Ecco perché non si può giustificare la zuppa lanciata sui girasoli di Van Gogh

L’emergenza sul clima spinge l’attivismo a forme di protesta sempre più plateali ma quali sono le ripercussioni di questi atti impropri?

Il moltiplicarsi nelle ultime settimane di azioni di protesta ai danni delle opere più celebri della storia dell’arte è un’indiscutibile conseguenza dell’insofferenza verso la superficialità con cui il mondo della politica continua a occuparsi della sempre più urgente questione climatica.
Il gesto del 14 ottobre delle attiviste di Just stop oil ai danni del dipinto I Girasoli di Vincent Van Gogh alla National Gallery di Londra si aggiunge alla – ormai lunga – serie di azioni che stanno continuando a colpire le più importanti istituzioni museali del mondo.

Il lancio di due barattoli di zuppa di pomodoro, a cui segue l’ancora più plateale gesto di incollare le mani al muro su cui la malcapitata opera è installata, dilaga sul web grazie al proliferare di contenuti, diventati virali in un battito di ciglia, che scatenano un dibattito feroce sui pro e i contro della protesta. Ma se l’importanza di prendere posizione, anche in maniera radicale, sull’argomento non è certo da condannare, lo è la modalità con cui alcun* attivist* scelgono di portare avanti questa nobile battaglia contro l’uso dei combustibili fossili: il vandalismo non è mai una risposta accettabile e non trova altra spiegazione se non nella mancanza di appigli per catalizzare l’attenzione di un pubblico contemporaneo pigro, certamente toccato, ma mai davvero reattivo nei confronti del tema in questione.

Le prepotenze verso il patrimonio non portano in nessun caso un reale cambiamento: imbrattare con della vernice o zuppa che sia, dei capolavori senza tempo come può essere letto nella sua dimensione rivoluzionaria? Come può l’atto di danneggiare un dipinto storico, essere considerato un gesto intelligente e politico? Quello che resta di quell’azione compiuta alla National Gallery va solo contro la collettività e contro l’arte, non lede nessun reale bersaglio da considerarsi colpevole diretto della drammatica urgenza globale sul clima. 

clima

Arte, politica e INsensatezza

Ci si immerge in acque torbide e pericolose: precedenti come quelli verificatisi nelle ultime settimane, si possono dimostrare lesivi di una libertà ben più grande, davvero democratica ed egualitaria. L’arte è narratrice della storia e della vita di coloro che hanno preceduto noi contemporanei, il loro lascito deve essere rispettato.

Il sostegno alle proteste comunque non manca: la stampa internazionale ha rivolto altissima attenzione ai gesti di sdegno verso l’incoscienza dei governatori di tutto il globo, sottolineando la loro natura provocatoria e cercando di dare rilievo anche alla sua dimensione “performativa”. 
Il grande assente in questa vicenda è però il rispetto verso il lavoro dei professionisti del settore della cultura, impegnati quotidianamente nella protezione e nella valorizzazione di un bene comune. Non ci si macchia di bigottismo sollevando il velo da ciò che viene platealmente lasciato in disparte, la disattenzione verso le professionalità culturali è solo un’altra delle grandi lacune che questo racconto porta nuovamente alla luce.

L’insensatezza del gesto si traduce infatti nell’interrogativo che lo segue: “preferite proteggere l’arte o la vita, la natura?”.
La provocazione è evidente ma non in grado di dare spessore a una serie di azioni che non hanno in alcun modo l’efficacia di sensibilizzare, piuttosto di teatralizzare, non evitando di rendere ridicola e giullaresca, una lotta che invece ha la sua ragionevolezza nella sua dimensione teorica.
Ledere la libertà di godere di un capolavoro imbrattandolo e allarmando le istituzioni museali nell’avvalersi di strumenti sempre più restrittivi per una salvaguardia dei patrimoni che conservano – magari venendo costretti a non poterli più rendere disponibili al pubblico proprio in funzione della loro difesa – non è la strada corretta. 

L’arte non è più strumento di riflessione, amico della lotta, ma semplicemente vittima – come del resto lo sono l’ambiente e il clima – di una sterile battaglia interna, non c’è vincitore in una lotta che mira alla devastazione di se stessi e delle proprie eredità culturali. L’atto di questa “messa in scena” (espressione non casuale data la natura quasi cinematografica dell’intero accadimento) non dipinge le giovani come delle eroine, ma come degli individui incoscienti delle loro azioni, incapaci di comprendere il reale peso del loro agire, asserviti da una logica cieca, priva di capacità critica. 
Forse, nel disperato tentativo di far aprire gli occhi al mondo, sono proprio questi novelli paladini della giustizia climatica a essersi dimenticati l’importanza di guardare al di là del proprio naso.