranza.


Cominciamo con il raccontare l’evento. 1-54 è uno degli eventi più importanti del suo genere dedicato all’arte dell’Africa e della sua diaspora. Dopo una pausa di tre anni a causa della pandemia, l’edizione 2023 vede la partecipazione di circa 60 artisti e 20 espositori, tra cui 12 gallerie che partecipano per la prima volta alla fiera. Fondato dall’imprenditrice marocchina Touria El Glaoui nel 2013, la fiera si tiene ogni anno in quattro sedi diverse Londra, New York, Parigi e appunto Marrakech. Tra gli artisti che parteciperanno all’edizione di quest’anno di Marrakech troviamo nomi importanti come Kehinde Wiley, Thandiwe Muriu, Johanna Mirabel, Abdoulaye Konaté, Nú Barreto, Youssef Nabil e molti altri.


Inoltre, due progetti speciali hanno dato il benvenuto ai visitatori. Il primo è “Still Free”, una performance del pittore Francisco Vidal, che invita i visitatori a sedersi davanti a lui (vedi foto), trasformando così un’interazione sociale in un’opera d’arte. La galleria This Is Not a White Cube, di Sonia Ribeiro, che ha sede a Lisbona e Luanda, ha portato l’opera alla fiera. Il modo in cui Vidal cerca di trasformare un’interazione sociale in una forma d’arte funziona. Il pubblico, curioso, partecipa. Gli esiti di questa produzione espressa piacciono.
Il secondo è una motocicletta progettata dall’artista belga Eric Van Hove, che reinterpreta le icone industriali del XXI secolo (vedi foto) utilizzando un’ampia varietà di materiali e tecniche artigianali provenienti dal Maghreb. E già in questi lavori si vive e si percepisce l’enorme vitalità che arriva dall’Africa. Non è retorica. A queste latitudini c’è una gioia di vivere, una forza interiore, una voglia di non darsi per vinti (fino a fare una moto dal nulla) che si riscontra poco altrove. Ed è proprio in questa chiave che va vissuto questo evento marocchino. La fiera di Marrakech rappresenta infatti un’occasione unica per scoprire e ammirare la creatività e la diversità dell’arte contemporanea africana e della sua diaspora.

Otto gallerie provengono dal continente africano, quattro delle quali hanno sede in Marocco. E ci sono 12 nuovi arrivati, tra cui Foreign Agent (Losanna, Svizzera), HOA Galeria (San Paolo), Superposition Gallery (Miami Beach) e Templon (Parigi). L’evento può sembrare intimo, perché i numeri nel complesso sono bassi, ma in realtà ha molto da offrire, dai dipinti figurativi alle opere tessili e alle installazioni multimediali. “Marrakech è il punto più alto del Paese e il punto d’incontro di tre culture: africana, araba e francese. Durante la fiera accadono molte cose, il che la rende il momento perfetto per scoprire la città”, ha spiegato la direttrice El Glaoui, inaugurando la fiera. Ed effettivamente questo crocevia di culture appare evidente ed è una delle cose che più si apprezza nel guardare la produzione artistica nel suo complesso.

Marrakech, come ogni città imperiale, ha anche molto altro da vedere. Anche in termini culturali. Tra le tante cose, ne segnaliamo uno in particolare: Le Jardin Majorelle (vedi foto). Casa e giardini che compongono un vero gioiello, un mondo intero che racchiude in una splendida villa Deco, dominata da un blu di kleiniana memoria, e in un affascinante giardino marocchino, ricco delle piante grasse più belle, l’essenza della creatività europea, e segnatamente francese, e la profondità della cultura e dell’artigianato marocchino. Gestita, insieme al museo, da un giovane e brillante direttore, Alexis Sornin, la villa, acquistata nel 1980 da Yves Saint Laurent e da Pierre Bergé, è una fenomenale sineddoche culturale. Qui tutto si fonde in un unicum che restituisce i tratti più forti della creatività francese e delle capacità orafe e tessili marocchine. Un corpus creativo naturalmente esaltato dal fascino del grande sarto francese.


Le Jardin Majorelle, che di fianco ha il Museo Yves Saint Laurent, un’altra chicca gestita sempre da Sornin, è veramente un luogo d’ispirazione, come ebbe a dire il maestro della moda francese. “Per molti anni – spiegò Saint Laurent – ho trovato il giardino Majorelle una fonte inesauribile di ispirazione e ho spesso sognato i suoi colori unici”.
Ma è quello che ci è dietro che è forse ancora più importante. Me lo ha spiegato Alexis Sornin, un curatore che conosce bene l’Italia avendo diretto per anni Punta della Dogana e Palazzo Grassi a Venezia. Quello che c’è dietro è il concetto della restituzione. “Diamo lavoro a circa 200 dipendenti marocchini – ha spiegato – e finanziamo costantemente scuole e associazioni locali. È il nostro modo di interagire con il territorio di restituire parte delle nostre fortune”. Pensando ad Ucraina, Turchia e Siria, e a tutte le tragedie che ci circondano dovremmo ragionare così. E lo si può fare anche senza essere Yves Saint Laurent.