A dicembre ha inaugurato negli spazi di LABS Contemporary Art, a Bologna, Fino a tardi, mostra del collettivo SenzaBagno, a cura di Saverio Verini. Per la prima volta, le opere dei componenti del collettivo – Francesco Alberico, Simone Camerlengo, Lucia Cantò, Matteo Fato, Lorenzo Kamerlengo, Gioele Pomante, Gianluca Ragni, Letizia Scarpello, Eliano Serafini – sono riunite in un’unica mostra, manifestando affinità e divergenze. «Fino a tardi è un progetto che riflette su un’attitudine, piuttosto che su un tema – scrive il curatore Saverio Verini nel testo critico – Il titolo chiama in causa lo spirito a partire dal quale la mostra ha preso forma: nel prendere possesso degli spazi della galleria, gli artisti hanno pernottato nello spazio espositivo mettendo in atto una battaglia di cuscini, di cui sono visibili gli esiti; un rituale attraverso cui regolare le tensioni che questo percorso condiviso inevitabilmente ha portato con sé, un modo eccentrico per confrontarsi reciprocamente, non senza risvolti ludici».
Tra punti di contatto e distanze formali, quindi, gli artisti in mostra mettono in scena i contrasti e le fragilità che animano le dinamiche di un gruppo nel momento in cui si trova a prender parte a una mostra collettiva:
Lucia Cantò presenta tre fotografie, dei dettagli ravvicinati di mani – tutte appartenenti a persone a lei care – sulle quali sono scritte brevi frasi tratte dalla raccolta di poesie d’amore di Anne Sexton. In linea con l’interesse dell’artista per la parola scritta, il trittico tiene insieme visceralità e tenerezza: la pelle è solcata dall’inchiostro in modo incisivo ma temporaneo, un tatuaggio effimero di cui Cantò offre, attraverso gli scatti, una cristallizzazione. La ricerca di Simone Camerlengo e Gianluca Ragni, invece, si focalizza sulla pittura. Nel dipinto di Camerlengo il cruciverba, elemento particolarmente radicato nell’immaginario collettivo, diventa pretesto per un’esplorazione della grammatica pittorica, tra accenni di astrazione geometrica, suggerita dalla griglia del cruciverba, e una figurazione abbozzata. L’approccio di Ragni è orientato invece a una pittura quasi allo stato gassoso, da cui scaturisce una forma evanescente eppure incisiva, una specie di “idolo” che prende corpo anche grazie all’altezza inconsueta alla quale il dipinto è allestito.
Anche il lavoro di Matteo Fato presenta evidenti punti di contatto con la pittura: una mazza da baseball tornita a mano viene esposta macchiata da accumuli di colore ad olio. La mazza ritorna come soggetto/oggetto dell’incisione calcografica allestita al suo fianco, in una composizione indivisibile. L’incisione viene qui mostrata dall’artista come un ponte, un colpo di pensiero fuori campo, verso la pittura stessa. Un gesto intimo, che nasce da un video realizzato dall’artista pochi anni prima, e che qui si rivela attraverso la riscoperta delle sue rovine.
Il lavoro di Lorenzo Kamerlengo può essere considerato come una specie di monumento al disegno automatico, allo schizzo realizzato in modo rapido, quasi sovrappensiero. Parti di questi “disegnini” sono riportati su moduli di cemento, acquistando così un corpo e una tridimensionalità che non appartiene loro. Forme incomplete, frammenti, fisionomie decostruite vengono così fissati su un supporto inconsueto, rendendo così indelebili questi appunti visivi, solitamente destinati a schizzi su carta. Anche Letizia Scarpello è interessata all’attraversamento e alla compenetrazione tra media diversi. Dei cilindri in gommapiuma, materiale di origine industriale, sono modellati dall’artista, assumendo così dei connotati quasi antropomorfi. I pezzi di gommapiuma, “messi in posa” da Scarpello, sono successivamente fotografati e poi stampati su tele emulsionate, che – grazie al colore e al formato – contribuiscono a rendere queste immagini ambigue; un processo che, fondendo scultura e fotografia, manifesta le molteplici direzioni dell’artista e della sua poetica.
Il lavoro di Eliano Serafini invece, lavora sul confronto tra natura e artificio. L’artista espone una mandibola di cervo che, enfatizzando la sua forma allungata, diviene uno strumento per la scrittura, una specie di penna primordiale. L’opera presenta un duplice statuto, organico e artificiale, mettendo in luce l’ambivalenza e il potere simbolico di tracce che appartengono al contesto naturale e le potenzialità che possono derivare dall’incontro e dagli innesti con elementi industriali. La parola scritta torna nelle opere di Francesco Alberico, unico artista che ha operato a distanza, delegando agli altri di SenzaBagno la realizzazione dell’intervento. Il suo lavoro appare in più punti della galleria, una traccia flebile che emerge dalle pareti: la scritta “decision”, barrata, è un ideale commento alla mostra, sottolineando alcuni dei temi che hanno caratterizzato la genesi e lo sviluppo di Fino a tardi: il conflitto – interiore e collettivo –, la precarietà, la contraddizione, un certo tratto infantile.
Infine, il lavoro di Gioele Pomante si interroga sul rapporto tra l’essere umano e coordinate spazio-temporali, creando un cortocircuito tra scale e formati agli antipodi. In mostra, cinque cartoline in un tentativo paradossale di “abbracciare” l’intero pianeta terra e proiettarsi verso un altrove; uno sguardo sul mondo che, attraverso il ricorso a un oggetto desueto e di piccolo formato come la cartolina postale, viene ridotto a una specie di souvenir.