There are more things. Tra le rovine di un paese fantasma, emergono le tracce di una memoria collettiva

La terza edizione del progetto Scoppio rimette in discussione le modalità di fruizione dell'arte, richiamando l'immaginario collettivo

Le affascinanti rovine di Scoppio, un piccolo borgo medievale fantasma nel cuore dell’Umbria, rivivono ancora una volta grazie alle opere di artistə che, attraverso installazioni e performance, dialogano con il suo spazio alla ricerca di un reciproco e sensibile accordo.
SCOPPIO TERZO – There are more things è la terza edizione del progetto sperimentale di arte contemporanea a cura di Federico Arani con Arianna Tremolanti che, a partire dal 2019, si svolge nel piccolo borgo omonimo per un solo giorno. Un evento-mostra, un’allucinazione collettiva, le cui opere emergono tra gli spazi disabitati di un non-luogo completamente immerso nella natura. Lo sguardo e i corpi degli artisti e delle artiste interagiscono con questi spazi di nessuno, nell’ascolto del loro esistere a priori, nell’essere pervasi di tracce di un passato sconosciuto e allo stesso tempo inevitabile.

Scoppio. Photo Robert Angelo Barone

Abbandonato nel 1950 a causa dei frequenti terremoti a cui è soggetta tutta la regione, Scoppio è uno scoglio solitario in mezzo al verde che sembra appartenere unicamente a sé stesso.  Le pareti parzialmente erette, i tetti crollati, le rovine avvolte da piante e radici cresciute nel tempo, sono ancora tracce dell’esistenza dell’uomo che pian piano la natura sta riportando a sé, inglobandole dolcemente tra le sue foglie. Come racconta il curatore del progetto Federico Arani “Scoppio è un luogo con un’identità estremamente marcata e l’ingresso in un luogo del genere deve essere delicato, gentile e rispettoso. A nessuno viene chiesto di seguire un tema, perché è proprio attraverso il rapporto che si instaura tra artista, opera e luogo che si generano delle intuizioni da cui nasce spontaneamente il singolo lavoro, e soprattutto quello collettivo”.
Dopo svariati sopralluoghi e interazioni con il paesino di pietra, il curatore nota come nascano i lavori e come si inseriscono nei suoi spazi: “come se fosse il luogo stesso a generare le opere. In punta di piedi – continua Arani – gli artisti si inseriscono delicatamente nelle varie intercapedini e manifestazioni che emergono in un luogo così forte, senza mai imporsi o sovrastarlo. Il mio lavoro in questo caso è quello di servire da intermediario tra due forze generative fondamentali: quella di Scoppio, un luogo forte nell’essere manifestazione di sé stesso, e il lavoro dell’artista, generativo per eccellenza”.

Scoppio Terzo si presenta dunque come un rituale collettivo in cui l’energia dei partecipanti si condensa nelle sei ore in cui tutto accade, dove le opere si manifestano come apparizioni che il pubblico è invitato a scoprire prima che cali il sole e si spengano le ultime installazioni, per vedere tutto scomparire nel buio, come un miraggio o la fine di un sogno ad occhi aperti.
Il progetto, autoprodotto e senza budget, è il risultato di un lavoro di ricerca, collaborazione, e confronto continuo. “Ogni anno è come se i lavori di ognuno si andassero ad allineare in maniera naturale, creando una sorta di fil rouge che magicamente compare e lega i lavori l’uno con l’altro e con il luogo stesso. Essendo l’esito creativo degli artisti generato e non imposto, ne consegue un’unione autentica che si manifesta come un addizionarsi di intuizioni più che un tema prestabilito e imposto”, aggiunge Arani. Camminando tra le stradine e gli intervalli di Scoppio, lo spettatore viene invitato a lasciarsi andare alla scoperta delle opere, come in una caccia al tesoro. 

Improvvisamente, dalla strada che porta all’ingresso del paesino, si scorge in lontananza una figura muoversi nei campi, lenta e serena: una creatura fantastica, altra, che lentamente vaga, quasi come si muovesse in un ricordo privo di malinconia. È la performance di Ginevra Collini Garibu dell’oblio (in contemplazione di Scoppio) che fin da subito invita il pubblico ad abbracciare la possibilità di apparizioni magiche nel luogo ancora inesplorato, come se da lontano, nobilmente, sussurrasse: “Benvenuti”.   

