“Buffer Zone” alla Fondazione Pastificio Cerere. L’intervista con la curatrice Gaia Bobò

Da poco nominata Curatrice in residenza under 30 per La Quadriennale di Roma, Gaia Bobò cura la mostra di Meletiou al Pastificio Cerere

Inaugura martedì 13 settembre alla Fondazione Pastificio Cerere la mostra Buffer Zone, prima personale romana di Meletios Meletiou, curata da Gaia Bobò. Il progetto espositivo, la cui ideazione risale al 2021, è stato concepito per lo Spazio Molini come intervento site-specific, poiché la volontà dell’artista era realizzare una mostra in questo spazio complesso e, per certi versi, ostile. Le opere sono architetture che creano dei percorsi fisicamente impattanti: l’impedimento è sostanziale e ontologico nella loro ideazione, le direzioni obbligate a cui danno vita, orientano l’attenzione dello spettatore intervenendo sulle sue possibilità di spostamento. Questi elementi agiscono come resistenze e sabotaggi del tessuto urbano, atti a implementare i processi di marginalizzazione e minare le libertà personali e sociali degli individui.

Il progetto si presenta come sintesi del filone più recente della ricerca dell’artista, ponendosi come passaggio significativo nella sistematizzazione delle principali urgenze che ne hanno costellato il percorso. Insieme a Gaia Bobò abbiamo analizzato gli aspetti più interessanti e gli intenti alla base del progetto. 

Meletios Meletiou, dettaglio Buffer Zone, spugna cementificata. Photo Giorgio Benni

Come sei entrata in contatto con l’artista? Cosa ti interessa del suo lavoro di ricerca e come si unisce alla tua visione?

Ho conosciuto Meletios durante il periodo dei miei studi all’Accademia di Belle Arti di Roma, che anche lui frequentava. Questo mi ha permesso di seguire lo sviluppo del suo lavoro nel tempo. La sua ricerca ha un impianto fortemente analitico, interrogandosi sulle forme e sui pattern che connotano l’assetto architettonico e urbanistico dello spazio urbano attraverso una prospettiva socioculturale. La prima occasione di collaborazione si è presentata nel contesto della mostra collettiva Porta Portese, tenutasi presso SPAZIOMENSA, a Roma. Anche in quel contesto, mi interessava la volontà dell’artista di svelare i meccanismi atti a ostacolare le possibilità di interazione tra gli individui, e dunque le possibilità di contaminazione culturale, nel contesto dello spazio pubblico. Creando un vero e proprio archivio di forme dell’architettura ostile, Meletios sposta l’accento sulle implicazioni progettuali che arrivano a impedire, deviare o influenzare la creazione di momenti di comunità e condivisione.

Come nasce la scelta del titolo della mostra?

Buffer Zone riflette la volontà dell’artista di restituire l’idea di uno spazio non fungibile, non abitabile e disumanizzato. Qui, vi è sicuramente un riferimento alle sue origini e al suo contesto di provenienza, quello di Cipro, con riferimento alla Linea Verde che scorre lungo tutta l’isola, a tutti gli effetti una buffer zone che divide la nazione in due parti. Allo stesso modo, la mostra presso il Pastificio Cerere è ritmata da aree non percorribili e non attraversabili, ma esperibili unicamente con lo sguardo. Il titolo tenta di restituire questa sospensione della possibilità di vivere pienamente lo spazio pubblico, di fruirlo in quanto spazio antropico, nella pienezza delle proprie libertà personali e politiche.

Meletios Meletiou, ReSize To Fit 10, 2021, cemento Bianco e grigio, tubolari di ferro, verniciatura a polvere. Photo Giorgio Benni

In quanto curatrice indipendente, come scegli quali progetti portare avanti? Hanno un fil rouge che li lega?

Capita spesso, come in questo caso, che una collaborazione nasca da un dialogo con l’artista, nutrito dal reciproco scambio di idee e visioni. Questo approccio mi interessa perché è una continua negoziazione di punti di vista e strategie progettuali che vengono rafforzate, confutate o ridiscusse nel tempo. 

Altri progetti nascono da una specifica necessità di ricerca che arriva a concretizzarsi gradualmente grazie alla collaborazione con gli artisti. In questa cornice, ci sono certamente alcuni elementi di riverbero, come quello dell’interesse verso i processi di trasmissione culturale, così come il concetto dinamico di spazio culturale come teatro di prassi performate e, in un certo senso, rituali. Un altro ambito di ricerca è quello originato inizialmente dalla ricerca sulla Poesia Visiva, sia come fenomeno storico che come precedente paradigmatico di molti filoni di ricerca poetica ramificatisi fino ad oggi. Il rapporto tra diverse medialità e sguardi, nonché la negoziazione tra spazio testuale e visivo come strumenti critici nei linguaggi del contemporaneo, è spesso una costante dei miei progetti.

A luglio sei stata nominata Curatrice in residenza under 30 nell’ambito della programmazione 2022-2023 per La Quadriennale di Roma. In questo anno collaborerai con la Fondazione nella realizzazione dei suoi progetti espositivi, del suo programma pubblico e dei progetti dedicati ai giovani artisti. Cosa questa opportunità può apportare alla tua esperienza e, a tua volta, come ritieni di poter contribuire alle attività della Quadriennale?

Guardo a questa esperienza come un’occasione per un confronto a livello sistemico con una pluralità di interlocutori e di sguardi, nonché una preziosa opportunità di ricerca. L’indagine capillare che la Quadriennale sta svolgendo sull’arte italiana contemporanea mi sembra possa contribuire alla definizione di nuove possibili narrazioni su un panorama fortemente diversificato, approcciandolo con un’attitudine dialogica. Inoltre, la possibilità di operare e contribuire attivamente al contesto culturale di Roma, la mia città di riferimento, è un elemento di forte motivazione. Si tratta di una città per molti versi generosa, ma anche con delle specifiche criticità di cui ho esperienza diretta, e che mi piacerebbe, per quanto possibile, rappresentare e interpretare.