Artissima 2022. I promossi della 29esima edizione della fiera

Alla fine della fiera: passeggiando tra gli stand, ecco le migliori proposte della rassegna torinese, dalla Main Section alle New Entries.

Frammenti di corpi, il richiamo archetipico della natura, futuri distopici che vibrano nel presente, la possibilità di un’immaginazione radicalmente condivisa. Tra uno spazio e l’altro ormeggiamo tra le bianche mura alla ricerca di taciuti tesori. 

LEHMANN + SILVA (Main Section)
Curato al dettaglio il Booth della galleria di Porto LEHMANN + SILVA presenta ad Artissima i lavori di quattro artistə Alice Morey, Daniel Lergon, Diana Policarpo e João Vasco Paiva che dialogano molto bene tra loro in un accordo cromatico e stilistico. In particolare, mentre passeggiavo nella frenesia dei labirintici bianchi booth della fiera, l’acquarello Type 1 Bollard with Synthetic Fibre Rope (2022) ha istantaneamente colto la mia attenzione. Singole, lunghe, lente pennellate di acquarello verde bottiglia si intersecano sensibilmente tra loro formando simbologie astratte. Nella dolcezza del tratto e nella terrosità dei colori i quadri di João Vasco Paiva (1979, Coimbra, PT) restituiscono una sensazione di armonia e serenità che invita lo spettatore a fermarsi e a contemplare i ricordi che queste strutture sono in grado di emanare, seppur curiosamente ispirate da oggetti spesso trascurati come le forme di motori, impianti idraulici e mappature elettriche.

JOÃO VASCO PAIVA Type 1 Bollard with Synthetic Fibre Rope, 2022, Courtesy of the artist and Lehmann + Silva

Parallelamente, i lavori di Alice Morey (1986, London, UK), Soft Rain (2022) e Dawn (2020) estendono l’elemento contemplativo concentrato nelle opere di João per entrare nel vivo dei vivaci colori dei due dipinti e dell’istallazione I Count in Fists (2022) che rimangono tra tracce di forme mitiche sospese nel tempo e allusioni a fenomeni naturali. 

WHATIFTHEWORLD (Main Section)
La galleria sudafricana WHATIFTHEWORLD ha dedicato il suo spazio in fiera alla pittrice e scultrice Mia Chaplin (1990, Cape Town, Sud Africa): un’immersione all’interno di un pastoso e profondo universo femminile in cui sensualità, sessualità, intimità e violenza emergono tra le grezze e decise pennellate che formano i suoi dipinti. Con una tecnica alla fauves matissiana di inizio 900 l’artista esprime emozioni di perdita e di riconquista dello spazio pittorico muovendosi abilmente tra voyeurismo e intima interazione con i suoi soggetti. Soft nails (2022) è un grande trio di tele le cui impastate superfici sono ricche di corpi e busti intrecciati, carichi di pathos e tra loro indistinguibili che si rifanno alle tradizionali pose classiche della rappresentazione femminile. Allo stesso tempo nel donare una certa visceralità ai soggetti tra loro fusi in carnosi colori di terra, l’artista restituisce loro una libertà non convenzionale, non costretta al pudore e all’incessante ricerca dell’idealizzazione del corpo. Lo spazio è inoltre delineato da opere scultoree che ricordano vasi e urne classiche dipinte con immagini floreali e soggetti femminili, riccamente impastati dalla pittura, molte delle quali hanno la stessa forma e dimensione di pance gravide. La superficie dipinta ad olio rimanda inoltre alla pelle tatuata degli stessi corpi marcata da forti e complesse contrapposizioni narrative. Nonostante i richiami iconografici all’antichità, le opere di Chaplin, accattivanti e familiari allo stesso tempo, provocano sentimenti contrastanti nello spettatore. La “violenza” del tratto pittorico e le forme che ne emergono, vivono in contrapposizione alla delicatezza delle cromie. Nell’avvicinarsi alla materia pittorica è interessante scorgere strati di narrazioni e sentimenti che riguardano il singolo corpo ma anche il corpo collettivo in una dinamica di nascita e trasformazione continua dove “il processo di pittura diventa un processo di fermentazione”. 