Alejandra Varela Perera, La Pinta, La Nina y La Santa. Photo Giorgio Benni

Tra i primi spazi della mostra, l’installazione La Pinta, la Niña y la santa di Alejandra Varela Perera catapulta il visitatore in storie molto lontane. In una stanza completamente assorbita da foglie verdi e radici attorcigliate, l’artista inserisce dei miracoli messicani tra le pietre della parete. I miracoli sono degli oggetti – totem, specchi, mani colorate – portatori di storie, miti e leggende che la madre le continua a mandarle dal Messico per proteggerla. Ogni volta che uno di questi oggetti viene appeso un miracolo viene chiesto e un’offerta donata. In questo modo Alejandra si inserisce gentilmente tra le forme di Scoppio, offrendogli protezione, benedicendolo e allo stesso tempo condividendo con esso la sua storia.

La condivisione come atto di scoperta e di fiducia si ritrova nel lavoro di Andrea Lo Giudice e Sofia Naglieri che a Scoppio hanno portato O + S + M, un gioco. Quanti modi ci sono per esplorare e attraversare uno spazio? Come si può cogliere la molteplicità di un luogo così conglomerante come quello di Scoppio? Non esiste risposta univoca a questa domanda, eppure attraverso la costruzione di un vero e proprio gioco che ha coinvolto dieci persone fra i visitatori, i due artisti hanno aperto loro la possibilità di lasciarsi andare all’ascolto di sé stessi, per perdersi e rincontrarsi collettivamente in quegli spazi da scoprire. Muovendosi come fossero un unico corpo, i giocatori hanno condiviso danze, nascondigli, peccati, raggi di sole, pisolini e lettere d’amore.

Andrea Lo Giudice e Sofia Naglieri, O+S+M. Photo Giorgio Benni

Andrea Mauti partecipa al progetto con Untitled una scultura in bronzo, oggetto industriale non identificabile e ignoto, che acquista una dimensione spazio-temporale sospesa proprio per la sua incongruenza con l’ambiente circostante. Eppure, il rettangolo che forma uno spazio vuoto tra il dentro e il fuori apre la possibilità a un’altra dimensione, come fosse un varco o uno spiraglio in cui sussurrare i propri desideri. 

Andrea Mauti, Untitled. Photo Giorgio Benni

Se Mauti crea un varco multidimensionale su cui spostare il nostro sguardo ed entrare, chissà, forse dentro il nascosto universo di Scoppio, il lavoro di Bianca D’Ascanio L’estate più fresca del resto della nostra vita lascia la traccia di un tempo in sospeso, denso ma non pesante. Un’armatura di lana e fil di ferro si poggia delicatamente sul prato, come se qualcuno l’avesse lasciata lì per poi tornare a prenderla, lasciando un senso di leggera ed elegante sospensione.

Sospesa è l’opera di Claudio LarenaLena, un’altalena appesa nel vuoto, circondata dallo spettacolo naturale delle montagne. L’altalena diventa un’occasione per sperimentare la vita al di là della paura e del concetto di “sicurezza” a cui siamo abituati. L’artista rende l’oggetto inutilizzabile poiché irraggiungibile e, in quello stato di isolamento, gli concede lo spazio per rigenerarsi oltre ogni costrizione, un po’ come Scoppio, perché per dondolare l’altalena non ha più bisogno dell’uomo, le basta il vento.

A Scoppio ci si perde e ci si ritrova in continuazione. Si muove lo sguardo alla ricerca di sorprese e finalmente si guarda in alto, oltre il cielo. Ecco che compare una stoffa volante modellata dal vento che ne determina la vita. Si tratta dell’opera Untitled di Jerico Cabrera Carandang che decide di far volare un opera, perdendone il controllo, a favore delle trasformazioni che la natura apporta alla materia stessa. Come gli alberi modellati dal vento, il suo aquilone, leggero e alto, innalza Scoppio e lo abbandona alla leggerezza.

