La campagna shock di Balenciaga e il sottile confine tra gesto concettuale e stupidità, da Balthus a Cattelan

Al centro delle polemiche la casa di moda e la sua campagna provocatoria con bambini fetish che non è degna di un gesto artistico

Se l’obiettivo di Balenciaga era quello di far parlare di sé ha funzionato alla grande. Non sarà facile mettere a tacere accuse al marchio montate in questi ultimi giorni e partite dalla campagna per la linea natalizia, Objects, scattata dal fotografo Gabriele Galimberti. Una comunicazione dall’intento provocatorio che in questo caso ha toppato clamorosamente andando a toccare le corde sbagliate e a urtare senza un vero obiettivo profondo la sensibilità pubblica.

Ripercorriamo quello che è successo

Gli scatti creati per la discussa campagna ideata dallo stilista Demna Gvasalia ritraggono dei bambini dall’aria imbronciata che tengono in mano orsacchiotti fetish, circondati da altri oggetti dell’immaginario Bdsm, l’insieme di pratiche sessuali estreme che hanno a che vedere con la sottomissione e la violenza. “Ogni scatto — spiega Galimberti difendendo il proprio lavoro in un’intervista su Repubblica – è stato sottoposto ad approvazione da parte di Demna o dei suoi collaboratori”. Il fotografo è stato selezionato da Demna per la sua serie Toy Stories, in cui il fotografo immortala dei bambini circondati dai propri giocattoli. Gli stessi orsacchiotti inclusi nelle fotografie erano apparsi per la prima volta lo scorso ottobre in passerella per la sfilata primavera/estate di Balenciaga e in quell’occasione venivano portati come borse da modelle e non accanto a minori.
La prima bomba del web viene sganciata a proposito di Objects ma si grida allo scandalo con un’altra serie di fotografie, uscite negli stessi giorni, associate alla campagna di Balenciaga in collaborazione con Adidas. Queste ultime, associate erroneamente a Galimberti, sono ambientate in un ufficio: tra i documenti e le targhe che decorano il set c’è anche un foglio con un estratto di una sentenza della Corte Suprema sul rapporto tra libertà di parola e pedopornografia. Le foto sono state scattate a New York la scorsa estate da Chris Maggio.

In una, campeggiava una borsa Hourglass appoggiata su alcune pagine della sentenza del 2008 della Corte Suprema Usa che stabilisce che l’uso di immagini pedopornografiche non viola la libertà d’espressione sancita dal Primo Emendamento. L’altra invece, dulcis in fundo, ritraeva l’attrice Isabelle Huppert in un ufficio di Manhattan con, in bella vista sulla scrivania, un libro dell’artista belga Michael Borremans, autore nel 2017 di una serie di quadri che raffigurano scene violente con protagonisti proprio dei bambini.

Provocazione? Ingenuità? Intanto arrivano le scuse ma nessuno si assume la responsabilità

Tutto lascia pensare che i dettagli delle campagne non fossero affatto casuali ma strutturati all’interno di una comunicazione pensata e studiata dal team Balenciaga. Dopo le accuse, il direttore creativo Demna Gvasalia non tarda infatti a pubblicare le sue scuse: “Non è stato appropriato avere bambini in foto che promuovevano oggetti che non hanno nulla a che fare con loro. Per quanto a volte mi piace provocare un pensiero attraverso il mio lavoro, non avrei mai avuto intenzione di farlo con un argomento così orribile come l’abuso sui minori che condanno. È stata una scelta artistica sbagliata”. Un mea culpa seguito dall’intervento del CEO e Presidente della maison francese Cédric Charbit che ha firmato una dichiarazione ufficiale rendendo pubbliche non solo (di nuovo) le scuse, ma anche tutte le prossime manovre con cui Balenciaga si impegna a un rigido e maggiore controllo dei contenuti delle campagne. A tal proposito, è stato già nominato con effetto immediato un Image Board di esperti interni all’azienda che valuteranno i contenuti dalla fase di sviluppo fino al prodotto finito, con particolare attenzione a legalità, sostenibilità e diversità. Esternamente l’azienda si avvarrà invece del consulto di un’agenzia che valuterà i contenuti ulteriormente. Decisione che forse arriva con qualche mese di ritardo…