PAL PROJECT (New Entries)
Nella sezione delle gallerie New Entries, Pal Project coglie l’attenzione dei passanti per la teatrale istallazione delle opere di Mateo Revillo, Edgar Sarin e Marcella Barceló. In occasione di Artissima la galleria parigina ha invitato il gruppo di ricerca La Méditerranée formata dagli artisti Mateo Revillo, Edgar Sarin e lo storico dell’arte Ulysse Geissler che per l’occasione hanno costruito una torre fatta di blocchi di carbone sigillati con gesso, trasformando il monumento storicamente celebrativo in scultura dove la ferocia della torre, una sorta di simbolo della modernità si impone nella sua visione distopica, mantenendo allo stesso tempo la sua intrinseca volontà costruttiva. I lavori attorno alla torre non possono che confrontarsi con la sua ferma presenza, rispondendo rispettivamente con colori, forme e dinamiche cromatiche, come se volessero instaurare un gioco infantile e leggero di risposta contro la pesantezza dell’uomo moderno e a favore di uno sguardo verso cielo e terra, verso la traccia di passato traducibile nella voglia di ri-costruire dalle macerie un presente in costante divenire. 

Pal Project, la Méditerranée, installation view Artissima 2022, Courtesy the gallery

In uno spazio al confine tra pittura e scultura, Mateo Revillo (1993, Spagna) ritaglia una traccia di un insieme che può essere scovato nella sua interezza solamente nell’immaginazione dello spettatore. Nella presenza di traccia, l’opera trasformando lo spazio esibitivo circostante restituendo l’opportunità di una possibile figurazione. Il lavoro di Edgar Sarin (1989, Marsiglia, Francia) si lega all’opera di Mateo nell’intento di aprire lo spazio alle possibilità, sia di rimando ad antiche estasi naturali come nel caso del dipinto Néolithique (comète de Halley) (2022), che di accortezza delle qualità della materia e delle forze propulsive dello spazio tra pesi e dinamiche opposte come nella scultura in mostra. Inoltre, il lavoro del collettivo è sempre accompagnato da una pubblicazione che archivia l’evoluzione dei vari progetti incentrati su una concezione dello spazio espositivo non come punto di arrivo, ma come luogo di azione in costante trasformazione e quindi aperto all’imprevedibile. Restiamo in attesa di scoprire che forma avrà l’ideale città fantastica costituita dai vari progetti architettonici sitespecific, costruiti ogni volta per ogni progetto espositivo finora sperimentato.

ADA PROJECT (Monologue/Dialogue)
Negli spazi delle gallerie Monologue/Dialogue emerge la galleria romana ADA project che propone un dialogo tra le opere di Gaia Di Lorenzo (1991, Roma) e la vincitrice del Carol Rama Award promosso dalla Fondazione Sardi per L’arte, Anna Perach (1985, Ucraina). 

«She soon found herself in trouble and was tortured with fear and shame. Wishing to conceal her misfortune, she bound her body tightly with a corset of her own invention, made of boards and cord. The more she developed, the more she bound herself with this instrument of torture, suffering martyrdom, but brave in her sorrow, not allowing anyone to see, or suspect, anything. She maimed the little unborn being, cramping it with that frightful corset, and made a monster of it». Ispirate dal tragico racconto di Guy de Maupassant La madre dei mostri, le opere di Anna Perach esposte ad Artissima sono delle sculture indossabili realizzate con la tecnica del tufting che prendono la forma di grembi di donne incinte, decorati con elementi ambigui, mostruosamente vivaci e visibilmente ponderosi. La storia narra di una donna che, per nascondere una gravidanza indesiderata, inventa un corsetto speciale. Tuttavia, nello stringerle eccessivamente il ventre la struttura causa la malformazione del bambino che nasce “mostro”. Visto l’interesse di molti nel comprare il bambino deforme come fenomeno da baraccone, la donna continua con ulteriori gravidanze riuscendo nel suo intento di lucrare sulla mostruosità dei propri figli. Una storia tragica e orribile, scandalosa per gli ideali femminili di inesorabile istinto materno. I corpetti di Anna Perach traducono il racconto stratificando i personaggi nella costruzione delle sculture stesse: la madre, colei che ha ideato e indossa il corsetto, presente solamente nel ricordo di un corpo che ha un tempo abitato l’armatura; il figlio, al centro del ventre che fuorisce spigolosamente, visceralmente, granulosamente; il pubblico divertito che gode del pungente spettacolo da circo rimandato dalla vivacità dei colori che formano gli spazi circostanti le strutture in ferro. Un’opera di una grande forza narrativa che fa leva su quegli archetipi rimossi che solo attraverso l’ovvietà tragica del disequilibrio tra individuo e realtà possono riportare alla luce. Un po’ come una delle tante versioni di Medea che uccide i suoi figli, e viene condannata dall’uomo per la sua spietata crudeltà. Sempre in secondo piano i motivi che la spingono a compiere il deplorevole gesto. 

