«Vivienne ha continuato a fare le cose che amava, fino all’ultimo momento, disegnando, lavorando alla sua arte, scrivendo il suo libro e cambiando il mondo in meglio – si legge nel comunicato che annuncia la morte della designer più famosa di sempre – Ha condotto una vita straordinaria. La sua innovazione e il suo impatto negli ultimi 60 anni sono stati immensi e continueranno nel futuro».
Ci lasia così Vivienne Westwood, anarchica, ribelle, attivista, icona per tutti quelli che guardavano la scena punk inglese e imitavano gli skinny jeans dei Sex Pistols e le maglie strappate di Siouxsie and the Banshees.
Fu infatti proprio la vulcanica designer a dare un importante contributo alla definizione dell’estetica punk nel corso degli anni Settanta: con spille, borchie, strappi, tartan, Westwood fu capace di mettere in discussione convenzioni e regole precostituite e di rivoluzionare il vocabolario del fashion non solo inglese, come dimostrato dalla sovversiva collezione Pirates, datata 1981 e firmata insieme a McLaren, futura “anima” dei Sex Pistols, con cui poi ebbe un figlio e nel 1971 aprì il negozio che divenne punto di riferimento nel panorama punk d’oltremanica.
La vita della designer britannica è di quelle strabilianti: in quarant’anni di carriera ha dovuto far fronte a relazioni frustranti, derisioni da parte della stampa, situazioni finanziarie difficili e nonostante questo è riuscita a emergere come icona culturale inglese e un fenomeno nel mondo del fashion.
In seguito alla separazione con McLaren, Vivienne consolidò ulteriormente il suo approccio nei confronti della moda, senza mai snaturare uno stile ormai iconico e indipendente, guadagnandosi il rispetto e l’apprezzamento del mondo intero, oltre al titolo di Dame of the British Empire. Nel 1992, infatti, la Westwood è stata insignita dell’ OBE (Order of the British Empire) per il suo contributo alla moda, presentandosi a Buckingham Palace per ritirare l’onorificenza dalla Regina, senza la biancheria intima.
Westwood è stata un esempio anche per il suo attivismo e l’impegno in difesa dell’ambiente, promuovendo una moda etica, in risposta alle urgenze sempre più pressanti dettate dall’emergenza climatica. Vivienne ha sempre utilizzato le sue collezioni e la passerella come piattaforma politica, in particolare, già dai primi Duemila, i suoi abiti portavano con sé messaggi sull’ambiente e sulla necessità di salvare il pianeta. Slogan che rievocano il suo passato punk, fino alle proteste in passerella contro la Brexit, il riscaldamento globale e in difesa della libertà di espressione. La fondazione a lei dedicata, Fondazione Vivienne, è stata recentemente fondata dalla stessa designer, dai suoi figli e dalla nipote e sarà lanciata ufficialmente il prossimo anno per onorare, proteggere e continuare l’eredità della sua carriera, soprattutto in termini di attivismo: l’obiettivo è quello di sensibilizzare l’opinione pubblica e creare un cambiamento tangibile collaborando con le ONG.
Le ultime parole di Andreas Kronthaler, suo marito e co-direttore creativo del brand: «Continuerò a portare Vivienne nel mio cuore. Abbiamo lavorato fino alla fine e lei mi ha dato un sacco di cose da fare. Grazie tesoro». Ciao Vivienne. Punk is not dead.