La British School at Rome il 7 dicembre ha aperto le porte della sua imponente sede per gli Autumn Open Studios 2022, una serata dedicata agli studio visit degli artisti in residenza a Roma. Per la prima volta, la mostra finale dei borsisti è stata sostituita con una serata di Open Studios, con lo scopo di presentare al pubblico una visione più completa del lavoro degli artisti che permetta di scoprire i progetti di residenza, le pratiche creative che li hanno generati e di capire come l’esperienza in un ambiente nuovo, l’incontro e il networking con la comunità artistica locale, gli stimoli che la città di Roma e l’Italia in generale offrono, possano influenzare l’avvio di una nuova ricerca. Gli artisti che hanno aperto i loro studi e raccontato i loro progetti, e che continueranno a farlo fino al 14 dicembre su appuntamento, sono Laura White – Ampersand Fellow 2022-23, Catriona Gallagher – Bridget Riley Fellow 2022-23, Lucy Tarquinio – Abbey Scholar 2022-23, Andro Semeiko – Abbey Fellow in Painting, Skye Wagner – National Art School, Sydney, Resident.
Laura White adotta una pratica artistica basata sull’interazione con i materiali, esplorati attraverso processi manuali e pratici. In questa residenza, si sta dedicando alla materialità del cibo romano, con un particolare interesse per i processi artigianali, che sta apprendendo osservando gli esperti e riflettendo sulle personali esperienze culinarie. La White indaga e sperimenta nuovi materiali, maneggia impasti come quello per la pizza e la pasta ed esplora nuovi processi alimentari, come la stagionatura della carne, al fine di comprendere come questi prodotti funzionano. L’approccio viscerale e tattile dell’artista verso Roma e la sua tradizione culinaria è esplorato nello studio attraverso la realizzazione una pasta da tavola e di una pasta da pavimento, oggetti/sculture di pasta. Il cibo e la scultura sono vissuti in molti modi diversi dalla White: il primo come l’esperienza di un materiale all’interno del corpo quando viene consumato – bocca, stomaco, mentre la scultura si estende oltre il corpo libera di disconnettersi dai suoi riferimenti e requisiti diretti al cibo, per assumere nuove narrazioni come linguaggio scultoreo ed estetico e relazioni tra oggetti, spettatore e spazio. Che si tratti di fare pasta per mangiare o manipolare la pasta per fare scultura, Laura White si concentra sull’esperienza del suo corpo in relazione a questi materiali e sui processi appresi da chi ha conoscenze specialistiche
Entrando nello studio di Catriona Gallagher si viene pervasi da un profumo intenso, questo perché l’artista, la quale da anni realizza video, disegni, scritture ed istallazioni utilizzando diverse tipologia di piante, si è chiesta durante la Bridget Riley Fellowship come sono state usate le piante in passato e oggi come possiamo lavorare con loro in modo diverso? Le piante sono da sempre cariche di associazioni e utilizzate come simboli, a incuriosire l’artista è il loro essere contenitori concettuali e generare associazioni menatali e inaspettate quando vengono rappresentate. Esaminare l’utilizzo delle piante nella storia dell’arte a Roma, come crogiolo della cultura visiva europea, ha portato l’artista a studiare le Metamorfosi di Ovidio e la trasformazione di Dafne e di altri personaggi femminili in alberi, attraverso le immagini fitomorfe trovate negli antichi affreschi della Domus Aurea e di Pompei, passando per il trattamento paleocristiano delle immagini pagane, fino alla riproposizione delle piante e di altri simboli selvatici contro quelli della coltura nella prima Età Moderna e nella Grottesca. Approdando all’attuale crisi ecologica, in un momento in cui ci rendiamo conto di aver considerato “Altro da noi” i non-umani per millenni, Gallagher ritiene urgente una rinegoziazione e una ri-visualizzazione delle nostre relazioni con le piante e il mondo oltre-umano. In questo progetto, l’artista sta cercando di capire se i processi cinematografici analogici realizzati tramite sviluppatori a base vegetale e la fitografia, possono aiutare il pubblico ad assimilare un’osservazione più profonda, una consapevolezza e una “presa di coscienza radicale” sulle piante.
Lucy Tarquinio usa la forma lessicale per narrare l’astrazione e il processo nella pittura a olio, la quale per l’artista è un materiale che non può essere mai totalmente controllato. La pittura viene considerata come un essere autonomo con cui collaborare. L’artista racconta che i suoi dipinti sono costruiti seguendo un corso reazionario e premuroso: comincia da un’immagine dipingendo in modo intuitivo o gestuale, e man mano che viene aggiunto più materiale alla superficie realizza gradualmente ciò che le sta comunicando o come l’immagine si evolve naturalmente. Per comprendere appieno ogni nuovo strato di vernice aggiunto, come cambia la superficie e cosa chiede l’immagine finale, ci voglio alcuni giorni. L’obiettivo della Tarquinio, utilizzando il materiale in questo modo, è creare immagini che espandano l’esperienza della visione: vuole che ci sia del tempo da dedicare alla comprensione, alla materializzazione, alla discussione, alla realizzazione dei dipinti e dei soggetti al loro interno. Al BSR sta lavorando a una storia di fantasia, composta da disegni ad acquerello e da scritti, incentrata su un personaggio giallo a forma di scheggia che si muove in un mondo oscuro. La risoluzione della storia di questo personaggio intende contribuire a descrivere il processo additivo della pittura a olio di Tarquinio, spesso in dialogo con la pittura e il disegno moderni e contemporanei. Il personaggio giallo intende rappresentare il viaggio che un dipinto compie per arrivare a una fine e drammatizzare la casualità della costruzione di un’immagine.
Nei lavori di Andro Semeiko si trova l’intersezione di diversi media e discipline, crea installazioni pittoriche stratificate e produce libri d’artista basati sulla sua pratica pittorica e sulla ricerca nei campi di storia, letteratura e psicologia. La residenza romana sta contribuendo a rendere il suo nuovo progetto sul tema delle “Rovine degli Imperi”, che esplora l’impatto sociale del collasso politico e urbano e delle rovine, più sfaccettato, grande ed ambizioso.
Entrando nello studio di Skye Wagner si viene accolti da un esplosione di colori, dovuti a un’istallazione realizzata con oggetti e immagini stampate, le quali contengono un eccesso di contenuti frammentati: cibo, animali, prodotti di consumo e parti del corpo.Lo scopo dell’artista è esplorare l’artificio intrinseco della fotografia e il suo potenziale performativo ed animare questi contenuti/immagini facendogli perdere la loro funzione originaria, rendendoli molteplici, porosi e in movimento. Attraverso tecniche di assemblage, mimetismo digitale e rifotografia di immagini trovate e prodotte, Wagner reimmagina materiali percepiti come carini, fisici e commestibili in composizioni instabili. In questo mix, corpi e oggetti, umani e non umani, si frammentano, si riproducono e si fondono. La sua ricerca in Italia indaga le strategie percettive e le tecniche illusionistiche viste nei multiformi spazi barocchi e negli antichi affreschi romani. Effetti che sconvolgono la coerenza spazio-temporale e complicano le distinzioni interno/esterno, come l’immagine nell’immagine e la concezione pittorica del trompe l’oeil. L’interesse di Wagner per l'”artificio” deriva dalla sua capacità di aiutarci a percepire quanto percepiamo, offrendo una rottura rispetto all’apparenza.