AG GALERIE (Back to the Future) 
La galleria iraniana AG Galerie presenta il lavoro di Peyman Hooshmandzadeh (1969, Tehran), artista e scrittore la cui ricerca artistica si concentra sulla capacità di alludere all’interezza attraverso il frammento, il quale diventa l’unica possibile chiave di lettura per poter alludere all’identità culturale, sociale e psicologica del soggetto rappresentato.

Peyman Hooshmandzadeh, Untitled from the “Hands and Belts” series, 2004 – analog photography. Courtesy the Gallery

Nelle sue fotografie, l’identità viene considerata un fenomeno dato e imposto, generato dai segni più quotidiani e insignificanti. In questa ricerca l’artista riconosce che, in fin dei conti, rispondiamo in maniera più significativa nel mondo della vita materiale piuttosto che in dichiarate prospettive spirituali. La realtà si rivela al contrario attraverso codici culturali banali e sposso ignorati che acquistano di conseguenza un senso identitario molto più forte e diretto rispetto a una Storia con S maiuscola dell’Iran e le sue tradizioni (AG Galerie). In particolare, nella serie Hands and Belts Peyman cattura una parzialità del corpo maschile in cui cintura, pantaloni, mani, gioielli diventano percorsi che dalla visione frammentata si espande fino ad arrivare alla psiche della persona ritratta, parlando potenzialmente di performatività di genere, status sociale, credo religioso, retroterra sociale.  

SPAZIO A (Main Section)
Nona Inescu (1991, Bucharest) con le sculture Ad occhi chiusi… vince il Premio Fondazione Merz. La sua pratica artista interdisciplinare comprende fotografie, oggetti, istallazioni, sculture e si concentra sul rapporto tra corpo umano ed elementi naturali, ridefinendo il soggetto in questione in chiave post-umanistica. In questo caso le pietre diventano elementi ispiratori attorno al quale si costruisce il corpo dell’uomo e non viceversa. In una visione post-antropocentrica, la natura non può essere sovrastata dall’individualità della specie umana ma richiede di essere vissuta in maniera consapevole e rispettata in una dinamica di reciproco e sensibile scambio. Se spostiamo lo sguardo dell’uomo capitalista oltre il capitale, cosa rimane?

Nona Inescu, Ad occhi chiusi…, installation view Artissima 2022. Photo Credit Camilla Giaccio

Il deterioramento della materia, la deformazione di residui umani, animali e industriali, la perdita improvvisa di un ricordo sono tutti elementi presenti nella pratica di Giulia Cenci (1988, Cortona) che utilizzando oggetti di recupero ed elementi modellati compone istallazioni immersive ibride tra naturale e costruito. Sono costanti figure di cani aperte, squartate, di cui i contorni sono che una traccia di quello che è stato ma anche una possibilità di rinascita e trasformazione attraverso l’assenza del corpo nella sua interezza. Frammenti di animali, anime e residui industriali si fondono in sconfinamento delle distinzioni gerarchiche tra esseri e non esseri mediante una spazializzazione di figure ambigue nella loro duplice e complementare forza attrattiva e repulsiva, ridonando una sensazione di grave sospensione temporale ed emotiva. 

SAINTE ANNE GALLERY (New Entries)
La Sainte Anne Gallery, inaugurata da poco più di un anno nel quartiere giapponese a Parigi, più che una galleria si definisce un meeting point tra artiste, artisti, artigiani e designer accomunati da una sinergica visione dell’arte come punto di incontro tra l’uomo e la natura. All’insegna della solidarietà e del progetto collaborativo, lo spazio si impegna a promuovere idee radicate nella sostenibilità che siano in grado di riallineare poeticamente gli individui con il mondo vivente oltre l’umano.    

