Arata Isozaki, architetto giapponese tra i più noti al mondo, vincitore nel 2019 del Pritzker Prize, il più importante riconoscimento internazionale per l’architettura, si è spento all’eta di 91 anni. Isozaki era nato a Oita, sull’isola di Kyushu, nel 1931. Si laureò a Tokyo nel 1954 e cominciò a lavorare con Kenzo Tange, vincitore a sua volta di un Pritzker Prize nel 1987. Progettista, teorico e urbanista, fu in grado di fondere più correnti, con un approccio di interpretazione e valorizzazione del territorio e del contesto nel quale fare sorgere nuove strutture. Fu “il vuoto dell’architettura“, lo sconvolgente effetto dell’atomica di Hiroshima e Nagasaki vissuto da adolescente a ispirarlo. Scevra da influenze oppressive e quasi profetica per quelle che sarebbero diventate nuove tendenze, la sua architettura è eterogenea, spaziando dalla sperimentazione estrema al gusto storicizzante per la citazione, creando un ponte tra tradizione orientale e occidentale.
Oggi il suo studio ha sedi a Naha (Giappone), a Shanghai, a Milano e a Barcellona. Sposato con Aiko Miyawaki, scultrice e autrice delle statue che si trovano all’ingresso del Palau Sant Jordi di Barcellona, che simboleggiano un giardino alberato.
Isozaki vinse nel 1996 il Leone d’Oro alla Mostra internazionale di architettura di Venezia. Durante la sua brillante carriera ha progettato più di cento edifici tra Asia, Europa, America e Australia. In Italia Isozaki è conosciuto per aver realizzato la Stazione Centrale di Bologna, il Palasport Olimpico di Torino per le Olimpiadi invernali del 2006, e per aver realizzato la Torre Isozaki a Milano, meglio conosciuta come Torre Allianz o Il Dritto, grattacielo nel quartiere CityLife che con i suoi 209 metri è il secondo edificio più alto d’Italia dopo la Torre Unicredit, sempre a Milano. Tra i casi più controversi, l’architetto firmò nel 1998 il progetto per la Loggia degli Uffizi, che non fu mai realizzata.
Quando nel 2019 ritirò il Premio Pritzker, la motivazione dichiarava: «Un progettista capace di superare la struttura dell’architettura per sollevare domande che trascendono le ere e i confini».