L’opera biomorfica in vetro soffiato di Elinor Haynes On the cusp / Ratzilla si nasconde, si mimetizza, si attorciglia con le radici che modellano le pareti di un semi spazio, pronta per essere confusa per altro, per poi essere scoperta. Il suo lavoro indaga cosa si possa ormai definire “naturale” in un tempo in cui gli esseri umani si ritrovano continuamente a manipolare la natura stessa. Con questo lavoro l’artista si ispira agli esperimenti di biotecnologia con i topi, per mettere in discussione le conseguenze etiche dell’editing dei processi evolutivi fondamentali.

Elinor Haynes, On the Cusp/Ratzilla. Photo Giorgio Benni

La dimensione del gioco e del senso di sospensione torna in Mise en abyme, il lavoro di Ileana Alesi, che porta tra le rovine una bambola gigante abbandonata. La storia narra che i giganti, attratti dai suoni lanciati nella valle, si avvicinarono e fingendo l’ora del tè si sedettero sui tetti di Scoppio. A un certo punto, mossi da un improvviso entusiasmo, balzarono via, dimenticandosi una delle loro bambole proprio in quel punto. Come traccia del loro passaggio, quasi malinconica, la bambola dorme e noi piccoli piccoli.

Federico Arani con Una casa per Odradek espone un’istallazione fatta di oggetti ambigui, quasi indecifrabili, che appaiono come reliquie di un passato antico, o testimonianze di un futuro già vissuto. Due parastinchi in ceramica smaltata, i frammenti di un’armatura, sono accanto a una porta socchiusa. Piccole fibbie medievali vanno a comporre questi oggetti che appaiono robusti e rocciosi, quasi minerali, ma che in realtà sono molto fragili essendo di argilla, materiale che dona loro una dimensione arcaica molto forte. Grazie alle escrescenze di gelatina prostetica inserita nei loro inserti, le sculture acquistano allo stesso tempo un aspetto organico, seppur non sia possibile identificare la loro origine. Il collasso temporale è centrale in questo lavoro, in cui – come nel testo da cui prende il titolo della mostra There are more things ne Il libro di Sabbia (1975) di J.L. Borges – l’abitante misterioso della casa ha abbandonato le sue tracce di passaggio proprio lì fuori, come se si fosse spogliato prima di entrare, lasciando a noi l’ambiguità delle sue estensioni come spazio di immaginazione di infinite possibilità, oltre il tempo e lo spazio. 

Sull’altare della cappella di Scoppio, Hyunmin Kim con Anything Goes costruisce uno spazio immaginario attraverso il quale le capacità percettive dello spettatore vengono chiamate in causa. Un oggetto misterioso diventa il punto luminoso all’interno di una chiesa deserta e degradata, che acquista immediatamente una dimensione mistica o spirituale. Non è chiaro cosa sia l’oggetto, ma nuove e ipotetiche chiavi di lettura emergono nel momento in cui viene allestito in uno spazio così carico di significato e conoscenza, come può essere quello di un luogo di culto. Possiamo allora spogliarci di quella conoscenza percettiva precostituita per immergerci liberamente in altri mondi? 

Hyunmin Kim, Anything Goes. Photo Giorgio Benni

Loro della preghiera è invece la performance audio-visiva di David Capuano & F.Isforfuzz che, attivata al calar del sole, ha raccolto il pubblico davanti a sé. Gli artisti si sono chiesti come si potesse condensare Scoppio in una decina di minuti. Per entrare nel profondo dell’universo del borgo, hanno esplorato i suoi infiniti dettagli scannerizzando le rocce, fotografando le piante, registrando il suono del vento umido del mattino e della brezza tagliente della notte. Immergendosi nell’universo microscopico di Scoppio, hanno ricombinato e re-immaginato i suoi elementi portanti per permetterci di entrare in un immaginario vicino, quasi sovrapposto all’esperienza diurna degli stessi spazi.