Bianca Lee Vasquez, Senza titolo, Artissima 2022

Nello stand della galleria splende la scultura vivente Tshaheylu di Bianca Lee Vasques: una ragazza seduta su uno sgabello è profondamente unita da una treccia di lunghi capelli a una pianta appesa alla parete in una dinamica di riconnessione primordiale con la natura, in cui si perde la nozione tra il dentro e il fuori, il reale e l’immaginario. Molti dei visitatori sono rimasti sopresi dal fatto che sia la pianta che la persona connessa ad essa fossero vere, come se in un mondo in cui il fittizio regna sovrano nell’immaginario collettivo quotidiano, la presenza reale, apparente immobile, fosse difficile accettare istintivamente quella riconnessione con una memoria antica, terrena, radicata nello scambio tra umano e non umano. Il lavoro dell’artista mette in moto una sorta di pratica rituale che senta di smascherare le esperienze represse della società moderna attraverso una ristabilizzazione visiva e sensoriale che possa riconnetterci ai nostri istinti primordiali. 

GALLLERIAPIU (Main Section)
La galleria bolognese Gallleriapiù porta ad Artissima un insieme di intriganti installazioni. Natalya Pershina-Yakimanskaya (in arte Gluklya) è considerata una pioniera della pratica performativa e dell’attivismo in Russia. Con l’intento di ridurre i confini tra arte e vita, l’artista ha co-fondato il collettivo di artisti The Factory of Found Clothesche utilizza “abiti concettuali” per risignificare dinamiche socioculturali rivelando il conflitto che si instaura tra sistemi politici e mondo interiore. Il tema della fragilità come forza invisibile pervade gli abiti femminili esposti e ancora una volta l’assenza del corpo che li abita non può che accrescere un senso di resistenza collettiva che fa perno su un’empatica possibilità di immaginazione condivisa e una conseguente presa di posizione. Apparatus 22 è invece un collettivo artistico transdisciplinare formato da Erika Olea, Maria Farcas, Dragos Olea e Ioana Nemes (1979-2011) a Bucarest in Romania. Il gruppo di artisti che si definiscono sognatori, ricercatori, attivisti poetici e futurologhi (falliti) dedicati alla scoperta delle intricate relazioni tra economia, politica, studi di genere, movimenti sociali, religione e moda al fine di comprendere la società contemporanea rappresentando qualcosa allo stesso tempo impossibile ma plausibile solo attraverso un’immaginazione radicale. Per la fiera il gruppo ha portato un’istallazione formata da vari oggetti neri che permeano lo spazio espositivo di suggestioni a mondi paralleli, prototipi di una presenza corporea appartenente al futuro, tra realtà e finzioni, si presentano come un varco di possibili realtà alternative. «Gli Apparatus 22 non si fermano però solo alla futuristica proposta teorica dell’hardcore minimalism ma annunciano la presenza di un nuovo universo chiamato “Suprainfinit”, un mondo parallelo nel quale si può ipotizzare una nuova idea critica di “speranza” collettiva con la quale si può viaggiare fra presente e futuro» (Gallleriapiù). In una continua connessione di pensieri, energie, oggetti ed elementi sconosciuti il lavoro del collettivo mischia tecnologia, spiritualità, ergonomia estrema ed economia in uno squisito gusto punk futurista. 

Apparatus 22, Untitled 5, 2015-16. Courtesy Gallleriapiù and Appartatus 22. Photo Stefano Maniero

Gaia Fugazza (1985, Milano) espone il quadro Yew (2022) in cui sono incise su quattro figure di misteriosi Roos Carr (datate intorno al 600 A.C.) in piedi su una barca simile a forma di mezzaluna. Il tasso è una delle piante più longeve della terra e la loro capacità di adattamento è così grande tanto da cambiare genere. Le figure scolpite originariamente in legno di tasso, presentano l’interessante caratteristica di poter cambiare sesso attraverso genitali rimovibili, facendo così pensare ad una conoscenza molto antica della qualità di adattamento della stessa pianta. In una ricerca sulla relazione fra esseri umani, ambiente naturale e pratiche trascendentali, è evidente il rapporto meticoloso che l’artista instaura con i materiali che utilizza che alla ricerca della forma che unisca l’uomo alla natura, acquistano un valore simbolico nella sua pratica come nello stesso lavoro. Inoltre, la patina argentata dell’opera se da una parte allude alle venature del legno nella forma, dall’altra riporta una dimensione mistica, spirituale nel colore e nei riflessi di luce che donano all’opera una dimensione tra passato e futuro, oltre il presente, ripresa dalle piccole simbologie in rosso segnate lungo la superfice legnosa.