Demna Gvasalia, enfant térrible della moda, e la rottura con Kanye West e Kim Kardashian

King dell’ugly style, promotore di una busta per la spazzatura luxury dal costo di 1.800, Gvasalia è da sempre al centro del dibattito nel mondo della moda per la sua creatività eccentrica e fuori dagli schemi. Proprio qualche mese fa, lo stilista aveva chiuso un lungo rapporto di collaborazione con Kanye West, derivato da alcuni gesti del rapper non condivisi, tra cui la maglietta ‘White Lives Matter’ indossata dal rapper alla Fashion Week di Parigi. Ironia della sorte, una scelta fatta nel nome del politically correct!

Nel frattempo, Kim Kardashian, proprio dopo gli eventi degli ultimi giorni, si è espressa riguardo le campagne controverse di Balenciaga, mettendo in discussione per il futuro la sua partnership con il brand francese.

Il sottile confine tra gesto concettuale e stupidità, da Balthus a Cattelan

Non si fa fatica a rintracciare nella storia dell’arte casi di politicamente scorretto che coinvolgono immagini infantili controverse. I quadri di Balthus, ad esempio, sono da sempre giudicati ambivalenti e, in più di un’occasione, hanno sollevato domande rispetto a una presunta pedofilia dell’autore. Solo qualche anno fa, nel 2017, con una petizione con circa 10.000 firme, si chiedeva al Met di rimuovere da una mostra un quadro di Balthus dallo sfondo erotico, Thérèse Dreaming, che ritrae una ragazzina seduta su una sedia a gambe divaricate. “Momenti come questi – affermò il museo in quell’occasione, offrono l’opportunità di parlare di questi temi, e l’arte è uno dei mezzi più significativi che abbiamo per riflettere sul passato e sul presente e incoraggiare la continua evoluzione della cultura esistente attraverso una discussione informata e il rispetto per l’espressione creativa”.


Un altro esempio che è impossibile non citare in questo contesto, è quello dei tre bambini impiccati in Piazza XXIV Maggio di Maurizio Cattelan. Nel 2004 la Fondazione Trussardi chiama e Maurizio Cattelan risponde all’appello, con un’installazione destina a fare scandalo. Tre bambini-fantoccio impiccati a un albero nel pieno centro di Milano. L’opera è un puzzle di simbologie nascoste, eppure a prevalere è il disturbante realismo. “La realtà che vediamo – spiegò l’artista in quell’occasione – in questi giorni in tv supera di molto quella dell’opera. E quei bambini hanno gli occhi aperti: un invito a interrogarsi”.
Che cosa pensare allora della campagna di Balenciaga di questi giorni? è così scandalosa? Può essere l’occasione per affrontare tematiche urgenti della nostra contemporaneità?


Se la comunicazione del brand fosse stata realizzata con più intelligenza, chissà, avrebbe potuto condurre una battaglia di sensibilizzazione su temi quali la pedopornografia e l’esposizione dei minori ai media guadagnandosi il rispetto pubblico e costruendo un contenuto iconografico di senso e qualità. In questo modo, invece, la campagna sembra l’ennesimo spauracchio sociale, che spettacolarizza un gesto solo per fomentare le masse, aizzare i puritani e minimizzare episodi gravi sociali trasformandoli in orsetti fetish color arcobaleno. Non c’è nulla di cui parlare, insomma, nessun gesto artistico degno di essere ricordato. Forse qualche cliente Balenciaga lo avrà pur perso con questa campagna, ma di certo nulla che andrà a sconvolgere gli equilibri e i conti in tasca della casa di moda.