Stella Rochetich, conduce uno studio sul suolo di Scoppio e sulla sua memoria. Con Souvenir, cinque gocce di vetro soffiato vengono installate lungo la superficie del pozzo. All’interno di queste gocce riposa un profumo che l’artista ha creato ispirandosi agli elementi vegetali che coronano il borgo. Sigillato e inaccessibile l’essenza diventa un segreto, o una misteriosa memoria, viva ma impercepibile poiché è impossibile annusarla. Tuttavia, un universo interno si rivela all’interno di questo segreto la cui fermentazione rimanda a quella della Terra in vivo e continuo fermento, grazie al fuoco ardente del suo sottosuolo. Un invito, forse, ad accogliere le continue trasformazioni della natura, della nostra storia e dei luoghi che ci circondano.

Il progetto Scoppio Terzo – There are more things costituisce un modo alternativo di vivere l’arte, un esempio su come sia possibile, anzi necessario, ripensare il modo in cui oggi il mondo dell’arte viene sperimentato mettendone in discussione le modalità di fruizione. La mostra nasce come la conseguenza di una necessità, in questo caso legata alla scoperta del luogo di Scoppio, delle sue forme, della sua storia e delle energie che lo hanno abitato e che lo abiteranno. Allo stesso tempo, il desiderio di condivisione pervade i piccoli palcoscenici non gerarchici che ogni artista allestisce, raccontando a loro modo mille altre storie, che in qualche modo appartengono anche a noi visitatori. La serie di intuizioni personali divenute opere ha creato un corpo di testimonianze che gioca con il tempo e l’immaginario individuale per diventare squisitamente collettivo. 

Claudio Larena, Lena. Photo Giorgio Benni

“Il luogo ha effettivamente perso i connotati di quello che potremmo chiamare un paese o un borgo. Allo stesso tempo però questa sua fuoriuscita dalla Storia lo posiziona in un immaginario astratto e in questo senso appartenente a una sorta di memoria collettiva. Nessunə infatti prova un senso di estraneità girando tra le opere tra i vicoli di Scoppio. Qualcunə ci ritrova ricordi di infanzia, suggestioni da qualche libro o film o esperienza o sogno che ha fatto. Trovo molto giusto allora che una mostra d’arte preferisca presentarsi qui ammettendo l’accessibilità immaginativa, presentandosi come appartenente a tuttə, al contrario di come accade in certi luoghi istituzionali dove si crea un filtro di distanza, di reverenza, tra opera e pubblico, in un andamento in cui l’opera è lì che racchiude il suo significato e lo spettatore deve fare questo movimento di fuoriuscita intellettuale da se stesso per cercare di raggiungerla. A Scoppio, mi sembra che si proponga una lettura più empatica e relazionale. Nessunə è “pubblico”, tutti sono esploratori, passeggiatori, persone in gita, persone che si sdraiano a prendere il sole, lontana dalla performatività della galleria”, racconta la curatrice Arianna Tremolanti.  

Per concludere, come scrive Federico Arani nei suoi ringraziamenti, Scoppio è: “una fiamma libera, indipendente, che scalda solo e soltanto perché nata da una comunità che con sacrifici personali e duro lavoro collettivo la ama e la custodisce. Una fiamma rara, quasi utopistica, un cortocircuito nel realismo del capitale”, un invito a guardarsi intorno e a lasciarsi andare a nuovi punti di vista e possibilità. 

Oltre i sopra citati, gli/le artistə che hanno partecipato al progetto sono: Sofia Bordin, Ariell Zephyr, Gabriele Ciulli, Gaia De Megni, Giordano TricaricoGiorgio Van Meerwijk, Ilona Balaga, Luca Poma, Sam Meredith e Eleonora Del Bene.

Scoppio Terzo – There are more things 
Alejandra Varela Perera, Andrea Lo Giudice & Sofia Naglieri, Andrea Mauti, Ariell Zephyr, Bianca D’Ascanio, Claudio Larena, David Capuano & F.isforFuzz, Eleonora Del Bene, Elinor Haynes, Federico Arani, Gabriele Ciulli, Gaia De Megni, Ginevra Collini, Giordano Tricarico, Giorgio van Meerwijk, Hyunmin Kim, Ileana Alesi, Ilona Balaga, Jerico Cabrera Carandang, Luca Poma, Sam Meredith, Sofia Bordin, Stella Rochetich.
A cura di Federico Arani e Arianna Tremolanti.
18 ottobre 2022. Info: www.scoppioproject.it