È il 2015. Il governo indiano sta effettuando scansioni della retina ai suoi cittadini per creare un numero e una carta d’identità unici per tutti. I lavoratori del mattone però, sprovvisti di indirizzo, vengono esclusi dal processo. Erased faces, in ricordo di tutti i volti cancellati e dimenticati dalla storia, è solo uno dei tanti progetti di Rivers and Roads: meandering stories of India, in mostra dal 13 dicembre e fino al 25 gennaio 2023 all’AAIE Center for Contemporary Art di Roma, all’interno del progetto Asia A+. «Rivers and Roads vuole evocare il senso della propria terra dalle prospettive dei suoi abitanti e dei suoi immigrati – spiega Valeria Contarino, curatrice dell’esposizione con Pranitha Joseph e Zhu Yaning – la mostra presenta undici artisti e una serie di racconti sull’India: alle opere di chi vive ancora lì, si sommano quelle di chi è stato costretto a lasciare il proprio paese d’origine. A storie di vita quotidiana si mescolano ricordi di un’India vissuta da bambini o ritrovata nei racconti di genitori e nonni».
È proprio a questa seconda categoria che appartengono le installazioni olfattive di Jahnvi Lakhota Nandan o le installazioni sonore di Amol Patil, reinterpretazione contemporanea di testi teatrali scritti dal padre nel 1982. O ancora “l’ode à la Rose” di Mario d’Souza, simbolo della vita costantemente divisa dell’artista tra oriente e occidente: «la mente di un artista non riposa mai: viaggia alla ricerca di riferimenti e significati ed ha il cuore e l’anima rivolti alla giustapposizione di metafore e iconografie». Con otto religioni ufficiali, diciotto lingue riconosciute e quasi un miliardo di persone, Rivers and Roads ricostruisce l’identità di un paese frammentato: dalla spartizione del Bangladesh alla carestia del Bengala, dal ruolo della donna all’eccessivo sfruttamento della natura, passando per le terre gialle e luminose di Darshan Manjare.
“Qual è l’India che si vede con gli occhi e qual è l’India che si percepisce quando si chiudono gli occhi?”: questa la domanda a cui ognuno degli undici artisti è stato chiamato a rispondere.
In Rivers and Roads tutti i momenti dell’esperienza, di generazione in generazione, collassano gli uni negli altri, rivelando una memoria storica dell’India altrimenti irraggiungibile. Una memoria storica che la nuova generazione ha deciso di accogliere su di sé.
È quello che accade in Transitory Body: the memory collector, dove Arpita Akhanda, cresciuta ascoltando storie di migrazione, decide di prendere su di sé le ferite del proprio paese, preservando la memoria di un popolo diviso e oppresso dalla colonizzazione britannica.
Anche la natura, ennesima spettatrice muta del fenomeno coloniale, prende finalmente la parola nelle opere dell’artista e agronomo Akshay Raj Singh Rathore, nei dipinti di Darshan Manjare e negli scenari surreali di Rupali Patil, dove l’elemento umano è definitivamente estromesso dall’opera d’arte: «per me l’unità è una vera e propria questione. Quando affermiamo di essere parte di una società ma continuiamo a costruire muri invalicabili […] Ma guardo il paesaggio: sembra più unito e in armonia rispetto agli uomini».
Il 13 dicembre alle ore 18.30, in occasione del vernissage della mostra, sarà possibile assistere alla performance dell’artista Arpita Akhanda, Transitory Body.
Rivers and roads: meandering stories of India
13 dicembre – 25 gennaio
AAIE Center for Contemporary Art – Via Sermide 7, Roma
info: www.aaie.art